domenica 29 giugno 2008

MACHIAVELLI: IL PRINCIPE


Machiavelli fu essenzialmente un filosofo della politica, la sua fama gli venne perlopiù dal “Principe”, un trattato di politica in cui espone i principi secondo i quali deve reggersi uno stato moderno, e vedremo come questi principi si allontanino di molto da quelli perlopiù pensati dai suoi predecessori, tanto da farne una figura emblematica del Rinascimento italiano. Scrupolo di Machiavelli è studiare la storia italiana per trovarvi i motivi di una ricostruzione dell'unità politica degli italiani. Una comunità politica, per Machiavelli, deve trovare in sé i suoi principi fondanti, così come la vita associata. Il ritorno ai principi è in generale la buona regola di ogni ordine politico e sociale, e quindi anche religioso: Machiavelli sostenne, ad esempio, che fu un bene per la religione cattolica ritornare ai principi francescani della povertà e dell'umiltà, laddove e quando accadde. Ma Machiavelli è anche un uomo concreto, un realista che vuole studiare la storia nel modo più oggettivo possibile, in modo da esprimerne i principi che conducono alla concordia politica e sociale, vista come bene supremo da opporre al caos, al disordine che è foriero di sventure. Per attenersi a questa regola, per mantenere l'ordine e la concordia, un sovrano (il Principe cui fa riferimento l'opera) può fare ricorso ad ogni mezzo, non dovrà necessariamente derivare i suoi principi da un ordine morale superiore (come accadeva perlopiù durante il medioevo), quanto applicare una politica della convenienza, secondo le necessità contingenti che i fatti gli porranno davanti: “Negli stati, la riduzione ai principi o si fa per accidente estrinseco o per prudenza intrinseca”. Per tanto la politica dovrà essere “autonormativa”, ovvero derivare la sua giustificazione non già da principi a lei esterni, superiori e trascendenti (dio e gli dei), quanto alla semplice convenienza dell'azione: a volte, si potrebbe rendere necessario per il sovrano l'agire con fermezza e violenza, nel caso, ad esempio, di una rivolta di corte, ma sempre tenendo presente il bene superiore dell'unità e della concordia da opporre allo stato di anarchia, e comunque non eccedendo in eccessi, pena la caduta nella più cupa e feroce tirannia autoritaria.

giovedì 26 giugno 2008

SCINTOISMO


Solo nel VI secolo della nostra era, all'epoca nella quale il Giappone entra nella storia e si inizia alla scrittura grazie alla Cina, l'antica religione, originaria del Giappone, ricevette la denominazione cino-giapponese di Shin-to, che in giapponese puro si diceva Kami no michi (strada degli dei), per distinguersi dal buddismo che si chiamava Butsu-do (strada di Budda). Lo Shinto, che non riconosce un Dio supremo, è un culto politeistico della natura e degli antenati. Già all'origine della religione giapponese, s'incontrano un gran numero di divinità della natura a cui si aggiungono, in epoca più tarda, le divinità terrestri, locali e familiari. Si parla di un numero di divinità che va da 80 a 800 mila; da ciò deriva la definizione del Giappone Shinkoku che vuol dire «paese degli dei». Le divinità si definiscono col nome di Kami che significa «il superiore, il più alto», tradotto in cinese con il simbolo «shên» (essere spirituale, divino, soprannaturale). Anche i defunti della famiglia, ed in particolare gli antenati, sono considerati esseri superiori, pure se un gradino al di sotto degli antichi dei e degli antenati imperiali. Il giapponese, nella vita quotidiana, si sente assistito dai suoi antenati, che proteggono e benedicono la sua casa e l'arricchiscono di figli. I testi sacri dello scintoismo, raccolti e trascritti solo in epoca buddista, sono tre raccolte mitologiche riunite sotto il titolo di Sam-bu-han-sho (i tre libri principali): il KU-JI-KI (storia degli avvenimenti antichissimi fino al 620 a.C.), il KO-JI-KI (storia dell'antichità che va fino al 712 a.C.) e il NIHON-GI (annali giapponesi fino al 720 d.C.).

