Il termine "Angelo" deriva dal greco anghelos che significa “inviato” "messaggero": gli angeli sono quindi creature che portano un messaggio agli uomini da parte di Dio, essi sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola” (sal 103,20), sono i messaggeri del suo disegno di salvezza: "Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?" (Eb 1,14). Gli Angeli non hanno natura umana, sebbene gli uomini li immaginino simili a loro, però vedono e comprendono le cose da una prospettiva totalmente diversa dalla nostra. Esistono molti punti in comune tra noi e loro, soprattutto riguardo ai più alti obiettivi, è proprio la diversità che rende cosi affascinante il dialogo. Degli Angeli si hanno le informazioni più contraddittorie: alcuni li ritengono immortali, altri sostengono che la loro esistenza è legata a un tempo e a una funzione specifici. Quasi ogni pagina della Bibbia ci attesta l’esistenza di questi puri spiriti; basti ricordare i Cherubini posti a guardia del Paradiso terrestre (Gen III, 24), i tre Angeli che appaiono ad Abramo (Gen XVIII, XIX, ecc.), l’Arcangelo Raffaele che accompagna e libera Tobia (Tob V, 1 segg.), l’Arcangelo Gabriele che annuncia l’Incarnazione del Verbo, gli Angeli che annunciano la nascita di Gesù ai pastori, la sua Resurrezione (Le I, XI, 28; 24, 4 segg.), gli innumerevoli Angeli dell’Apocalisse (I, XI; Vili, 4 e segg.). La Chiesa, in base alla Scrittura e alla Tradizione, ha definito come «verità di fede» non solo l’esistenza degli Angeli, ma anche la loro creazione. Comunemente si ritiene che siano stati creati prima dell’uomo in numero sterminato. Dalla Sacra Scrittura, e specialmente da San Paolo cui fa eco la tradizione, si conosce che gli Angeli sono distribuiti in 9 gerarchie : CHERUBINI, SERAFINI, TRONI, DOMINAZIONI, VIRTÙ, POTESTÀ, PRINCIPATI, ARCANGELI e ANGELI. Ciò che chiaramente si ricava dalla Sacra Scrittura è che gli Angeli non sono uguali in dignità ma ve ne sono di superiori ed inferiori. Anche le loro funzioni sono diverse. La Bibbia parla di Angeli custodi (Mt XVIII, 10; Att XII, 15), di guide delle creature (Tob XII), di protettori di città e nazioni (Dan XII, 1), di Angeli che lodano Dio ed eseguono i suoi ordini (Le 11,13 ss.), di Angeli che stanno davanti al trono di Dio (Tob 1.15). Si parla talora nella Bibbia di schiere innumerevoli, di immensi eserciti celesti. Tutto questo fa pensare ad un ordine, ad una gerarchia celeste - come sopra riferito - a capo della quale è riconosciuto l’Arcangelo San Michele . Gli Angeli furono nell’atto stesso della creazione elevati all’ordine soprannaturale» però perseverarono. Molti abusarono della loro libertà, si ribellarono a Dio con un atto di superbia e così furono puniti immediatamente e condannati all’inferno. San Tommaso insegna che ogni Angelo non solo è diverso dagli altri ma costituisce da solo una «specie». E' pure opinione di San Tommaso che gli Angeli sono presenti in determinati luoghi, ove esercitano la loro specifica azione, e non altrove.
sabato 31 maggio 2008
venerdì 30 maggio 2008
EPICURO
La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode. Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell'atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali. Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali. (Epicuro, "Lettera a Meneceo")
giovedì 29 maggio 2008
INDUISMO
Religione tradizionale dell'India, praticata da oltre 700 milioni di fedeli. Con il termine "induismo" si indica convenzionalmente l'intera esperienza religiosa degli indiani nel suo svolgimento storico, fin dalle origini, fissate approssimativamente intorno al 1500 a.C.; l'accezione scientifica del termine, tuttavia, denota come "induismo" soltanto la religione che, praticata dal VI secolo a.C., costituisce l'evoluzione di due fasi anteriori dette rispettivamente "vedismo", dal nome dei libri sacri, i Veda, e "brahmanesimo", dal nome degli appartenenti alla casta sacerdotale, i brahmani. L'induismo è definibile come una religione politeistica caratterizzata non solo dalla molteplicità delle figure divine, ma anche dal fatto che i fedeli si distinguono per la loro devozione a un Dio particolare. Tra gli innumerevoli dei, che sono adorati in templi a volte stupendi e immersi nella giungla, i più importanti sono Brahma, il dio creatore dell’universo, Visnu, il dio che conserva nell’essere il mondo, e Shiva, il dio che dissolve tutto. I libri sacri, i Veda, sono venerati da una tradizione che impone di custodirne scrupolosamente l'integrità testuale ma sono stati soppiantati nella loro funzione didattica da un'altra collezione di antichi scritti detta Smrti. Gli induisti credono nella reincarnazione: se un uomo si comporta male in questa vita, dopo la morte, la sua anima torna a vivere in un altro corpo per espiare i peccati commessi : solo chi onora gli dei e si comporta con carità verso gli altri uomini raggiunge la pace eterna. Infatti gli induisti credono che gli dei, in cambio di preghiere e di sacrifici, facciano dono agli uomini del sukhavati, il paradiso di felicità. L'induismo è noto per la rigida divisione della società in classi, - varna - alle quali si appartiene per nascita senza alcuna possibilità di sfuggire alle severe norme di una concezione gerarchica.
