domenica 27 luglio 2008

CRITICA DELLA RAGION PRATICA


Due cose riempono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione, quanto più spesso e accuratamente la riflessione se ne occupa: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Entrambe le cose non posso cercarle e semplicemente supporle come fossero nascoste nell'oscurità o nel trascendente, al di fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le collego immediatamente con la coscienza della mia esistenza. Il primo comincia dal luogo che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo nell'infinitamente grande, con mondi sopra mondi e sistemi di sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro movimento periodico, nel loro inizio e nella loro continuità. La seconda comincia dalla mia invisibile identità, la personalità, e mi pone in un mondo che possiede vera infinità, ma di cui si può accorgere solo l'intelletto, e con il quale (ma grazie ad esso anche con tutti quei mondi visibili) io non mi riconosco, come là, in una connessione puramente accidentale, ma in una necessaria e universale. Il primo sguardo di una innumerabile quantità di mondi per così dire annienta la mia importanza, che è quella di una creatura animale, che dovrà restituire ai pianeti la materia da cui è sorta, dopo essere stata dotata per breve tempo (non si sa come) di forza vitale. Il secondo al contrario innalza infinitamente il mio valore, che è quello di una intelligenza, grazie alla mia personalità, nella quale la legge morale mi rivela una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero mondo sensibile, perlomeno quanto può essere dedotto dalla destinazione finale della mia esistenza attraverso questa legge, che non è limitata alla condizioni e ai confini di questa vita, ma si estende all'infinito. Però, stupore e rispetto possono sì spingere alla ricerca, ma non sostituirne la mancanza. (I. Kant)

mercoledì 23 luglio 2008

CONFUCIANESIMO


Il Confucianesimo è la dottrina di Confucio e dei suoi seguaci che ha dominato per oltre duemila anni la vita etica, politica e religiosa della Cina, in quanto prescriveva i riti di stato della casa imperiale, come pure il culto degli antenati della famiglia e forniva sia il codice pubblico di comportamento (che i regnanti della Cina e i loro funzionari dovevano rispettare), sia il codice privato della vita familiare. L'insegnamento di Confucio fu preservato dai suoi discepoli (alcuni dei quali, peraltro, raggiunsero posti di rilievo nell'amministrazione dello Stato feudale), nei "Colloqui", una raccolta non sistematica di brevi aneddoti e detti, fatta molti anni dopo la sua morte. I testi canonici, cioè i Quattro libri (intellettualmente più evoluti) e i Cinque canoni, hanno poco di religioso: si tratta piuttosto di regole per l'agire pratico (personale, familiare, sociale e politico-amministrativo). E' una sorta di filosofia del vivere civile, con risvolti che potremmo definire di tipo religioso. Non ci sono tuttavia rivelazioni, dogmi, sacramenti, miracoli, cosmogonie e apocalissi. Lo studio del Confucianesimo venne proibito durante la dinastia Qin (221-206 a.C.), che seguì a quella Chou. Unificando i vari Stati esistenti e proclamandosi per la prima volta nella storia cinese, imperatore, il sovrano Cheng iniziò un movimento irreversibile di identificazione nazionale, comportandosi in maniera ostile nei confronti della tradizione confuciana, ritenuta troppo compromessa col feudalesimo del periodo precedente (nel 213 a.C. ordinò addirittura il rogo dei libri confuciani). Ma la dinastia successiva degli Han (202 a.C.- 220 d.C.) restaurò le tradizioni confuciane, tanto che nel 59 d.C. l'imperatore Ming-Ti ordinò gli inizi di un culto a favore di Confucio. Da allora e sino agli inizi del XX sec. la sua popolarità non conobbe declini, nemmeno in presenza del buddismo.

