Aristotele
concepisce la filosofia non tanto come un esercizio di sapienza,
bensì un’attività scientifica articolata in un sistema di
discipline distinte, e mirante ad abbracciare tutti gli aspetti della
realtà. Essa non serve a trasformare il mondo, ma soltanto a
comprenderne l’ordine e a giustificarlo così com’è. Il sapere è
inteso come la conoscenza delle cause e i principi. Al di sopra di
ogni disciplina, allo stagirita va il merito di aver insegnato la
logica, l’arte del ragionare in modo corretto per scoprire la
verità delle cose. Prima di lui, quando non si riusciva ad
interpretare un fenomeno naturale, si credeva che intervenisse una
forza soprannaturale. Egli dimostrò che con il ragionamento si
potevano spiegare i fenomeni dell’Universo. Molte sue geniali
osservazioni non sono ora più accettabili, in virtù del fatto che
egli vi giunse solo con l’aiuto della logica, senza mai
sperimentare. Le teorie di Aristotele furono considerate le più
autorevoli fino a quando gli strumenti della fisica moderna, come il
telescopio, non rilevarono i complessi aspetti dell’Universo. La
concezione aristotelica dell’Universo è la seguente: una serie di
sfere concentriche, al cui centro si trova la Terra. Al limite
esterno si trova una sfera di dimensioni finite contenente le
cosiddette stelle fisse. L’universo risulta quindi finito e
circoscritto da una specie d’involucro materiale. Il Sole è
considerato l’elemento che assicura il rapporto fra i moti astrali
e la vita terrestre. Gran parte della riflessione logica consiste
nella descrizione delle forme proprie della lingua greca. Dietro di
ciò agisce nel filosofo stagirita la consapevolezza dell’esistenza
di uno stretto rapporto fra linguaggio e ordine della realtà.
L’intero campo del sapere è diviso in tre partizioni: le
discipline poietiche, quelle pratiche e quelle teoriche. Le prime
sono quelle il cui scopo sta nella produzione di oggetti materiali.
Le seconde producono non oggetti, bensì comportamenti umani. Le
terze infine, sono caratterizzate da finalità esclusivamente
conoscitive. Lo scopo della scienza aristotelica consiste nel
penetrare più a fondo possibile nella struttura delle singole cose
che popolano l’universo, che variano dagli astri, le specie
biologiche, la psiche umana e i diversi regimi sociali. Il filosofo
stagirita è considerato il principale teorico della tragedia.
Nell’antichità greca questo genere drammatico era definito come
mimesi, in altre parole imitazione della natura e della vita.
Aristotele attribuisce alla mimesi ulteriore e inconfondibili
caratteri. Essa non è tanto imitazione della storia, ma del
verisimile. Non si tratta di scrivere cose realmente accadute, bensì
quelle che potrebbero accadere. Un altro elemento introdotto è la
catarsi: la purificazione che la rappresentazione teatrale esercita
nell’animo degli spettatori. La natura invece è intesa come un
insieme di realtà dotate di autonomia e di una capacità di generare
processi finalizzati alla realizzazione di un’ordine. Il Dio di
Aristotele è il frutto di un’esigenza cosmologica, e non di un
bisogno di salvezza. E’ la condizione assoluta della vita e del
pensiero. Dio inoltre garantisce la stabilità e l’ordine del
mondo. Il filosofo stagirita attribuisce una sostanziale importanza
anche alla psiche, alla quale dedica un’intera opera: l’Anima.