mercoledì 28 maggio 2008
METAFISICA
Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicchè, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c'era pressochè tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all'agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. E' evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa. (Aristotele, Metafisica)
martedì 27 maggio 2008
HEZBOLLAH
Hezbollah o Ḥizb Allāh (حزب اﷲ in arabo, ossia Partito di Dio), è un partito sciita attivo in Libano, fondato nel 1982, su iniziativa del gruppo dei "Partigiani mussulmani”, come movimento di resistenza all’invasione israeliana. Fin dalla sua nascita, si è dotato di un ala militare, chiamata al-Muqawama al-Islāmiyya ("Resistenza Islamica"), formatasi grazie all’aiuto dell’Iran, che ha inviato 1.500 militari che hanno aiutato la formazione al combattimento. Fin dall’inizio è stata molto attiva con bombe e lanci di razzi “Katiuscia” contro le truppe israeliane, finanziati oltre che da Teheran anche dalla Siria. La sua bandiera è un drappo giallo, con al centro la Sura V, 56, del Corano, all’interno della quale la lettera “alif”, la prima della parola Allah(Dio), è raffigurata come una mano che stringe un fucile AK-47 ed è affiancata da una rappresentazione schematica del globo terrestre. L’organo supremo è il “Majlis al-Shura”, o Consiglio Consultivo, a sua volta guidato dal Segretario Generale, Hasan Nasrallah. Oltre che al regime iraniano, Hezbollah collabora con i movimenti di resistenza palestinesi, in particolar modo con Hamas, e così come esso svolge numerose opere sociali presso la popolazione del Libano del Sud(istruzione, assistenza sanitaria, ricostruzione delle case bombardate) devastato dalle continue invasioni israeliane, e ha costruito una rete di associazioni estere che garantiscono un continuo afflusso di denaro dall’estero (25/50 milioni di dollari dall’Iran; Bonyad-e Shahid (Carità per i Martiri) ha istituito un fondo per i famigliari degli attentatori sucidi; nel 2001 in Paraguay la polizia ha scoperto un covo di un militante di Hezbollah con all’interno fondi per 3,5 milioni di dollari, e sospetta che nell’arco di 15 anni abbia inviato in Libano circa 50 milioni di dollari). Pur essendo un movimento estremista e fortemente militarizzato, partecipa anche attivamente alla vita parlamentare del Libano fin dal 1992; prima della grave crisi istituzionale aveva in carica alcuni ministri nel governo del Primo Ministro Fu'ād Siniora, e fino ad allora il governo libanese lo definiva come “un movimento di resistenza nazionale”, non come una milizia terrorista. Il periodo che va dalla Primavera del 1983 e l’Estate del 1985, vede Hezbollah, o gruppi ad esso vicini (l'Organizzazione degli Oppressi, l'Organizzazione della Giustizia Rivoluzionaria, l'Organizzazione per il Giusto contro lo Sbagliato ed i Seguaci del Profeta Maometto), lanciare una forte campagna militare sia contro Israele che contro gli Stati Uniti,trai più clamorosi, l’ attacco suicida contro l’ambasciata USA e la caserma dei marines a Beirut nell’Ottobre 1983 e nuovamente contro l’ambasciata USA a Beirut nel Settembre del 1984. In seguito si segnalerà per l’ “abitudine” a rapire militari americani o personale occidentaei, spesso in risposta ad arresti illegali praticati dal Mossad israeliano nei territori occupati del Libano. Fuori dal Libano, clamoroso fu l’attacco all’ambasciata d’Israele in Argentina nel 1992. Col passare della guerriglia contro Israele, stringerà ulteriormente i contatti con i movimenti palestinesi, oltre che con Hamas anche con i Tanzim. Il 10 marzo del 2005 il Parlamento Europeo, accogliendo le richieste israeliane sostenute anche dagli Stati Uniti, approvò con una maggioranza schiacciante (473 a favore, 8 contro, 33 astenuti) una risoluzione che accusava Hezbollah di attività terroristiche. La risoluzione afferma che il "Parlamento considera che esiste una chiara evidenza di attività terroriste da parte di Hezbollah. Il Consiglio dell'Unione Europea deve intraprendere tutti i passi necessari per impedire le loro azioni". .La UE ha anche deciso di impedire la diffusione della televisione satellitare di Hezbollah (al-Manār) da parte dei satelliti europei, in modo di applicare le norme europee contro "l'incitamento all'odio razziale e/o religioso". Le Nazioni Unite non hanno invece incluso Hezbollah nella loro lista di sospetti gruppi terroristici ma hanno, comunque, chiesto lo smantellamento dell'ala militare di Hezbollah nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n° 1559.
domenica 25 maggio 2008
EINSTEIN
Voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare: voglio penetrare a fondo il Suo pensiero. Il resto sono solo minuzie. L'esperienza più bella che possiamo avere è il senso del mistero.
