La
domanda centrale delle problematiche esistenzialiste è “che cos’è
l’essere?”. Essa può essere posta in altri modi: cos’è che
determina la nostra esistenza? Perché c’è l’uomo invece del
nulla? L’essere è un concetto unico da cui derivano tutte le sue
manifestazioni (l’uomo, le cose, ecc.)? Heidegger, che per primo si
pose compiutamente la domanda, intuì che diversamente da quanto
affermato in tutta la storia della metafisica l’essere non va
confuso con l’ente: in altre parole, l’essere non è Dio o le
Idee platoniche, concetti ontologici, manifestazioni fisiche più che
metafisiche. L’essere è un concetto e non può essere oggettivato.
Il filosofo Gabriel
Marcel pose l’accento sul fatto che l’esistenza non è un
problema, bensì un mistero. Un problema è infatti un qualcosa che
si pone davanti a noi come un ostacolo e di cui noi possiamo
perlomeno delimitarne la portata e quindi comprenderlo in via di
massima. L’esistenza non si pone di fronte a noi, è anche in noi
stessi, ci penetra, e dunque noi siamo sia soggetti che oggetti della
domanda “che cos’è l’essere?”. Heidegger spiegava questo
concetto in questo modo: di ogni cosa noi possiamo dire cos’è
categorizzandola, possiamo farla rientrare in un insieme (il cane è
parte dell’insieme ‘animali’, per intenderci). Ma il concetto
di essere non può venire categorizzato, perché esso stesso è
l’insieme più ampio di tutti, di cui tutti gli altri insiemi fanno
parte. Il fatto quindi che l’essere è sia in noi che fuori di noi
non ci permette di dare mai una risposta definitiva al problema (o,
meglio, al mistero). Questa
questione è meglio marcata nelle riflessioni di Sartre, il quale
alla domanda dà tre risposte: la prima, la più evidente, è che
l’essere sia costituito dall’insieme di tutti gli esseri - cose e
persone - presenti nel contesto spazio-temporale in cui viviamo; la
seconda è che l’essere sia quello che Sartre chiama il per-sè,
cioè la nostra coscienza, il nostro io che si pone come altro
rispetto al resto del mondo, è soggetto e non oggetto; infine può
essere in-sè, ossia l’essere nelle cose e nei fenomeni che ci
appaiono, negli oggetti che ci circondano, a cui però diamo un senso
noi, e quindi in qualche modo derivano da noi. Nessuna di queste tre
è una risposta completa: l’essere, per Sartre, è come se si
manifestasse in parte in ogni cosa ma si cela sempre nella sua
compiutezza. Heidegger e Jaspers indicarono tuttavia una
semi-risposta al quesito. Il fatto che noi ci poniamo la domanda “che
cos’è l’essere?”, il fatto che andiamo alla ricerca di una
risposta e indaghiamo la realtà nel cercarla è già di per sè una
risposta. Si può dire, quindi, che si è, si esiste nel momento in
cui ci si pone la domanda “perché esisto?”, “che cosa
significa esistere?”. In questo modo, infatti, noi esistiamo perché
il significato etimologico di esistere è ex-sistere, cioè in latino
“essere fuori da”: in qualche modo cerchiamo di uscire fuori da
noi stessi e guardare l’essere come qualcosa di altro, che non ci
appartiene, lo analizziamo “fuori da noi” e questo è già un
primo passo.