Essa non è altro che una forma di un corpo vivente, la struttura
funzionante di un organismo biologico. Corpo e anima stanno nello
stesso rapporto di materia e forma, potenza e atto, organo e
funzione.
domenica 26 luglio 2015
lunedì 13 aprile 2015
ONTOLOGIA
Nella
filosofia tradizionale l'ontologia indica lo studio dell’ente, mirato ad
individuarne i caratteri universali e le categorie fondamentali. L’ontologia è
legata indissolubilmente al pensiero di Aristotele che la definisce “prima filosofia”
o metafisica. Il noto filosofo greco descrive l’ontologia come “scienza
dell'essere in quanto essere”. Secondo le dottrine aristoteliche l’ontologia
deve occuparsi dello studio degli esseri nella misura in cui questi esistono:
il suo obiettivo è dunque quello di determinare quali categorie dell'essere
sono fondamentali e di stabilire se, e in che modo, gli elementi di tali
categorie esistono. In tempi più recenti il concetto di ontologia è stato
associato alla tradizione teologica ed in particolare ad alcune questioni
fondamentali relative al divino e alla sua esistenza. La generalizzazione di
tali riflessioni e la loro applicazione ad altri esseri, diversi da Dio, ha poi
determinato una ripresa degli studi ontologici. "Cosa esiste", "Cosa
è", "Cosa sono io" sono tutti esempi di domande importanti
relative all'essere, che consentono di individuare la questione chiave attorno
alla quale ruota l’intera ricerca ontologica, ovvero l’individuazione di un
soggetto, una relazione, ed un oggetto di cui parlare. Se durante il periodo
dell’Illuminismo, e per parte del secolo successivo, il prevalere delle idee di
Cartesio, secondo cui “cogito ergo sum” (penso quindi sono), ha portato a
minimizzare l’importanza di riflessioni mirate alla descrizione dell’essere,
gli studi ontologici hanno invece accompagnato senza interruzione l’intero
corso della storia recente, spingendo i più grandi pensatori verso numerose ed
interessanti riflessioni. Nella maggior parte dei casi l’analisi dei grandi
filosofi si è spinta nella direzione di individuare le categorie fondamentali
dell’essere, ricercando le testimonianze manifeste della sua natura. Nel XX
secolo le numerose scoperte effettuate in campo fisico e scientifico (quali la
teoria della relatività e gli studi sulle particelle) hanno esplorato aspetti
della realtà assolutamente sconosciuti, ponendo una serie di nuovi importanti
interrogativi. Le intuizioni dei ricercatori hanno spinto i filosofi verso
nuovi approfondimenti e l’analisi delle questioni fondamentali poste
dall’ontologia si è arricchita grazie alle nuove conoscenze, dando luogo ad un
notevole progresso che ha influenzato anche altri ambiti del sapere. Oggi la
lunga tradizione degli studi sull’essere e sulle sue categorie, offre spunti
fondamentali per trovare soluzioni efficaci in un ambito la cui rilevanza
diventa sempre maggiore: la gestione della conoscenza (knowledge management).
Cambia l’oggetto dell’analisi, ma i metodi e le direttive dell’indagine sono
simili: individuare le categorie fondamentali della conoscenza e comprenderne
l’essenza e la struttura sono i nuovi obiettivi. A differenza della ricerca
filosofica però, che quasi sempre evita di offrire una risposta definitiva
continuando invece a porre nuovi interrogativi, questi nuovi studi stanno
portando a risultati concreti: le soluzioni adottate, basate appunto
sull’applicazione in ambiti pratici del concetto di ontologia, migliorano
sensibilmente la diffusione e l’utilizzo delle informazioni. In questo contesto
enorme importanza riveste ovviamente la diffusione delle nuove tecnologie
informatiche: i nuovi strumenti di cui disponiamo, uniti alla sapienza che
deriva da una tradizione di pensiero ormai millenaria, consentono di costruire
sistemi realmente potenti per la gestione della conoscenza.
venerdì 13 marzo 2015
ORFISMO
L'Orfismo
è da considerarsi uno dei fenomeni religiosi misterici più
importanti della Grecia antica del VI secolo a.C.; in esso va
rinvenuta la radice dei Misteri eleusini (riti religiosi misterici
che si celebravano nel santuario di Demetra, nella città greca di
Eleusi) e degli Oracoli di Delfi. Elemento interiore di una religione
esteriore che aveva i suoi dei nei rappresentanti planetari - Zeus,
Giove, ecc. - l'Orfismo dimostra stretti collegamenti con radici
anteriori e antichissime, che ne collegano la dottrina a fonti egizie
e mesopotamiche. La conoscenza dell'Orfismo è molto
migliorata in tempi recenti, grazie alle scoperte archeologiche
succedutesi nel corso del XIX - XX secolo, che ne rivalutano
l'interesse registrato in età umanistica presso l'Accademia
Platonica Fiorentina (e, in particolare, da Pico della Mirandola).