domenica 22 giugno 2008

DISEGNI DI NAZCA


Nazca, località situata nella parte meridionale del Perù, poco distante da Lima, una regione ai piedi delle Ande, dove si registrano solo sporadiche e lievi precipitazioni ogni due anni e non piove regolarmente almeno da 10.000 anni. Nel 1939, una piccola flotta aerea che sorvolava la pianura desertica del Perù (Pampa di Palpa) notò sul suolo la presenza di strane linee, che solo successivamente, osservandole da una maggiore altezza, furono identificate in perfetti disegni geometrici. Le Linee sono state avviste con chiarezza solo dall'avvento dei voli di linea sull'area, negli anni successivi al 1920. Le linee sono tracciate rimuovendo le pietre contenenti ossidi di ferro dalla superficie del deserto, lasciando così un contrasto con il pietrisco sottostante, più chiaro. Ai margini della Pampa, gli archeologi hanno scoperto la città cerimoniale dei Nazca, Cahuachi, da cui si ritiene provenissero gli artefici delle linee. Il primo che li studiò fu l’americano Paul Kosok, inviato in Perù nel 1939 dalla Long Island University di New York inizialmente per studiare il sistema di irrigazione ideato dagli antichi peruviani e ancora in uso lungo le coste, sistema di perfetta tecnica idraulica. Il tracciato dei disegni si estende per chilometri e chilometri, le linee che li costituiscono avanzano nel terreno perfettamente dritte, sia che attraversino una collina o un terreno accidentato, superando avvallamenti, incrociando altre figure, perdendosi oltre l'orizzonte ma mai deviando da un percorso rettilineo. Alcuni dei disegni, le cui dimensioni raggiungono anche i 200 metri e le cui tracce hanno larghezza variabile (da pochi decimetri a oltre cinquanta metri), rappresentano animali (come una scimmia, un ragno, un colibrì, una balena), fiori, mani, ma la maggior parte sono sicuramente figure geometriche. La stranezza e il fascino che questi disegni silenziosamente emanano solitari, in una zona disabitata e delimitata da un lato, dalle grandi vallate di due fiumi e dall'altro dalla catena collinare pre-andina, colpirono il geografo americano Paul Kosok, il quale si accorse della loro esistenza il 21 giugno del 1941, mentre a bordo di un aereo si stava recando a fare un picnic insieme alla moglie Rose. Subito egli fu impressionato da due aspetti: le dimensioni davvero notevoli di quelle figure, che in totale descrivevano una zona lunga 50 Km e larga 15, e la località dove si trovavano, cioè un altopiano desertico delle Ande. Per otto anni egli non si allontanò da quella località, di cui studiò gli enigmatici manufatti nel vano tentativo di chiarirne il segreto.

