Immanuel
Kant nacque a Konigsberg, nella Prussia orientale, nel 1724, da una famiglia di
modeste condizioni economiche. Nel 1732 entrò nel Collegium Friedercianum e dal
1740, per circa sei anni, frequentò i corsi di filosofia, matematica e di
teologia dell'università della sua città natale, dove studiò la dottrina
newtoniana e l'opera di Wolf. Conclusi i suoi studi universitari, Kant divenne
per circa nove anni istitutore presso alcune famiglie nobili in varie località
della Prussia orientale. Nel 1755 ottenne la libera docenza all'università di
Konigsberg, dove tenne dei corsi liberi, finché nel 1770 non gli venne
assegnata la cattedra ufficiale di filosofia, cattedra che conservò fino al
1796. Gli ultimi anni del suo insegnamento furono segnati da un contrasto sorto
con il governo prussiano, che gli vietò l'insegnamento di alcune dottrine
religiose presentate in un suo scritto. Morì a Konisberg nel 1804. La prima fase della produzione di Kant è
caratterizzata dall'interesse verso le scienze e la filosofia naturale,
nell'intento di descrivere i fenomeni senza dover ricorrere a cause puramente
ipotetiche. Nella Storia universale della natura e teoria del cielo, sotto
l'influsso di Newton, questi applica le forze di attrazione e repulsione per
elaborare una teoria meccanicistica riguardante la formazione dell'universo,
senza la necessità di dover ricorrere ad argomenti teologici al fine di
spiegare i fenomeni naturali. Alle opere di argomento scientifico, segue una
serie di scritti tesi a tentare una riorganizzazione della filosofia, nei quali
vanno progressivamente delineandosi i temi di quella che sarà poi la filosofia
trascendentale kantiana. Qui Kant si propone di cercare un metodo filosofico
rigoroso per approdare ad una certezza metafisica che sia paragonabile a quella
raggiunta nell'ambito delle scienze sperimentali. Egli critica la metafisica
tradizionale, contrapponendole una metafisica intesa come scienza dei limiti
della ragione. Nella Critica della ragion pura Kant si propone di sottoporre a
giudizio la ragione umana. Per critica della ragion pura qui si intende
l'indagine rigorosa "della facoltà della ragione riguardo a tutte le
conoscenze a cui può aspirare indipendentemente da ogni esperienza", al
fine di poter stabilire la possibilità di una metafisica come scienza. La
conoscenza dovuta all'esperienza è detta a posteriori, mentre quella che è
indipendente dall'esperienza è detta a priori. Solo la conoscenza a priori è
universale e necessaria. La conoscenza si compone di una materia (le
impressioni sensibili derivanti dall'esperienza) e da una forma (l'ordine e
l'unità che le nostre facoltà conferiscono alla materia). La conoscenza
scientifica, come opera nella matematica e nella fisica, è una sintesi a
priori, vale a dire che contiene giudizi sintetici a priori, dove sintetico
significa che il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto, e a priori
vuol dire universale e necessario e perciò non derivante dall'esperienza.
L'opera ha quindi lo scopo di rispondere alla domanda come siano possibili
giudizi sintetici a priori, ovvero come è possibile la scienza, visto che opera
con simili giudizi. Tali "condizioni di possibilità" della scienza e
della conoscenza risiedono negli elementi a priori che ordinano le impressioni:
l'oggetto dell'esperienza risulta da una sintesi tra un dato della sensibilità
e un elemento a priori e Kant chiama tale oggetto fenomeno. La Critica della
ragion pura vuole indagare gli elementi formali, o trascendentali, della
conoscenza, dove con trascendentale si intende una conoscenza "che si occupa
non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti". Tale
inversione nel rapporto conoscitivo per cui è l'oggetto ricevuto dalla
sensibilità e pensato dall'intelletto che si adegua al soggetto conoscente e
non viceversa viene definita da Kant la rivoluzione copernicana del pensiero.