Spesso frainteso e contestato, l'Orfismo rappresenta un filo
conduttore della cultura europea, la cui traccia più evidente è
data dall'influenza sull'immaginario e sulla letteratura. L'Orfismo
si caratterizza anche per una geografia mitica del mondo ctonio
sotterraneo, tra cui i fiumi dell' Ade (Flegetonte, Cocito,
Acheronte, Stige). Il nome deriva da Orfeo, in quanto sacerdote del
culto di Dioniso. Sotto il profilo estetico, molta parte esteriore è
assorbita dal mito come narrato da Ovidio, di Orfeo e Euridice.
Caratteristiche
del culto
Essenziale
per l'orfismo è la concezione del corpo e della sua necessità di
trasmigrare finché non raggiunge la perfezione secondo le regole di
vita rese comprensibili dal culto orfico. L'anima, che risiedeva nei
cieli, compie un peccato e cade dal regno dei cieli sulla terra
reincarnandosi in un corpo, che utilizza per espiare la propria
colpa. Con la morte, l'anima (il daimon dei greci) trasmigra e si
ricompone, non sulla base di un principio individuale ma su nuova
aggregazione per qualità magnetiche, in un altro corpo che può
anche non essere quello di una persona (questo dipendeva anche dal
comportamento che il daimon aveva tenuto nella vita precedente).
L'Orfismo addolcisce gli aspetti più cruenti del culto di Dioniso e
sostituisce le danze orgiastiche, il vino e la carne, con offerte
vegetali e d'incenso, accompagnate da danze e canti liturgici. Di
questi canti sono presenti attestazioni ritrovate in lamine di rame,
a scopo cerimoniale, largamente diffuse nell'Italia meridionale, la
Magna Grecia.
Contesto
storico
Il
culto orfico non ha un'età definita. Si può individuare in esso la
fonte più autorevole ed evidente della connessione tra dottrina
arcaica greca e sapienza egizia e mesopotamica. Il suo sviluppo e
diffusione toccano un apogeo in un periodo di forte contrasto
politicosociale, in quanto molte delle oligarchie e delle monarchie
del mondo greco cadono, in favore, prima, delle democrazie e, in
seguito, delle tirannidi. Si tratta di un'epoca di forte
trasformazione sociale, dove il popolo acquista una forte coscienza
dei propri diritti. L'orfismo dunque rappresenta il desiderio della
liberazione da regimi sanguinari, il sacro rifugio degli spiriti
migliori, dove è promesso agli adepti conforto nel presente, libertà
nel futuro. Questo movimento dunque trova molta simpatia presso il
popolo (nelle democrazie) e presso le tirannidi più illuminate,
poiché si appoggiano al popolo per rovesciare il potere
oligarchico-aristocratico nelle loro mani. È nota infatti la
presenza di molti teologi orfici presso le corti delle tirannidi. La
tradizione poetica che riguarda l'orfismo è stata considerata
lungamente perduta. I ritrovamenti archeologici più recenti rendono
possibile un suo inquadramento storico e dottrinale compiuto.
