domenica 26 luglio 2015

LA FILOSOFIA SECONDO ARISTOTELE

Aristotele concepisce la filosofia non tanto come un esercizio di sapienza, bensì un’attività scientifica articolata in un sistema di discipline distinte, e mirante ad abbracciare tutti gli aspetti della realtà. Essa non serve a trasformare il mondo, ma soltanto a comprenderne l’ordine e a giustificarlo così com’è. Il sapere è inteso come la conoscenza delle cause e i principi. Al di sopra di ogni disciplina, allo stagirita va il merito di aver insegnato la logica, l’arte del ragionare in modo corretto per scoprire la verità delle cose. Prima di lui, quando non si riusciva ad interpretare un fenomeno naturale, si credeva che intervenisse una forza soprannaturale. Egli dimostrò che con il ragionamento si potevano spiegare i fenomeni dell’Universo. Molte sue geniali osservazioni non sono ora più accettabili, in virtù del fatto che egli vi giunse solo con l’aiuto della logica, senza mai sperimentare. Le teorie di Aristotele furono considerate le più autorevoli fino a quando gli strumenti della fisica moderna, come il telescopio, non rilevarono i complessi aspetti dell’Universo. La concezione aristotelica dell’Universo è la seguente: una serie di sfere concentriche, al cui centro si trova la Terra. Al limite esterno si trova una sfera di dimensioni finite contenente le cosiddette stelle fisse. L’universo risulta quindi finito e circoscritto da una specie d’involucro materiale. Il Sole è considerato l’elemento che assicura il rapporto fra i moti astrali e la vita terrestre. Gran parte della riflessione logica consiste nella descrizione delle forme proprie della lingua greca. Dietro di ciò agisce nel filosofo stagirita la consapevolezza dell’esistenza di uno stretto rapporto fra linguaggio e ordine della realtà. L’intero campo del sapere è diviso in tre partizioni: le discipline poietiche, quelle pratiche e quelle teoriche. Le prime sono quelle il cui scopo sta nella produzione di oggetti materiali. Le seconde producono non oggetti, bensì comportamenti umani. Le terze infine, sono caratterizzate da finalità esclusivamente conoscitive. Lo scopo della scienza aristotelica consiste nel penetrare più a fondo possibile nella struttura delle singole cose che popolano l’universo, che variano dagli astri, le specie biologiche, la psiche umana e i diversi regimi sociali. Il filosofo stagirita è considerato il principale teorico della tragedia. Nell’antichità greca questo genere drammatico era definito come mimesi, in altre parole imitazione della natura e della vita. Aristotele attribuisce alla mimesi ulteriore e inconfondibili caratteri. Essa non è tanto imitazione della storia, ma del verisimile. Non si tratta di scrivere cose realmente accadute, bensì quelle che potrebbero accadere. Un altro elemento introdotto è la catarsi: la purificazione che la rappresentazione teatrale esercita nell’animo degli spettatori. La natura invece è intesa come un insieme di realtà dotate di autonomia e di una capacità di generare processi finalizzati alla realizzazione di un’ordine. Il Dio di Aristotele è il frutto di un’esigenza cosmologica, e non di un bisogno di salvezza. E’ la condizione assoluta della vita e del pensiero. Dio inoltre garantisce la stabilità e l’ordine del mondo. Il filosofo stagirita attribuisce una sostanziale importanza anche alla psiche, alla quale dedica un’intera opera: l’Anima. Essa non è altro che una forma di un corpo vivente, la struttura funzionante di un organismo biologico. Corpo e anima stanno nello stesso rapporto di materia e forma, potenza e atto, organo e funzione.