E' l'emozione fondamentale che accompagna la nascita dell'arte autentica e della vera scienza. Colui che non la conosce, colui non può più provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere. (Einstein)
sabato 24 maggio 2008
IL DIO EBRAICO
L'uomo non può percepire la reale essenza della Divinità, come viene detto nell'Esodo 33:20 «Un uomo non può vedermi e vivere»; Dio è conoscibile soltanto dalle Sue opere e dai suoi attributi, le Sue middòt. I primi tre nomi divini nel Tanach sono Elohìm (Dio), Havayàh (Eterno, espressione utilizzata per evitare di scrivere o pronunciare il Tetragramma) e Adonài (Signore, Padrone). Il nome divino Elohìm sottolinea il ruolo di Dio come creatore del mondo; semanticamente denota onnipotenza, la fonte eterna di energia creatrice. Tale nome non indica tuttavia un legame diretto di Dio con la creazione, e compare come Sua unica denominazione nel primo capitolo della Genesi. Il nome Havayàh, costituito dalle quattro lettere yod-heh-vav-heh (il Tetragramma), si collega invece alla stessa essenza divina, l'Essere, e viene pronunciato dal Gran Sacerdote solamente nel giorno i Kippur; è anche definito «il Nome ineffabile», in quanto è proibito pronunciarlo in circostanze estranee alla procedura rituale. Havayàh denota l'Essere eterno, la più pura essenza di Dio costituendo l'abbreviazione dell'espressione hayàh, hovèh veyiheyèh (fu, è e sarà), che afferma come la Sua esistenza comprenda insieme passato remoto, presente e futuro infinito. Il nome Adonài comprende i significati di signore» e padrone» afferma che Dio è il signore di tutto il creato.
venerdì 23 maggio 2008
INTRODUZIONE ALL' ESTETICA
L’estetica come disciplina filosofica specifica nasce alla fine del Settecento e si configura pertanto come un fenomeno essenzialmente moderno; essa nasce come tentativo di fornire una legittimazione universale ad un ambito che, malgrado la molteplicità di tesi e precetti, non era ancora divenuto oggetto di riflessione sistematica. Questo ambito è caratterizzato dall’emergere in primo piano della soggettività con le sue manifestazioni, in particolare il sentimento individuale: questo particolare stato affettivo, che inizia ad essere concepito sul piano filosofico come la fonte delle emozioni, era sconosciuto nell’antichità, dove invece prevaleva la nozione di passione, ancora ampiamente utilizzata fino a tutto il Seicento. A partire dal Settecento, il sentimento va invece ad indicare il riflesso soggettivo che accompagna ogni nostra esperienza e si configura come terzo ambito fondamentale della nostra vita spirituale, accanto ad intelletto e volontà; tale nozione non appare caratterizzata da connotazioni di ordine psicologico e trova il suo terreno di applicazione unicamente in ambito estetico e morale. L’estetica come disciplina filosofica nasce quindi come tentativo di fondare in modo critico un settore che appare, per le tematiche affrontate, votato fin dall’inizio all’accidente e all’irrazionalità e mira a dettare le condizioni di universalità e di necessità per un tipo di esperienza che, ad una prima analisi, ne è priva. L’estetica, come fenomeno moderno, si sviluppa in un’area culturale, quella di lingua tedesca, che alla fine del Settecento offre alla cultura contributi decisivi nel campo della letteratura (Goethe, Novalis, Schiller, Hölderlin, ecc..) e della musica (Mozart, Beethoven, Schubert) e si radica in un tessuto sociale in cui si qualifica in modo molto chiaro e preciso l’esperienza sociale dell’arte. Il momento in cui infatti nasce l’estetica filosofica è anche quello in cui si delinea in modo definitivo e stabile la figura dell’artista come soggetto in grado di produrre le opere d’arte, quel particolare tipo di oggetti cioè che vengono concepiti sotto la comune categoria della qualità estetica. Tale processo ha inizio a partire dal Rinascimento, mentre precedentemente, nel mondo greco, romano e medievale, l’attività artistica è sempre rimasta, sul piano teorico e sul piano pratico, al di sotto di quel livello di unificazione e specificazione oltre il quale poteva divenire oggetto di una specifica teoria estetica. Ciò tuttavia non significa che le epoche e le civiltà precedenti il Rinascimento non siano state in grado di produrre opere d’arte valide come quelle realizzate negli ultimi quattro secoli; tuttavia la categoria di arte come noi la conosciamo e la pratichiamo oggi era sconosciuta ai greci, ai romani e alla civiltà medievale. Ciò peraltro non rappresenta necessariamente un limite negativo di queste culture: l’estetica più recente si è chiesta infatti se l’arte come attività distinta dalle altre attività dell’uomo non sia il frutto di una specifica forma di “alienazione”, una conseguenza cioè di quel processo di divisione del lavoro che viene visto come motivo di lacerazione dell’integrità dell’esperienza, sia sul piano individuale che su quello sociale.
giovedì 22 maggio 2008
QUARTA DIMENSIONE
Con il termine quarta dimensione viene trattata una ipotetica dimensione spazio-temporale, che spiegherebbe i fenomeni paranormali, la quale si estende nello spazio e viene percepita come tempo. Questo non sarebbe altro che il modo in cui la nostra mente percepisce una quarta dimensione spaziale: ogni oggetto sarebbe la sezione tridimensionale di un corpo esteso nella quarta dimensione in modo enorme, di cui percepiamo solo la sezione che coincide con il presente. Le sezioni precedenti costituiscono invece il passato e quelle successive il futuro. Studiosi e Scienziati hanno proposto come spiegazione al manifestarsi di fenomeni paranormali, sia fisici che psichici, l'intervento di una quarta dimensione spaziale, nell'ambito della quale, appunto, si muoverebbe la dinamica dei fenomeni.