Influenze
dell'Orfismo
L'Orfismo
è una corrente artistica che trova le sue radici nella dottrina
greca, con ascendenze che sono chiaramente egizie e mesopotamiche e
con discendenze che ne proiettano il cono di influenza su tutto il
Mediterraneo e, per il tramite di adattamenti e trasposizioni, in
tutta l'Europa continentale. Questi influssi sono rintracciabili in
letteratura con l’evidente continuità dottrinale che intreccia
l’Enuma Elish mesopotamico con il Papiro di Ani egizio, e li
congiunge con il poema “Teogonia” di Esiodo, la cui trama si
ripercuote sull’”Eneide” di Virgilio, la “Divina Commedia”
di Dante, il “Paradise Lost” di John Milton, le “Illuminations”
di William Blake. L’elenco potrebbe continuare, ma questo può
bastare ad identificare l’Orfismo come matrice della cultura
illuministica europea. Il Rinascimento ha conosciuto soprattutto gli
Inni Orfici. Questi Inni, nelle attuali edizioni, sono in numero di
ottantasette, più un proemio. Sono dedicati a varie divinità, e
risultano distribuiti secondo un preciso ordine concettuale. Accanto
a dottrine risalenti all'Orfismo originario, contengono dottrine
stoiche e dottrine provenienti dall'ambiente filosoficoteologico
alessandrino, quindi sono sicuramente di tarda composizione, scritti
con ogni probabilità fra il II e il III secolo dopo Cristo. Forse
gli Inni, singolarmente o per gruppi, sono stati composti in tempi
differenti, ma, in ogni caso, colui che li ha riuniti insieme ha
seguito un certo criterio coerente, tanto è vero che si comincia con
l'inno Profumo di Prothyraia, soccorritrice nelle doglie, ossia nelle
nascite, e si termina con l'inno Profumo di morte, e dunque inizia
con l'immagine simbolica del principio della vita e finisce con
l'immagine simbolica della morte. La struttura formale-letteraria non
è sempre uniforme: gli inni autenticamente orfici e cultuali sono
costituiti pressoché integralmente da una serie di epiteti che
alludono o alle caratteristiche essenziali della divinità o alle
vicende storiche della sua vita divina; assumono insomma quella
forma, sia pure ridotta e dissimulata, di litania, che è frequente
nell’innografia liturgica. In altri invece è presente un certo
compiacimento letterario che si indugia in descrizioni naturalistiche
o in brevi considerazioni morali che denotano nei loro autori un
impegno non immediatamente religioso. Non soltanto appartengono a
mano diversa, ma hanno avuto un origine extraorfica e sono passati
più tardi, in un tempo imprecisabile, a far parte della raccolta che
possediamo – e con tanta maggior facilità quanto più accoglienti
erano il sincretismo dell’ Orfismo e quello ambientale. Gli inni
orfici erano molto apprezzati nel Rinascimento; Marsilio Ficino e i
suoi contemporanei credevano che fossero stati scritti dallo stesso
Orfeo. Pico della Mirandola in una delle sue “Conclusiones
Orphicae” afferma: “ Nell’ambito della magia spirituale non c’è
niente di più efficace degli Inni di Orfeo, se si eseguono con il
consenso di una musica adatta, di un’opportuna disposizione
dell’animo e delle altre circostanze ben note al saggio”.