giovedì 19 giugno 2008

COGITO ERGO SUM


Con riferimento alla prima regola del metodo, Cartesio si trova davanti un problema non da poco: quali aspetti della realtà si possono considerare chiari e distinti in modo da prenderli a fondamento della nuova conoscenza? Cartesio sostiene che occorre dubitare di tutto, persino della nostra percezione sensoriale, in quanto "non vi sono indizi concludenti né segni abbastanza certi per cui sia possibile distinguere nettamente la veglia dal sonno". Come possiamo sapere in modo certo e incontrovertibile se questa nostra esistenza sia anch'essa un sogno oppure la realtà? Nemmeno riguardo agli assiomi della matematica e della geometria possiamo sapere con certezza se essi corrispondano effettivamente alla realtà, dobbiamo infatti supporre, spingendo il dubbio all'iperbole, che esista un dio talmente onnipotente da essere ingannatore, un dio che ci inganni anche sulle conoscenze che riteniamo più certe e universali. Cosa resiste allora al dubbio iperbolico, a questo scetticismo radicale? La risposta di Cartesio è che l'unico aspetto della realtà che viene percepito indubbiamente in modo chiaro e distinto è il pensiero che si pone il dubbio: l'esistenza incontrovertibile del pensiero che si pone il dubbio permette di affermare cogito ergo sum (penso dunque sono), perché se esiste il pensiero, deve pur esistere anche l'entità che esprime il pensiero del dubbio. L'esistenza del pensiero (cogito) è dunque quel residuo minimo della conoscenza che resiste ad ogni dubbio, compreso quello iperbolico. Il cogito cartesiano suggerisce quindi l'ipotesi che le cose non siano necessariamente esistenti oggettivamente e indipendentemente dal pensiero stesso, ma che ogni cosa esistente è qualcosa che di per sé è comunque pensata (quindi espressa dal soggetto) e che la realtà esterna al pensiero non è un dato da assumere immediatamente come certo e incontrovertibile: anche il soggetto che si pone il dubbio sa di essere in modo certo e incontrovertibile un soggetto pensante, ma la realtà stessa del suo corpo non può essere affermata con assoluta certezza desumendola dal solo cogito. "Nella prospettiva realistica, gli enti della natura e, una volta prodotti, anche i manufatti dell'uomo, esistono anche senza il pensiero: sono cose extrasoggettive. La filosofia moderna mostra invece che non solo i nostri stati inerti, psichici, ma anche gli oggetti esterni, la terra, gli alberi, il cielo, gli astri e tutti gli enti della natura sono dei pensati." (La filosofia moderna, E. Severino).

lunedì 16 giugno 2008

MANICHEISMO


All’inizio della dominazione sasanide, nella regione del Fars erano venerate le divinità Ahuramazdah e Anahita. Il re Sapur I si pose l’obiettivo di creare una religione di stato che potesse esprime il neonazionalismo iranico. Trovò la risposta nel manicheismo che suscitò l’avversione della classe sacerdotale mazdaica e venne distrutto con la scomparsa dell’imperatore. Mani, uomo nobile, si professava inviato da dio, al pari di Zaratustra, Gesù e Buddha. Egli si ispirava alle tradizioni iranica, babilonese, buddhista e cristiana. Secondo la sua religione, il mondo è formato dalla lotta tra il BENE ed il MALE, luce e tenebre. Nell’uomo l’anima ed il corpo rappresentano rispettivamente la luce ed il corpo: la morale manichea si sviluppa attorno alla liberazione dell’anima dal corpo. Quando tutta la luce e tutte le anime tenute prigioniere saranno liberate e saliranno al sole, il cielo e la terra (la materia) crolleranno e si separeranno, mentre il regno della luce durerà in eterno. I fedeli si dividono tra eletti ed uditori. I primi si identificano nel clero che è tenuto al celibato, devono astenersi dalla carne ed evitare la cupidigia e la menzogna. I secondi hanno diritto di sposarsi, possono lavorare, devono conservarsi puri e non aspirare alla ricchezza. Non sono ammessi sacrifici cruenti né immagini divine, ma preghiere e digiuni. I manichei praticano il battesimo, la comunione e ricevono l’assoluzione prima della morte. Il manicheismo subì l’influenza gnostica, in quanto dimostrò un’avversione per l’ebraismo, considerata la religione delle tenebre. Gli inni, di ispirazione babilonese, sono enunciati da Zoroastro; dal cristianesimo vengono presi il dogma della trinità ed alcune parti del Vangelo; i nomi degli angeli erano siriani. Sapur I vede la debolezza delle religioni tradizionali iraniche e cerca di contrapporre all’ascesa del cristianesimo e del buddhismo, che nel regno Kusana era divenuta religione di stato, questo nuovo culto, sperando di farlo divenire religione di stato. Il mazdeismo si trovò minacciato all’interno, nonché stretto all’esterno dalle altre religioni monoteiste. Alla morte di Sapur I, si diffusero violente persecuzioni contro tutte le religioni, in particolare contro il manicheismo. Mani venne sottoposto a giudizio e condannato al supplizio. I suoi fedeli lasciarono l’Iran e si recarono in Asia centrale, la Siria e l’Egitto, dove diffusero la propria religione. Essa conobbe un discreto successo in Cina (dove si diffuse anche il cristianesimo nestroriano), Mongolia e Nord Africa, dove venne combattuto da S. Agostino. Da qui il manicheismo si diffuse nel sud della Francia, dando vita alla seta purista dei Catari, che nel 1200 venne combattuta aspramente dai cattolici che ne massacrarono tutti i proseliti. Con l’imperatore Narsete il manichiesmo conobbe un nuovo periodo di successo, in quanto fu posto in contrapposizione con il cristianesimo che si stava diffondendo in Mesopotamia, finchè lo zoroastrismo non lo annientò definitivamente in Iran, divenendo religione di stato.