mercoledì 21 maggio 2008
ISLAM
Cosa significa Islam ? Letteralmente "sottomissione ad Allàh", la risposta a questa domanda si trova nelle parole del Corano. Infatti nel Corano si trovano gli insegnamenti di Dio - Allàh. Allàh insegna nel Corano: "In verità, la religione presso Allàh è l' Islàm". In un altro passo del Corano Allàh ammonisce: "E chi preferisce una religione diversa dall' Islàm, non se la vedrà accolta e nella vita futura egli sarà nel numero dei perdenti". Quindi, poiché Allàh è Verità, solamente l'Islàm , tra le diverse religioni praticate dagli uomini, è la vera religione divina. Nel Corano Allàh ordina: "Obbedite ad Allàh ed ubbidite all'Apostolo e a coloro che di voi detengono l'autorità islamica." Nel Corano Allàh avverte: "Chi ubbidisce all'Apostolo, obbedisce ad Allàh" "C'è per voi nell'Apostolo un modello esemplare." Con queste parole Allàh sottolinea una importantissima verità: gli insegnamenti, i precetti e gli esempi di vita dell'Apostolo (il Profeta Muhammad ) hanno valore di regola di condotta . L'Islàm è il Codice di vita, che si fonda sul Corano e sulla Sunna del Profeta. La parola Sunna significa "pratica di vita" e nella pratica di vita del Profeta ci sono esempi da imitare e modelli di comportamento da mettere in atto, per chi vuole vivere l'Islàm. Il nome di chi colui che possiede l'identità islamica è quello di muslim (musulmano). Musulmano è, quindi, solo ed esclusivamente colui che è "sottomesso ad Allàh, ha fede nel credo islamico e pratica l'Islàm con un codice di vita che si fonda su cinque regole essenziali :i pilastri." Commettono un grave errore tutti coloro che legano l'appartenenza all'Islàm a un'area geografica, a una nazionalità, a un passaporto, piuttosto che all'obbedienza ad Allàh, che ha il suo momento interiore nell'Imàn (il credo islamico) e il suo momento comportamentale nell' Islàm ( la pratica di vita che si fonda sul Corano e sulla Sunna).
martedì 20 maggio 2008
I PRIMI PRINCIPI
Abbiamo escluso la Filosofia da una gran parte del dominio che si supponeva appartenerle. Il dominio che rimane è quello occupato dalla scienza. La scienza tratta delle coesistenze e sequenze tra i fenomeni: essa li raggruppa da prima per formare generalizzazioni di un ordine semplice o basso, e si eleva a grado a grado a più alte e più estese generalizzazioni. Ma se è così, dove rimane un campo per la Filosofia? La risposta è questa: Filosofia può essere ancora propriamente il titolo da applicarsi alla conoscenza della più alta generalità. […] Le verità della filosofia hanno dunque con le più alte verità scientifiche la stessa relazione che ciascuna di queste ha con le verità scientifiche inferiori. Come ogni più ampia generalizzazione della Scienza comprende e consolida le più ristrette generalizzazioni del suo dominio; così le generalizzazioni della Filosofia comprendono e consolidano le più ampie generalizzazioni della Scienza. Perciò la conoscenza che costituisce la Filosofia è nel genere l’estremo opposto di quella che l’esperienza da prima accumula. (Herbert Spencer, "I primi princìpi")
lunedì 19 maggio 2008
LE PIRAMIDI
Le Piramidi sono uno dei grandi misteri dell'antico Egitto e il modo in cui furono costruite. Erodoto racconta che centinaia di migliaia di schiavi, soffrendo al sole, sotto i colpi di fruste, ridotti a bestie da soma, pagavano con la salute o con la vita il trasporto di enormi blocchi di pietra, immagine diffusa da un gran numero di manuali scolastici e persino di opere dalle pretese scientifiche. Ma altre fonti raccontano che le piramidi di Giza non sono l'opera di oppressi schiavi, ma di una schiera di architetti ingegnosi, di una civiltà all'apice tecnologico, capace di una straordinaria organizzazione del lavoro, dall'estrazione delle pietre sino al loro sollevamento, passando per il trasporto. Durante i mesi di inondazione, buona parte della popolazione stava in riposo. Allora, si reclutava molta manodopera per lavorare nei cantieri delle piramidi. Senza ruota e senza carrucole, sembra anche se queste tecniche erano conosciute, con trapani dalla punta di selce, mazze di diorite, accette, asce e scalpelli di rame, le squadre di artigiani, considerati come fari della loro società e remunerati di conseguenza, costruirono monumenti immensi di cui, tuttavia, nessun testo geroglifico sottolinea il carattere eccezionale. Sono state dette e scritte molte cose sulle Piramidi e la loro costruzione, ma anche sull'ingegno dell' Egiziani una in particolare narra che la prima dinastia non fosse altro che discendenti di Atlantide che portarono le loro conoscenze al popolo che li ospitò. Sara vero? Resta comunque sempre un mistero non propriamente risolto la loro costruzione. Come si può notare in alcune immagini provenienti dai satelliti un'altro dato importante da non sottovalutare è la disposizione delle piramidi che rispecchiano la costellazione di Orione in tutti i suoi dettagli, luogo nel quale gli egizi pensavano vivesse Osiride.