La Critica della ragion pura si divide nell'estetica trascendentale e nella
logica trascendentale, la quale è a sua volta suddivisa in analitica
trascendentale (analitica dei concetti e analitica dei princìpi) e dialettica
trascendentale. L'estetica trascendentale determina le forme pure della
sensibilità, entro cui le sensazioni sono ordinate. Queste sono le intuizioni
pure di spazio e di tempo, che possiedono una realtà empirica ed una idealità
trascendentale, condizionando il modo delle cose di apparire a noi. Se la
sensibilità è recettività, l'intelletto è spontaneità e la sua attività è il
giudizio. Ne deriva che pensare altro non è che giudicare. La logica
trascendentale astrae dal contenuto empirico e tratta dei concetti puri, o
categorie dell'intelletto. L'attività dell'intelletto si esplica nel giudicare
secondo classi (quantità, qualità, relazione, modalità) che si articolano in
funzioni intellettuali, le dodici categorie: unità, realtà, sostanzialità e inerzia,
possibilità e impossibilità, molteplicità, negazione, causalità e dipendenza,
esistenza e inesistenza, totalità, limitazione, comunanza e reciprocità di
azione, necessità e casualità. Per applicare le categorie agli oggetti
dell'esperienza occorre il passaggio della deduzione trascendentale. Se infatti
nella sensibilità il molteplice dell'esperienza viene ordinato secondo le
intuizioni di spazio e di tempo, nell'intelletto il molteplice dato dalla
sensibilità deve sottomettersi "alle condizioni dell'unità sintetica
originaria dell'appercezione": l'Io penso. Il pensiero di un oggetto
mediante i concetti dell'intelletto può diventare conoscenza solo se
relazionato agli oggetti dei sensi. Questo significa che pensare e conoscere
non sono la stessa cosa: un oggetto può essere pensato tramite le categorie, ma
tale oggetto pensato può essere conosciuto solo mediante le intuizioni
sensibili di spazio e tempo. L'analitica dei princìpi insegna ad applicare i
concetti ai fenomeni, e questo implica che sia trovata una mediazione tra
sensibilità e intelletto, tra intuizione e concetto. Occorre cioè un terzo
termine, omogeneo con il concetto, che è intellettuale, e con il fenomeno, che
è sensibile: si tratta dello schema trascendentale, un prodotto
dell'immaginazione. L'immaginazione configura nel tempo (che è a priori come le
categorie dell'intelletto e intuibile come le forme pure della sensibilità),
secondo le varie categorie, il materiale fornito dalla sensibilità. La
dialettica trascendentale intende dimostrare che i giudizi sintetici a priori
valgono solo per le cose come appaiono, per i fenomeni. I giudizi sintetici a
priori risultano pertanto illegittimi se applicati alle cose in sé, che Kant
definisce noumeni e ci dice essere inconoscibili. Ne deriva che se le categorie
hanno una funzione costitutiva nella conoscenza, le tre idee di anima, mondo e
Dio, fondamento del sapere metafisico, hanno solo una funzione regolatrice e
sono pensate dalla ragione, che a differenza dell'intelletto non opera sui dati
sensibili, gli unici veramente conoscibili. La ragione tende ad unificare i
dati interni attraverso l'idea di anima, i dati esterni attraverso l'idea di
mondo e a fondare tutto l'esistente nell'idea di Dio. L'errore nasce se la
ragione pretende di entificare, di trasformare cioè in enti reali, queste idee
di cui non abbiamo alcuna esperienza, traendone una conoscenza, la metafisica
tradizionale, che è illusoria poiché pretende di andare oltre i limiti
dell'esperienza sensibile. Risulta perciò negativa la risposta alla domanda
iniziale, ossia se sia possibile una metafisica come scienza. Scopo della
Critica della ragion pratica è la ricerca delle condizioni della morale.
Nell'uomo è presente una legge morale (un fatto della ragione) che comanda
quale imperativo categorico, vale a dire incondizionatamente. Questa legge del
dovere comanda per la sua forma di legge, come norma che prescrive di obbedire
alla ragione, e perciò a differenza della massima (che regola la condotta
individuale) deve essere universale, principio oggettivo valido per tutti:
indica come fine il rispetto della persona umana e afferma l'indipendenza della
volontà come pure l'autonomia della ragione. Il dovere per il dovere indirizza
quindi a quell'ordine morale, il regno dei fini, in cui il valore di un'azione
dipende dalla conformità della volontà alla prescrizione della legge morale. I
postulati della legge sono innanzitutto e fondamentalmente la libertà (se
l'uomo non fosse libero non ci sarebbe moralità), l'immortalità dell'anima
(poiché nel nostro mondo non si realizza mai la piena concordanza della volontà
alla legge che rende degni del sommo bene) e l'esistenza di Dio (che fa
corrispondere la felicità al merito acquisito). Così le idee della ragione
(anima e Dio), solo pensabili nella Critica della ragion pura, ora si
presentano come postulati della moralità. Tra il mondo dei fenomeni, di cui si
dà scienza, e il regno dei fini, sottratto al determinismo e del tutto libero,
c'è eterogeneità, eppure il mondo noumenico (cioè "pensato quale deve
essere secondo i dettami della legge morale") deve avere qualche riflesso
su quello sensibile perché la libertà possa attuarvisi. L'attività del
giudizio, argomento della Critica del giudizio, deve proprio scorgere questo
riflesso del regno dei fini sul mondo fenomenico e lo può fare in due modi:
quale giudizio determinante o quale giudizio riflettente. Il caso del giudizio
determinante è quello del giudizio gnoseologico e morale, in cui è già data una
norma universale che permette all'intelletto e alla volontà di determinare il
particolare, ossia il dato della scienza o l'azione della morale, sussumendolo
sotto le categorie dell'intelletto o sotto la legge morale (per esempio: la
combustione del legno è dovuta al fuoco; questa azione è giusta). L'esigenza
del giudizio riflettente consiste nel fatto che, dato il molteplice empirico, è
necessario trovare il suo principio unitario, la finalità della natura,
formulato dalla facoltà di giudizio riflettendo su se medesima e sulla propria
esigenza di unità. Il giudizio riflettente può essere di tipo estetico,
riguardante cioè la bellezza, e di tipo teleologico, o finalistico, riguardante
cioè gli scopi della natura: entrambi si fondano sulla finalità, vale a dire su
un rapporto di armonia e di accordo reciproco fra parti, e non hanno valore
conoscitivo.