mercoledì 11 giugno 2008

CRITICA ALLA RELIGIONE


Il fondamento della critica alla religione é: è l’uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l’uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sè e il sentimento di sè dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l’uomo non è un'entità astratta posta fuori del mondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo punto d’onore spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo. (Marx)

lunedì 9 giugno 2008

REINCARNAZIONE


La Reincarnazione è una dottrina che insegna che l'anima vive in un corpo fisico, fa delle esperienze, lascia il corpo e ne prende un altro fintanto che arriva ad essere così perfetta che non ha più bisogno di rinascere. Come dottrina religiosa è diffusa soprattutto in Oriente e trova in India la sua più ampia e profonda espressione filosofica nei Veda, nelle Upanishad e nella Bhagavad-gita. In quest’ultima opera si trova una definizione molto chiara e compiuta della reincarnazione: «…Come si abbandonano gli abiti vecchi per indossarne dei nuovi, così l’anima lascia i corpi usati per rivestirne dei nuovi…». Scopo delle molte vite è quello di purificarsi e fare esperienze, ai fini dell’evoluzione e secondo le leggi del karma. Termine sanscrito (karman=azione) che nel contesto religioso indiano è passato a significare l’effetto delle azioni che si sono compiute nella vita e le conseguenze che da esse derivano e che si esprimeranno nelle esistenze successive. Il karma è quindi una legge universale che fa sì che ogni vita sia l’esatta conseguenza di quella che l’ha preceduta.

venerdì 6 giugno 2008

IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA


Per il Triangolo delle Bermude si intende un'area molto grande dell'oceano atlantico che ha il suo vertice nelle isole Bermuda a sud e che si estende dalla punta meridionale della florida fino alla piccole Antille, la zona prende anche il nome di "Triangolo maledetto" a causa di un lungo elenco di incidenti inspiegabili che vi sono accaduti. Molti sono gli episodi misteriosi da tempo fino ai giorni nostri. Se per quanto riguarda le prime cronache possiamo imputare imprecisioni e distorsioni, altrettanto non possiamo dire per ultimi e più recenti incidenti che, secondo una stima approssimativa, hanno causato addirittura più di mille vittime solo negli anni che vanno dal 1945 al 1975, un numero che, occorre precisare, tiene conto anche degli aerei che a partire dalla seconda guerra mondiale erano precipitati in questa area con impressionante frequenza. Da tenere presente è anche il fatto che non si trattava di una zona ai confini del mondo ma anzi una zona che comprendeva una regione sub tropicale molto frequentata per la dolcezza del clima e la bellezza del paesaggio. Florida Bahamas, Caraibi sono infatti nomi favolosi che evocano spiagge dorate e piacevoli vacanze, che non hanno assolutamente nulla di tetro e desolante. Ma questo dato, in apparenza contrastante, sembra confermare in qualche modo che un fondo di verità deve esserci; inoltre, un altro particolare che rende diverse le disgrazie accadute in quest'area da quelle che avvengono in altre parti del mondo, è il fatto che di tutti gli incidenti non è rimasta traccia. Nessun relitto, nessun superstite. Aerei, navi persone, risultano ogni volta letteralmente sparite. Di loro si sapeva con esattezza il luogo di partenza e la destinazione prevista; si sapevano addirittura minuti particolari relativi al viaggio trasmessi per radio durante la navigazione. Poi più nulla. Interrotti i collegamenti più o meno bruscamente, iniziavano ricerche sistematiche nella presumibile zona dell'incidente, ma sempre senza risultato. Uomini e mezzi erano così scomparsi, volatilizzati nel nulla. Leggende e racconti paurosi sono sempre esistiti sin dall'antichità su tutti i mari sconosciuti, ma la maggior parte si sono sgretolate nel corso degli anni, mentre il mistero del triangolo delle Bermude resiste tuttora. Le ipotesi sono tante, disturbi magnetici che compromettevano gli strumenti, o terremoti sottomarini che provocavano dei turbini, o un'alra ipotesi meno accettata era sui tifoni ma molti riferiscono che in molti casi di sparizioni il tempo era perfetto, tuttavia dopo una valanga di ipotesi ancora non è stato chiarito il mistero che continua ad imperversare in una stupenda zona tropicale.