domenica 18 maggio 2008
LA POLITICA COME PROFESSIONE
Dobbiamo renderci chiaramente conto che ogni agire orientato in senso etico può oscillare tra due massime radicalmente diverse e inconciliabilmente opposte: può essere cioé orientato secondo l’«etica della convinzione» oppure secondo l’«etica della responsabilità». Non che l’etica della convinzione coincida con la mancanza di responsabilità e l’etica della responsabilità con la mancanza di convinzione. Non si vuole certo dir questo. Ma v’è una differenza incolmabile, tra l’agire secondo la massima dell’etica della convinzione, la quale – in termini religiosi – suona: ‘Il cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio’, e l’agire secondo la massima dell’etica della responsabilità, secondo la quale bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni”. (Weber)
sabato 17 maggio 2008
IL MONDO COME VOLONTA' E RAPPRESENTAZIONE
E' davvero incredibile come insignificante e priva di senso, vista dal di fuori, e come opaca e irriflessiva, sentita dal di dentro, trascorra la vita di quasi tutta l'umanità.
E' un languido aspirare e soffrire, un sognante traballare attraverso le quattro età della vita fino alla morte, con accompagnamento d'una fila di pensieri triviali. Gli uomini somigliano a orologi che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; ed ogni volta che un uomo viene generato e partorito, è l'orologio della vita umana di nuovo caricato, per ripetere ancora una volta, fase per fase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata. Ciascun individuo, ciascun volto umano e ciascuna vita non è che un breve sogno dell'infinito spirituale naturale, della permanente volontà di vivere; non è che una nuova immagine fuggitiva, che la volontà traccia per gioco sul foglio infinito dello spazio e del tempo, lasciandola durare un attimo appena percettibile di fronte all'immensità di quelli, e poi cancellandola, per dar luogo ad altre. Nondimeno, e in ciò è l'aspetto grave della vita, ognuna di tali immagini fugaci, ognuno di tali insipidi capricci dev'essere pagato dall'intera volontà di vivere, in tutta la sua violenza, con molti e profondi dolori, e in ultimo con un'amara morte, a lungo temuta, finalmente venuta. Per questo ci fa così subitamente malinconici la vista di un cadavere. La vita d'ogni singolo, se la si guarda nel suo complesso, rilevandone solo i tratti significanti, è sempre invero una tragedia; ma, esaminata nei particolari, ha il carattere della commedia. Imperocchè l'agitazione e il tormento della giornata, l'incessante ironia dell'attimo, il volere e il temere della settimana, gli accidenti sgradevoli d'ogni ora, per virtù del caso ognora intento a brutti tiri, sono vere scene da commedia. Ma i desideri sempre inappagati, il vano aspirare, le speranze calpestate senza pietà dal destino, i funesti errori di tutta la vita, con accrescimento di dolore e con morte alla fine, costituiscono ognora una tragedia. Così, quasi il destino avesse voluto aggiungere lo scherno al travaglio della nostra esistenza, deve la vita nostra contenere tutti i mali della tragedia, mentre noi riusciamo neppure a conservar la gravità di personaggi tragici, e siamo invece inevitabilmente, nei molti casi particolari della vita, goffi tipi da commedia. (A. Schopenhauer)
venerdì 16 maggio 2008
INTRODUZIONE AL GRAAL
La leggenda del Graal ha un inizio storico ben definito e un inizio mitico che si perde nella notte dei tempi. Tutto ha inizio col romanzo medievale incompiuto di Chrétien de Troyes, Perceval o il racconto del Graal, composto tra il 1175 e il 1190 circa. Il Graal viene appena citato e descritto sommariamente, ma tanto basta per scatenare una ricerca che dura da otto secoli.L’eroe è Perceval. Il padre e i suoi fratelli sono morti in battaglia, e per tenere in vita l’unico figlio rimastole, la madre decide di tenerlo lontano dal mestiere delle armi. Lo alleva in una landa isolata e impone ai suoi servitori di non parlare al ragazzo della cavalleria. Un giorno passano da lì dei cavalieri e Perceval decide di abbandonare la madre che muore di crepacuore e di diventare cavaliere. All’inizio del viaggio Perceval è poco più di un ragazzo digiuno del mondo e delle buone maniere e non solo del mestiere delle armi. Vive varie avventure e trova un cavaliere, che gli insegna come comportarsi in società, tra l’altro gli dice di non parlare molto. A questo punto ha ricevuto l’iniziazione di cavaliere. Prosegue nel suo viaggio e raggiunge il castello del Graal. Il castello è abitato dal Re Pescatore che ferito ad una gamba ha come unico diletto quello di pescare. Il Re lo ospita. Durante il pasto serale assiste ad una strana processione e qui viene citato per prima volta il termine Graal. Un valletto passa nella sala con in mano una lancia sanguinante seguito da due valletti con dei candelabri a dieci braccia e da una fanciulla con un "graal". Il corteo si dirige in un’altra stanza dove si trova il padre del Re Pescatore. All’ingresso del corteo la sala viene inondata di luce. La processione si ripete ad ogni portata. Il giovane ricordandosi dell’insegnamento non domanda a chi viene servito il Graal e questo è il suo errore. Facendo la domanda il Re sarebbe guarito e