lunedì 13 aprile 2015

ONTOLOGIA



Nella filosofia tradizionale l'ontologia indica lo studio dell’ente, mirato ad individuarne i caratteri universali e le categorie fondamentali. L’ontologia è legata indissolubilmente al pensiero di Aristotele che la definisce “prima filosofia” o metafisica. Il noto filosofo greco descrive l’ontologia come “scienza dell'essere in quanto essere”. Secondo le dottrine aristoteliche l’ontologia deve occuparsi dello studio degli esseri nella misura in cui questi esistono: il suo obiettivo è dunque quello di determinare quali categorie dell'essere sono fondamentali e di stabilire se, e in che modo, gli elementi di tali categorie esistono. In tempi più recenti il concetto di ontologia è stato associato alla tradizione teologica ed in particolare ad alcune questioni fondamentali relative al divino e alla sua esistenza. La generalizzazione di tali riflessioni e la loro applicazione ad altri esseri, diversi da Dio, ha poi determinato una ripresa degli studi ontologici. "Cosa esiste", "Cosa è", "Cosa sono io" sono tutti esempi di domande importanti relative all'essere, che consentono di individuare la questione chiave attorno alla quale ruota l’intera ricerca ontologica, ovvero l’individuazione di un soggetto, una relazione, ed un oggetto di cui parlare. Se durante il periodo dell’Illuminismo, e per parte del secolo successivo, il prevalere delle idee di Cartesio, secondo cui “cogito ergo sum” (penso quindi sono), ha portato a minimizzare l’importanza di riflessioni mirate alla descrizione dell’essere, gli studi ontologici hanno invece accompagnato senza interruzione l’intero corso della storia recente, spingendo i più grandi pensatori verso numerose ed interessanti riflessioni. Nella maggior parte dei casi l’analisi dei grandi filosofi si è spinta nella direzione di individuare le categorie fondamentali dell’essere, ricercando le testimonianze manifeste della sua natura. Nel XX secolo le numerose scoperte effettuate in campo fisico e scientifico (quali la teoria della relatività e gli studi sulle particelle) hanno esplorato aspetti della realtà assolutamente sconosciuti, ponendo una serie di nuovi importanti interrogativi. Le intuizioni dei ricercatori hanno spinto i filosofi verso nuovi approfondimenti e l’analisi delle questioni fondamentali poste dall’ontologia si è arricchita grazie alle nuove conoscenze, dando luogo ad un notevole progresso che ha influenzato anche altri ambiti del sapere. Oggi la lunga tradizione degli studi sull’essere e sulle sue categorie, offre spunti fondamentali per trovare soluzioni efficaci in un ambito la cui rilevanza diventa sempre maggiore: la gestione della conoscenza (knowledge management). Cambia l’oggetto dell’analisi, ma i metodi e le direttive dell’indagine sono simili: individuare le categorie fondamentali della conoscenza e comprenderne l’essenza e la struttura sono i nuovi obiettivi. A differenza della ricerca filosofica però, che quasi sempre evita di offrire una risposta definitiva continuando invece a porre nuovi interrogativi, questi nuovi studi stanno portando a risultati concreti: le soluzioni adottate, basate appunto sull’applicazione in ambiti pratici del concetto di ontologia, migliorano sensibilmente la diffusione e l’utilizzo delle informazioni. In questo contesto enorme importanza riveste ovviamente la diffusione delle nuove tecnologie informatiche: i nuovi strumenti di cui disponiamo, uniti alla sapienza che deriva da una tradizione di pensiero ormai millenaria, consentono di costruire sistemi realmente potenti per la gestione della conoscenza.