giovedì 5 giugno 2008

SIMPOSIO


La giusta maniera di procedere da sè o di essere condotti da un altro nelle cose d'amore é questa: prendendo le mosse delle cose belle di quaggiù, al fine di raggiungere il Bello, salire sempre di più, come procedendo per gradini, da un solo corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e da tutti i corpi belli alle belle attività umane, e da queste alle belle conoscenze, e dalle conoscenze procedere fino a che non si pervenga a quella conoscenza di null'altro se non del Bello stesso, e così, giungendo al termine, conoscere ciò che é il bello in sè. (Platone, "Simposio")

mercoledì 4 giugno 2008

ESOTERISMO


Dottrina o complesso di dottrine di carattere segreto. All'origine della parola esoterismo sta l'aggettivo greco esoterikos (interno), usato per indicare insegnamenti riservati a una cerchia ristretta di discepoli, in contrapposizione a exoterikos -essoterico- (esterno), che si riferiva a insegnamenti indirizzati a tutti. Le dottrine esoteriche si configurano entro fenomeni culturali come la magia, l'alchimia, le religioni misteriche e gnostiche, la qabbalah. In queste forme di cultura la presenza del segreto può essere intesa in due modi: come presenza di un segreto che è nei meccanismi dell'universo e che resta inaccessibile per gli stessi iniziati (i quali sono iniziati alla venerazione del segreto in quanto tale, non alla sua penetrazione); oppure come presenza di un segreto che si attua nel patto reciproco di silenzio degli iniziati verso i profani. Questi due modi diversi corrispondono storicamente al prevalere di istanze di mistica (segreto tale anche per gli iniziati) o di istanze di magia (segreto che gli iniziati conoscono, o quanto meno sfruttano, ma che essi tacciono ai profani). Si trova usata come sinonimo di esoterismo la parola occultismo. É più esatto però riconoscere nell'occultismo solo una forma particolare di esoterismo, in quanto esso, da un lato, configura il segreto come conoscibile con tecniche appropriate, e dall'altro non implica sempre il vincolo del segreto verso i profani. Elementi caratterizzati dall'esoterismo sono presenti ai più vari livelli di civiltà. Nelle culture cosiddette primitive rientrano in questo settore i rituali di iniziazione, in genere segreti, e che nella maggior parte dei casi stabiliscono una distinzione di status tra gli iniziati da un lato, e i non iniziati dall'altro; per es.. solo gli uomini, la cui maturità è sanzionata dalla cerimonia stessa, possono partecipare a determinati riti e conoscere pienamente la tradizione e tutto il patrimonio sacro della tribù. Nella maggior parte delle religioni che pure non sono in sé e per sé esoteriche si trova integrata una qualche forma più o meno marginale o ereticale di esoterismo. É il caso delle correnti esoteriche sviluppatesi in Estremo Oriente a fianco del brahmanesimo e del buddhismo (tantrismo, buddhismo zen ecc) o nel Vicino Oriente a fianco dell'islamismo (sufismo). Vi sono numerose accezioni esoteriche del cristianesimo: da quelle di presunta impronta gnostica del periodo delle origini, a quelle medievali forse influenzate dal manicheismo, a quelle della cosiddetta qabbalah cristiana del rinascimento (collegata alla tradizione ebraica), a quelle dei periodi di "risveglio" religioso nei secoli XVII-XVIII, al cattolicesimo esoterico francese e bavarese del sec. XIX ecc. Altre forme di esoterismo sono relativamente autonome dalle religioni costituite e quasi rappresentano religioni a sé stanti: l'esoterismo neopagano del rinascimento, collegato al recupero del neoplatonismo; nei secoli XVIII-XIX il martinezismo e il martinismo; entro certi limiti, la stessa massoneria e, nel sec. XX, la teosofia e l'antroposofia (Rudolph Steiner). É frequente, specialmente in queste forme di esoterismo che quasi costituiscono religioni autonome, una particolare attenzione per i sistemi simbolici delle culture dell'antichità, nei quali si presume di riconoscere il patrimonio cifrato di una sapienza perduta. Per questa ragione gli esoteristi dei secoli XVIII e XIX hanno dato contributi a volte molto perituri, a volte di lunga influenza e (nonostante le bizzarrie) di indubbia acutezza, alla scienza della mitologia. Studiosi, e spesso anche cultori in prima persona, dell'esoterismo hanno inoltre analizzato nei secoli XIX e XX documenti letterari e artistici, riconoscendovi, in modo a volte attendibile, linguaggi esoterici; hanno parlato di esoterismo nel linguaggio degli stilnovisti e di Dante; individuato simboli alchemici nell'architettura e nelle sculture delle cattedrali medievali; indagato i valori esoterici di testi di Avicenna; dei testi medievali relativi alla leggenda del Graal. Vi furono, del resto. scrittori dei secoli XIX-XX che ebbero speciale gusto per l'esoterismo o che addirittura si ritennero innanzitutto esoteristi.