con lui sarebbe ritornato a fiorire anche il suo regno. Risvegliandosi Perceval trova il maniero deserto e riparte. Nel racconto non viene spiegato cosa sia esattamente il Graal. Si capisce che è un contenitore perché viene servito a qualcuno. Viene descritto come preziosismo, ma nulla più. Il romanzo ha uno strano andamento. Perceval ritorna alla corte di re Artù, e da qui riparte per altre avventure che non vengono descritte, mentre vengono descritte quelle di un altro cavaliere: Galvano. In pratica il romanzo è quasi diviso in due, da una parte le avventure di Perceval e dall’altra quelle di Galvano. Il romanzo è incompiuto quindi l’impianto potrebbe essere più complesso. A un certo punto delle vicissitudini di Galvano l’autore ritorna a Perceval. Lo ritroviamo mentre incontra una processione del Venerdì Santo. Si dice che ha vissuto mille avventure che ci rimangono oscure, ma stando lontano da Dio. La processione gli ricorda i suoi doveri religiosi e si rifugia da un eremita, e qui fa penitenza. Riceve una seconda e definitiva iniziazione. L’eremita che scopriamo essere un suo zio materno spiega che il Graal viene servito al padre del Re Pescatore e che contiene un’ostia, unico sostentamento dell’uomo da dodici anni ed insegna al nipote una preghiera segreta da usare solo in caso di grave pericolo. Questo il racconto del Graal di Chrétien. Un’opera incompiuta divisa in due parti quasi slegate o per lo meno apparentemente slegate. Da questo momento nasce la leggenda del Graal. Si può affermare che il vero mistero del Graal è come un termine citato un paio di volte in un romanzo incompiuto abbia potuto scatenare una ricerca da parte degli uomini che dura da secoli.
giovedì 15 maggio 2008
DISCORSO SUL METODO
In luogo del gran numero di regole di cui si compone la logica, ritenni che mi sarebbero bastate le quattro seguenti, purché prendessi la ferma e costante decisione di non mancare neppure una volta di osservarle. La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi niente più di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasione di dubitarne. La seconda, di dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente. La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri cominciando dalle cose più semplici e più facili a conoscersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza delle più complesse; supponendo altresì un ordine tra quelle che non si precedono naturalmente l'un l'altra. E l'ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto perfette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di non omettere nulla. (Cartesio)
martedì 13 maggio 2008
SACRO GRAAL
Sacro Graal: nome latino medievale che deriva da gradalis (recipiente), da cui in francese Graal. Calice o piatto usato da Gesù durante l'ultima cena e che poi fu usato da Giuseppe d'Arimatea per raccogliere il suo sangue durante la crocifissione. la storia del Graal di ritrova in innumerevoli versioni. Secondo la tradizione medievale, con Chretien de Troyes (che prese come riferimento lo scritto storico latino di Geoffrey of Monmouth sulla storia dei re di Britannia del 1137), nel XII secolo assunse, nei suoi romanzi di stile cortese-cavalleresco, il simbolo di purezza ricercata dai cavalieri della tavola rotonda e da re Artù. Secondo certe tradizioni, il calice si sarebbe tramandato da generazione in generazione all'interno dell'ordine dei templari fino ai giorni nostri. Esso sarebbe ancora nascosto in una delle loro fortezze sparse per tutta Europa. Si pensa, ad esempio, che possa trovarsi nella cappella di Rolin a Midlothian sepolto insieme ad altri tesori dell'ordine, oppure nella chiesa di Rennes le Chateau, o altrove. Alcuni lo vogliono nel castello di Montsegur in linguadoca, eretto dall'ordine dei Catari e arresosi nel 1244 sotto gli attacchi dei crociati venuti dalla Francia settentrionale. Per altri, il Graal sarebbe nascosto nel castello di Corbenic, in Gran Bretagna, dove vi fu portato da Giuseppe d'Arimatea o dai suoi discepoli. I cultori del ciclo bretone di re Artù lo collocano sulla leggendaria isola di Avalon, dove risiederebbero le anime dei defunti e dove la tradizione vuole che riposi ancor oggi il corpo del grande re, in attesa di un ritorno alle armi. Forse, l'imperatore Federico II di Svevia ne fu in possesso quando decise di costruire il suo esoterico castello a pianta ottagonale sito in Puglia, il Castel del Monte. Ma, una tra le più recenti versioni è quella che vede il Graal non come la coppa che raccolse il sangue di cristo morente, ma come la discendenza stessa di Gesù. Infatti, secondo alcuni, Gesù prima di morire sulla croce (sempre che sia realmente morto, perché ci sono dei recenti dubbi pure su questo particolare...), ebbe modo di lasciare un eredità in Maria Maddalena, sua probabile consorte. Ella, successivamente, si trasferì in Francia coi suoi figli e lì, diede vita ad un'importante dinastia, quella Merovingia. Naturalmente, non si hanno prove sicure per nessuna di queste ipotesi. L'unica cosa sicura è che il Graal è il simbolo della ricerca che è in tutti noi, la ricerca del divino, di una verità assoluta. Esso rappresenta l'eterna ricerca di noi stessi e di risposte che forse non avremo mai...