venerdì 13 marzo 2015

ORFISMO

L'Orfismo è da considerarsi uno dei fenomeni religiosi misterici più importanti della Grecia antica del VI secolo a.C.; in esso va rinvenuta la radice dei Misteri eleusini (riti religiosi misterici che si celebravano nel santuario di Demetra, nella città greca di Eleusi) e degli Oracoli di Delfi. Elemento interiore di una religione esteriore che aveva i suoi dei nei rappresentanti planetari - Zeus, Giove, ecc. - l'Orfismo dimostra stretti collegamenti con radici anteriori e antichissime, che ne collegano la dottrina a fonti egizie e mesopotamiche.  La conoscenza dell'Orfismo è molto migliorata in tempi recenti, grazie alle scoperte archeologiche succedutesi nel corso del XIX - XX secolo, che ne rivalutano l'interesse registrato in età umanistica presso l'Accademia Platonica Fiorentina (e, in particolare, da Pico della Mirandola). Spesso frainteso e contestato, l'Orfismo rappresenta un filo conduttore della cultura europea, la cui traccia più evidente è data dall'influenza sull'immaginario e sulla letteratura. L'Orfismo si caratterizza anche per una geografia mitica del mondo ctonio sotterraneo, tra cui i fiumi dell' Ade (Flegetonte, Cocito, Acheronte, Stige). Il nome deriva da Orfeo, in quanto sacerdote del culto di Dioniso. Sotto il profilo estetico, molta parte esteriore è assorbita dal mito come narrato da Ovidio, di Orfeo e Euridice.
Caratteristiche del culto
Essenziale per l'orfismo è la concezione del corpo e della sua necessità di trasmigrare finché non raggiunge la perfezione secondo le regole di vita rese comprensibili dal culto orfico. L'anima, che risiedeva nei cieli, compie un peccato e cade dal regno dei cieli sulla terra reincarnandosi in un corpo, che utilizza per espiare la propria colpa. Con la morte, l'anima (il daimon dei greci) trasmigra e si ricompone, non sulla base di un principio individuale ma su nuova aggregazione per qualità magnetiche, in un altro corpo che può anche non essere quello di una persona (questo dipendeva anche dal comportamento che il daimon aveva tenuto nella vita precedente). L'Orfismo addolcisce gli aspetti più cruenti del culto di Dioniso e sostituisce le danze orgiastiche, il vino e la carne, con offerte vegetali e d'incenso, accompagnate da danze e canti liturgici. Di questi canti sono presenti attestazioni ritrovate in lamine di rame, a scopo cerimoniale, largamente diffuse nell'Italia meridionale, la Magna Grecia.
Contesto storico
Il culto orfico non ha un'età definita. Si può individuare in esso la fonte più autorevole ed evidente della connessione tra dottrina arcaica greca e sapienza egizia e mesopotamica. Il suo sviluppo e diffusione toccano un apogeo in un periodo di forte contrasto politicosociale, in quanto molte delle oligarchie e delle monarchie del mondo greco cadono, in favore, prima, delle democrazie e, in seguito, delle tirannidi. Si tratta di un'epoca di forte trasformazione sociale, dove il popolo acquista una forte coscienza dei propri diritti. L'orfismo dunque rappresenta il desiderio della liberazione da regimi sanguinari, il sacro rifugio degli spiriti migliori, dove è promesso agli adepti conforto nel presente, libertà nel futuro. Questo movimento dunque trova molta simpatia presso il popolo (nelle democrazie) e presso le tirannidi più illuminate, poiché si appoggiano al popolo per rovesciare il potere oligarchico-aristocratico nelle loro mani. È nota infatti la presenza di molti teologi orfici presso le corti delle tirannidi. La tradizione poetica che riguarda l'orfismo è stata considerata lungamente perduta. I ritrovamenti archeologici più recenti rendono possibile un suo inquadramento storico e dottrinale compiuto.
Influenze dell'Orfismo
L'Orfismo è una corrente artistica che trova le sue radici nella dottrina greca, con ascendenze che sono chiaramente egizie e mesopotamiche e con discendenze che ne proiettano il cono di influenza su tutto il Mediterraneo e, per il tramite di adattamenti e trasposizioni, in tutta l'Europa continentale. Questi influssi sono rintracciabili in letteratura con l’evidente continuità dottrinale che intreccia l’Enuma Elish mesopotamico con il Papiro di Ani egizio, e li congiunge con il poema “Teogonia” di Esiodo, la cui trama si ripercuote sull’”Eneide” di Virgilio, la “Divina Commedia” di Dante, il “Paradise Lost” di John Milton, le “Illuminations” di William Blake. L’elenco potrebbe continuare, ma questo può bastare ad identificare l’Orfismo come matrice della cultura illuministica europea. Il Rinascimento ha conosciuto soprattutto gli Inni Orfici. Questi Inni, nelle attuali edizioni, sono in numero di ottantasette, più un proemio. Sono dedicati a varie divinità, e risultano distribuiti secondo un preciso ordine concettuale. Accanto a dottrine risalenti all'Orfismo originario, contengono dottrine stoiche e dottrine provenienti dall'ambiente filosoficoteologico alessandrino, quindi sono sicuramente di tarda composizione, scritti con ogni probabilità fra il II e il III secolo dopo Cristo. Forse gli Inni, singolarmente o per gruppi, sono stati composti in tempi differenti, ma, in ogni caso, colui che li ha riuniti insieme ha seguito un certo criterio coerente, tanto è vero che si comincia con l'inno Profumo di Prothyraia, soccorritrice nelle doglie, ossia nelle nascite, e si termina con l'inno Profumo di morte, e dunque inizia con l'immagine simbolica del principio della vita e finisce con l'immagine simbolica della morte. La struttura formale-letteraria non è sempre uniforme: gli inni autenticamente orfici e cultuali sono costituiti pressoché integralmente da una serie di epiteti che alludono o alle caratteristiche essenziali della divinità o alle vicende storiche della sua vita divina; assumono insomma quella forma, sia pure ridotta e dissimulata, di litania, che è frequente nell’innografia liturgica. In altri invece è presente un certo compiacimento letterario che si indugia in descrizioni naturalistiche o in brevi considerazioni morali che denotano nei loro autori un impegno non immediatamente religioso. Non soltanto appartengono a mano diversa, ma hanno avuto un origine extraorfica e sono passati più tardi, in un tempo imprecisabile, a far parte della raccolta che possediamo – e con tanta maggior facilità quanto più accoglienti erano il sincretismo dell’ Orfismo e quello ambientale. Gli inni orfici erano molto apprezzati nel Rinascimento; Marsilio Ficino e i suoi contemporanei credevano che fossero stati scritti dallo stesso Orfeo. Pico della Mirandola in una delle sue “Conclusiones Orphicae” afferma: “ Nell’ambito della magia spirituale non c’è niente di più efficace degli Inni di Orfeo, se si eseguono con il consenso di una musica adatta, di un’opportuna disposizione dell’animo e delle altre circostanze ben note al saggio”.