domenica 25 gennaio 2015
JEAN PIAGET: IL PENSIERO
Lo
studioso che ha maggiormente contribuito a modificare l'immagine del fanciullo
e dell'educazione nel XX secolo è Jean Piaget, benché non sia un pedagogista,
ma uno psicologo. Il suo apporto alla psicologia dell'età evolutiva consiste
nell'aver dato una consistenza concreta e scientifica all'idea della pedagogia
moderna (da Rousseau all'attivismo) circa la specificità della natura infantile
che nei suoi modi di pensare, agire, amare, fare, parlare è profondamente
diversa da quella dell'adulto. Per quanto attiene alla pedagogia, Piaget ha
sempre sostenuto la necessità di un suo passaggio ad una fase scientifica con
precisi punti di riferimento nella psicologia sperimentale, nella sociologia e
nei raccordi interdisciplinari, anche se non la concepisce come una disciplina
puramente applicativa. L'educatore, infatti, deve avere una preparazione psicologica
e deve conoscere quanto gli viene offerto dalla psicologia, ma tocca poi a lui
vedere come potrà utilizzare questo bagaglio conoscitivo ideando un insieme di
tecniche da sperimentare e adattare personalmente. Certo Piaget ritiene che i
tempi e la successione delle fasi di sviluppo psicologico siano immodificabili,
togliendo in tal modo rilevanza ed efficacia all'intervento dell'adulto che non
può né cambiare né accelerare questi aspetti. L'educazione dunque può solo
preparare l'ambiente alla loro comparsa o al loro rinforzo. Poiché il motore
dell'intelligenza è la sua azione, l'educatore deve predisporre le condizioni
idonee all'esercizio di questo fare, adeguando le sue richieste al livello di
sviluppo dell'allievo e costruendo situazioni perché questo adeguamento si
produca. Questa centralità del fare (che si traduce in un "far fare")
costituisce il punto di vicinanza di Piaget con l'attivismo. Perciò lo
scienziato svizzero, se ha sempre insistito sulla necessità di un adeguamento
della scuola alle scoperte della psicologia, ha caldeggiato anche un nuovo
profilo professionale degli insegnanti che conciliasse la padronanza dei
contenuti disciplinari con una solida preparazione psicologica e un'adeguata
capacità di gestione dei metodi e della scuola secondo valenze
interdisciplinari. In questo senso la didattica deve essere psicologica e
l'insegnante un ricercatore in grado di trovare le condizioni migliori per
l'apprendimento e le sottostanti dinamiche psicologiche. Si spiega così anche
lo sforzo di Piaget di indagare e chiarire le strutture logiche, linguistiche
metodologiche delle discipline in quanto, insieme con la delineazione dei
momenti di costruzione, formazione e mutamento delle strutture logiche,
psicologiche, cognitive, linguistiche, etiche ecc. dovrebbe essere così
possibile dare un'impostazione nuova e funzionale ai metodi, ai curricoli e
alla programmazione scolastica. In un contesto storico contrassegnato da
profondi cambiamenti sociali, economici e tecnologici, Piaget reca in tal modo
il suo contributo ad un adeguamento della scuola e dell'educazione nel delicato
momento del passaggio da una scuola d'élite a una scuola di massa e a una
formazione permanente.
lunedì 5 gennaio 2015
IL RASOIO DI OCCAM
Il rasoio di Occam è il nome con cui viene contraddistinto un principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham (noto in italiano come Guglielmo di Ockham). Tale principio, alla base del pensiero scientifico moderno, nella sua forma più semplice suggerisce l'inutilità di formulare più assunzioni di quelle strettamente necessarie per spiegare un dato fenomeno: il rasoio di Ockham impone di scegliere, tra le molteplici cause, quella che spiega in modo più semplice l'evento. La formula, utilizzata spesso in ambito investigativo e - nel moderno gergo tecnico - di problem solving, recita: “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” non moltiplicare gli elementi più del necessario” . In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. All'interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità. Tra le varie spiegazioni possibili di un evento, è quella più semplice che ha maggiori possibilità di essere vera (anche in base a un altro principio, elementare, di economia di pensiero: se si può spiegare un dato fenomeno senza supporre l'esistenza di qualche ente, è corretto il farlo, in quanto è ragionevole scegliere, tra varie soluzioni, la più semplice e plausibile). Il rasoio di Occam trova spesso luogo in discussioni eminentemente dotte e scientifiche (esempio tipico, nel campo della fisica e della scienza in generale). Concettualmente non si tratta di novità, perché il principio di semplicità era già ben noto a tutto il pensiero scientifico medioevale, ma esso acquista in Occam una forza nuova e per certi versi devastante a causa della sua concezione volontarista: se il mondo è stato creato da Dio solo sulla base della volontà (e non per intelletto e volontà, come diceva Tommaso d'Aquino), devono sparire tutti i concetti relativi a regole e leggi, come quello di sostanza o di legge naturale.