lunedì 12 maggio 2008
LOGICA COME TEORIA DELL'INDAGINE
Indagare e dubitare sono, fino ad un certo punto, termini sinonimi. Noi indaghiamo quando dubitiamo; ed indaghiamo quando cerchiamo qualcosa che fornisca una risposta alla formulazione del nostro dubbio. Pertanto è peculiare della natura stessa della situazione determinata che suscita l'indagine, di essere fonte di dubbio; o, in termini attuali anzichè potenziali, di essere incerta, disordinata, disturbata. La qualità peculiare di ciò che investe i materiali dati, costituendoli in situazione, non è esattamente un'incertezza generica; è una dubbiosità unica nel suo genere che fa si che la situazione sia appunto e soltanto quella che è. E' quest'unica qualità che non soltanto suscita la particolare indagine intrapresa ma esercita anche il controllo sopra i suoi speciali procedimenti. Altrimenti nell'indagine un qualunque processo potrebbe aver luogo e riuscirvi fecondo con altrettanta probabiltà che qualunque altro. Ove una situazione non sia univocamente qualificata nella sua propria indeterminatezza, si da uno stato di completo panico: la risposta ad esso assume la forma di attività palesi cieche e selvagge. Enunciando la cosa da un punto di vista personale, noi abbiamo "perso la testa". Una grande varietà di parole serve a caratterizzare le situazioni indeterminate. Esse sono disturbate, penose, ambigue, confuse, piene di tendenze contrastanti, oscure, ecc... E' la situazione che ha questi caratteri. Noi siamo dubbiosi perchè la situazione è nella sua essenza dubbiosa. (John Dewey, "Logica come teoria dell'indagine")
domenica 11 maggio 2008
TEOGONIA
Un tipo di cosmogonia simbolica sono spesso considerate le teogonie, come quella cantata dal poeta greco Esiodo, che spiegano l’origine degli dei e narrano dei rapporti e dei legami tra le figure divine, ognuna delle quali simboleggia una componente della realtà sensibile o spirituale, che si uniscono e si combinano per dare vita ad altre figure.
È diffuso anche il tema dell’autofecondazione della prima divinità creatrice: la progenie divina, in seguito, dà vita ad altri dei grazie ad accoppiamenti incestuosi, creando un pantheon fondato su relazioni familiari. Nel racconto babilonese della creazione, Enuma elish, i genitori del mondo partoriscono una prole che in seguito li osteggia; i figli sconfiggono i genitori in battaglia e dal cadavere del genitore sacrificato viene creato il mondo. I mitologi distinguono talvolta i miti della creazione e le cosmogonie dai “miti dell’origine”, che illustrano come vennero generati alcuni elementi del mondo quali i fenomeni atmosferici, gli esseri umani, gli animali o l’assetto sociale. In molti miti l’origine dell’umanità attuale ha luogo dopo la fine di una precedente età perfetta, come nel racconto biblico di Noè o in quello greco di Deucalione e Pirra; nella mitologia africana, l’uovo cosmico si schiude liberando spiriti chiamati Nommo, che in seguito creano il genere umano; nella tradizione del Maghreb, il genere umano emerge da un mondo capovolto e notturno, situato nel ventre della Terra. Una parte rilevante dei miti cosmogonici, infine, concerne l’origine non solo delle entità tangibili, ma anche di quelle altrimenti sensibili e più misteriose come la luce, e di concetti inscindibili da quelli dell’evoluzione del mondo e della vita umana, come il tempo e la morte.
sabato 10 maggio 2008
LA TORRE DI BABELE
Per secoli si è creduto che la vicenda della Torre non fosse altro che una storia per dimostrare l’arroganza degli uomini, un esempio da non seguire, fino a quando Koldeway nel 1899, iniziò gli scavi nella zona del Kasr. La torre di Babele quindi, non era altro che lo ziggurat di Babilonia. Secondo la Bibbia, Babilonia fu fondata da un certo Nimrod. Dopo poco tempo, egli divenne arrogante e si mise ad adorare idoli di legno e di pietra, e si convinse di sfidare per vendicare i suoi avi uccisi dal diluvio. Decise che avrebbe costruito una torre altissima, che sarebbe stata usata dal suo esercito per combattere contro Dio. Sul lato orientale e sul lato occidentale della torre, c’erano sette scale che agevolavano il lavoro. Prima ancora che la torre fosse finita, Nimrod ordinò al suo esercito di scagliare delle frecce contro il cielo. Dio allora disse ai settanta angeli: "Scendiamo tra loro e confondiamo il loro linguaggio, in modo che invece di una sola lingua ne parlino settanta". Fatto ciò, gli operai smisero di capirsi e la costruzione della torre rallentò fino a fermarsi ed in seguito venne distrutta da un terremoto e da un incendio. Le stirpi degli uomini che avevano partecipato alla costruzione della torre vennero disperse sulla Terra. Alcuni studiosi hanno contestato l’ipotesi che la città di Nimrod fosse Babilonia a causa del seguente errore linguistico: il termine babilonese ba-bili, significava “porta di Dio”, mentre il termine ebraico balal voleva dire confusione. Quando Koldewey scavò alla ricerca della torre, trovo solamente le sue fondamenta. Era possibile quindi che una volta crollata (come quella della Bibbia) fosse stata ricostruita, e questo è confermato anche da numerose iscrizioni. La torre si elevava in enormi gradini ed Erodoto ci dice che: “Nel centro del sacro edificio è costruita una torre