domenica 13 luglio 2008

CACCIA ALLE STREGHE


Con i termini strega o stregone s'intende tradizionalmente una persona che esercita la stregoneria, ovvero si ritiene sia dotata di poteri occulti, attribuiti generalmente a rapporti con il diavolo. La figura della strega ha però radici che precedono il cristianesimo ed è presente in quasi tutte le culture come figura a metà strada tra lo sciamano e chi, dotato di poteri occulti, possa utilizzarli per nuocere alla comunità, soprattutto agricola. Il termine deriverebbe dal latino stryx, "barbagianni", e in Italia varia molto a seconda della zona a cui ci si riferisce. Nel latino medioevale il termine utilizzato è lamia. Dal XII seccolo ai primi del XVII, in tutta Europa decine di migliaia di persone, in gran parte donne, sono finite sul rogo con l’accusa di essere streghe, l'ignoranza a volte prendeva il sopravvento sull'effettiva verità di appartenenza al mondo della stregoneria. Il rogo, il fuoco era il purificatore dell'anima del condannato o della condannata, la strega principalmente era vista come nemica e combattuta, nacque così la famosa caccia alle streghe, con questa forma di persecuzione ne fecero spese anche persone innocenti solo magari per qualche diversità. Il Malleus maleficarum, pubblicato nel 1486, fu il più popolare fra i manuali per cacciatori di streghe durante il XVI e XVII secolo. La sua stesura si deve a due frati tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, persecutori d’eretici. Il Malleus forniva un avallo teologico alle superstizioni più grottesche e portò alla tortura e alla morte di migliaia di innocenti, soprattutto donne. Alle streghe si attribuiva un forte influsso sulla sessualità, e spesso le si riteneva responsabili di causare infatuazioni inopportune, impotenza e sterilità. Per cementare il loro patto con il diavolo, esse dovevano sovente avere rapporti sessuali con lui, mangiare bambini e fabbricare unguenti con i loro resti. Una volta stipulato il patto, i gesti magici della strega, erano un segnale per il demonio, che faceva accadere l’evento sottinteso. Il demonio era a disposizione della strega in ogni occasione. Le streghe accusate di malefici venivano di solito torturate finché confessavano, ma il Malleus raccomandava anche che le confessioni fossero estorte con promesse di clemenza che, però, venivano poi invariabilmente disattese.

domenica 6 luglio 2008

SPINOZA: L'ETICA


All'interno di questo quadro di regole strettamente necessarie, ci si chiede che spazio sia lasciato alla libertà dell'azione umana, e che significato abbia per Spinoza. Il progetto di Spinoza è innanzitutto quello di inquadrare l'azione umana in una geometria delle emozioni che ne spieghi i caratteri universali. Il principio fondamentale che caratterizza le azioni degli uomini è per Spinoza lo sforzo dell'autoconservazione (conatus): ogni cosa tende a insistere e perpetuarsi nel proprio essere secondo la propria essenza. Lo sforzo di autoconservazione della mente viene chiamato da Spinoza volontà, mentre quello del corpo appetito. Spinoza afferma anche che l'uomo non desidera una cosa perché la crede buona, piuttosto crede buona una cosa perché la desidera. Vi sono dunque le emozioni, e in particolare due emozioni fondamentali che sono la gioia e la tristezza, la gioia connessa alla conservazione e al perfezionamento del proprio essere, la tristezza connessa alla loro diminuzione. In tutto ciò Spinoza non attribuisce alcun valore morale a delle grandezze che egli intende alla stregua di numeri e preposizioni geometriche, è comunque evidente che l'uomo che si lascia sopraffare dalle emozioni si allontana dalla possibilità di intendere la perfetta razionalità della realtà: l'errore consiste in questa visione inadeguata e confusa dell'idea che è propria di chi non procede secondo ragione. La schiavitù dell'uomo si rispecchia dunque in questo rimanere sopraffatto dall'idea inadeguata e confusa, mentre l'unica libertà concessagli sta nel comprendere l'intrinseca razionalità che regola ogni cosa e adeguarvisi senza opporvi un'inutile quanto dannosa resistenza. Nella contemplazione della necessità, dunque, l'uomo trova il riposo alle sue pene e l'occasione della contemplazione di Dio (poiché Dio è la necessità stessa), Spinoza chiama amore intellettuale di Dio questa contemplazione consapevole della necessità (questo passaggio dell'etica spinoziana è pressoché equivalente all'etica stoica che si adegua al fato). La libertà per Spinoza consiste dunque nella rimozione degli ostacoli che impediscono di comprendere le regole razionali che ci determinano, la schiavitù consiste invece nell'ignoranza di queste regole.