martedì 3 giugno 2008

ICONOCLASTIA


Movimento religioso, ma con forti connotazioni politiche, contrario al culto delle immagini della divinità diffusosi nell'impero bizantino nei secoli VIII e IX. Il termine deriva da una parola greca che si compone del sostantivo eíkon, 'immagine', e del verbo kláein, 'spezzare'. Nel 726 e 730 l'imperatore Leone III l'Isaurico, in parte per scongiurare le accuse di idolatria mosse dai musulmani, promulgò un decreto che proibiva la venerazione delle immagini sacre. Questa decisione venne condannata dal papa, ma l'imperatore impose vigorosamente la dottrina iconoclasta a Costantinopoli, e ancora più suo figlio e successore Costantino V, che fece condannare il culto delle immagini come idolatria nel sinodo svolto nel palazzo di Hieria, alla periferia di Costantinopoli, nel 754. Con la salita al trono dell'imperatrice Irene un sovvertimento politico portò, con il II concilio di Nicea (787), a condannare a loro volta gli iconoclasti. Una ripresa della diffusione dell'iconoclastia nella prima metà del IX secolo venne definitivamente repressa con la condanna finale del movimento nel concilio tenutosi nel 843 sotto il patronato dell'imperatrice Teodora II. L'argomento più forte contro l'iconoclastia, formulato dal padre della Chiesa siriano Giovanni Damasceno, è che essa nega uno dei principi fondamentali della fede cristiana, cioè la dottrina dell'incarnazione. Secondo i difensori delle immagini, la nascita umana di Cristo ne aveva reso possibile le rappresentazioni, che in qualche misura condividono la divinità del loro prototipo; il rifiuto di questa immagine comportava automaticamente, quindi, il rifiuto del loro modello. Oltre agli aspetti teologici, il movimento iconoclasta ebbe importanti influenze sull'arte bizantina, e fu un pretesto per fomentare le lotte intestine all'impero bizantino ed esacerbare i motivi di discordia col papato.