domenica 25 gennaio 2015

JEAN PIAGET: IL PENSIERO



Lo studioso che ha maggiormente contribuito a modificare l'immagine del fanciullo e dell'educazione nel XX secolo è Jean Piaget, benché non sia un pedagogista, ma uno psicologo. Il suo apporto alla psicologia dell'età evolutiva consiste nell'aver dato una consistenza concreta e scientifica all'idea della pedagogia moderna (da Rousseau all'attivismo) circa la specificità della natura infantile che nei suoi modi di pensare, agire, amare, fare, parlare è profondamente diversa da quella dell'adulto. Per quanto attiene alla pedagogia, Piaget ha sempre sostenuto la necessità di un suo passaggio ad una fase scientifica con precisi punti di riferimento nella psicologia sperimentale, nella sociologia e nei raccordi interdisciplinari, anche se non la concepisce come una disciplina puramente applicativa. L'educatore, infatti, deve avere una preparazione psicologica e deve conoscere quanto gli viene offerto dalla psicologia, ma tocca poi a lui vedere come potrà utilizzare questo bagaglio conoscitivo ideando un insieme di tecniche da sperimentare e adattare personalmente. Certo Piaget ritiene che i tempi e la successione delle fasi di sviluppo psicologico siano immodificabili, togliendo in tal modo rilevanza ed efficacia all'intervento dell'adulto che non può né cambiare né accelerare questi aspetti. L'educazione dunque può solo preparare l'ambiente alla loro comparsa o al loro rinforzo. Poiché il motore dell'intelligenza è la sua azione, l'educatore deve predisporre le condizioni idonee all'esercizio di questo fare, adeguando le sue richieste al livello di sviluppo dell'allievo e costruendo situazioni perché questo adeguamento si produca. Questa centralità del fare (che si traduce in un "far fare") costituisce il punto di vicinanza di Piaget con l'attivismo. Perciò lo scienziato svizzero, se ha sempre insistito sulla necessità di un adeguamento della scuola alle scoperte della psicologia, ha caldeggiato anche un nuovo profilo professionale degli insegnanti che conciliasse la padronanza dei contenuti disciplinari con una solida preparazione psicologica e un'adeguata capacità di gestione dei metodi e della scuola secondo valenze interdisciplinari. In questo senso la didattica deve essere psicologica e l'insegnante un ricercatore in grado di trovare le condizioni migliori per l'apprendimento e le sottostanti dinamiche psicologiche. Si spiega così anche lo sforzo di Piaget di indagare e chiarire le strutture logiche, linguistiche metodologiche delle discipline in quanto, insieme con la delineazione dei momenti di costruzione, formazione e mutamento delle strutture logiche, psicologiche, cognitive, linguistiche, etiche ecc. dovrebbe essere così possibile dare un'impostazione nuova e funzionale ai metodi, ai curricoli e alla programmazione scolastica. In un contesto storico contrassegnato da profondi cambiamenti sociali, economici e tecnologici, Piaget reca in tal modo il suo contributo ad un adeguamento della scuola e dell'educazione nel delicato momento del passaggio da una scuola d'élite a una scuola di massa e a una formazione permanente.

lunedì 5 gennaio 2015

IL RASOIO DI OCCAM


Il rasoio di Occam è il nome con cui viene contraddistinto un principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham (noto in italiano come Guglielmo di Ockham). Tale principio, alla base del pensiero scientifico moderno, nella sua forma più semplice suggerisce l'inutilità di formulare più assunzioni di quelle strettamente necessarie per spiegare un dato fenomeno: il rasoio di Ockham impone di scegliere, tra le molteplici cause, quella che spiega in modo più semplice l'evento. La formula, utilizzata spesso in ambito investigativo e - nel moderno gergo tecnico - di problem solving, recita: “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” non moltiplicare gli elementi più del necessario” . In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. All'interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità. Tra le varie spiegazioni possibili di un evento, è quella più semplice che ha maggiori possibilità di essere vera (anche in base a un altro principio, elementare, di economia di pensiero: se si può spiegare un dato fenomeno senza supporre l'esistenza di qualche ente, è corretto il farlo, in quanto è ragionevole scegliere, tra varie soluzioni, la più semplice e plausibile). Il rasoio di Occam trova spesso luogo in discussioni eminentemente dotte e scientifiche (esempio tipico, nel campo della fisica e della scienza in generale). Concettualmente non si tratta di novità, perché il principio di semplicità era già ben noto a tutto il pensiero scientifico medioevale, ma esso acquista in Occam una forza nuova e per certi versi devastante a causa della sua concezione volontarista: se il mondo è stato creato da Dio solo sulla base della volontà (e non per intelletto e volontà, come diceva Tommaso d'Aquino), devono sparire tutti i concetti relativi a regole e leggi, come quello di sostanza o di legge naturale.