massiccia, sopra questa torre ve ne è un’altra sovrapposta, e un’altra ancora sopra la seconda, e così fino a otto torri (gradini)”. Le terrazze a gradini erano ricoperte di piastrelle a colori brillanti ed ognuna di un colore diverso. Lo ziggurat era chiamato Etementaki, “la pietra angolare del cielo e della terra” e sorgeva all’interno di un recinto chiamato “Sachn”. I suoi lati erano orientati secondo i punti cardinali. Le fondamenta della costruzione erano larghe e alte e lo dimostra il tempio di Marduk, la divinità protettrice di Babilonia. Tutte le città babilonesi avevano il proprio ziggurat, che ogni qual volta cadeva, veniva ricostruito. Lo ziggurat serviva a tutta la comunità che venerava il dio Marduk e sulla cima della torre di Babilonia, c’era infatti un tempio dedicato a Marduk, al cui interno non si trovavano né statue né ori ma solo un divano; questo edificio sacro era inaccessibile al popolo: c’era solamente una donna prescelta che notte dopo notte aspettava di soddisfare i piaceri del dio. Dopo la morte di Nebukadnezar, Ciro il persiano nel 539 a.C. si impadronì della città, ma non distrusse né la torre, né gli altri edifici sacri. Dopo di lui, Serse non lasciò che macerie, le stesse che Koldewey e la sua squadra dovettero sgomberare per riportare alla luce l’antica città: E sembrano adatte le parole del profeta Geremia: "E ci abiteranno gli animali del deserto e i cani selvatici, e non sarà mai più abitata, e nessuno vi abiterà per tutti i tempi che verranno". Ancora oggi molte zone del tempio Esagila e della città stessa che ospitava Etemenanki rimangono ancora nell'oscurità.
venerdì 9 maggio 2008
PAGANESIMO RUSSO
Poco sappiamo delle antiche tradizioni del paganesimo russo, né conosciamo in quale modo la loro religione e le loro credenze si evolsero, dai tempi remoti in cui le prime tribù slave risalirono il Boristene e vennero ad insediarsi in questa umida terra di Rus', fino a quando esse si unirono in una sola nazione sotto i grandi principi variaghi. Per migliaia di anni i rimasero fedeli alle tradizioni pagane, prima che dalla Grecia arrivasse la Fede Ortodossa. Che cosa accadde in quei lunghi secoli nella loro mente e nei cuori e come essi passassero dalla venerazione degli spiriti della natura a quella dei grandi dèi di Kiev, non è ben noto. Gli ecclesiastici, riprendendo un sermone di San Gregorio di Nazianzo, ebbero a dire: - Ecco che gli Slavi, anch'essi, si misero a offrire sacrifici a Rod ed alle rožanicy, prima di sacrificare a Perun, il loro dio, ma ancor prima avevano offerto sacrifici agli upyri e alle beregyni. Se quanto affermava questo saggio uomo di chiesa risponde a verità, i loro lontani antenati adoravano gli spiriti della natura selvaggia e facevano offerte agli spiriti dei morti. In seguito, sull'esempio della Grecia pagana, essi avrebbero cominciato ad offrire sacrifici a Rod ed alle rožanicy. E solo in tempi più recenti - forse per influenza degli stessi Variaghi - avrebbero preso ad adorare un pantheon di divinità, di cui Perun era il signore e sovrano.
mercoledì 7 maggio 2008
SARTRE: LA NAUSEA
Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch'io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m'ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l'arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po' a sinistra. Di troppo la Velleda… Ed io - fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri - anch'io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura - ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un'onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue. Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l'avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch'esse di troppo: io ero di troppo per l'eternità. (Sartre, "La Nausea")
martedì 6 maggio 2008
COSMOGONIA
La cosmogonia in mitologia è l’insieme dei miti sull’origine dell’universo. I miti cosmogonici riguardano in particolare l’origine della Terra e dei corpi celesti, ma possono comprendere tutto ciò che, vivente o meno, si trova nell’universo. Non di rado tali miti non implicano una generazione dal nulla, ma presuppongono l’unione o combinazione di elementi preesistenti, o la loro separazione da un amalgama indistinto. Rappresentazioni del cosmo increato sono ricorrenti in tradizioni mitologiche diverse, che lo raffigurano come un vuoto, un’oscurità, un mare, un caos di elementi informi, una figura umana o un “uovo cosmico” contenente ogni cosa in forma embrionale. Talvolta l’origine del mondo è spiegata come il frutto di un accoppiamento di tipo sessuale, ad esempio quello di Urano, il cielo, con Gea, la Terra (la quale è infatti non di rado identificata con la Dea Madre, matrice e grembo di tutte le cose), o di una nascita di tipo animale come quella simboleggiata nella figura dell’uovo cosmico, diffusa in molte culture, dalle religioni di Africa, Cina, India, Giappone, Pacifico meridionale all’orfismo greco. In altri miti il creato ha origine dalla separazione o dall’emergere delle cose da un elemento indistinto, come le acque primordiali (anche in questo caso l’identificazione con la gravidanza e il parto è evidente; in un mito dei dogon dell’Africa occidentale si fa riferimento alla “placenta del mondo”) o un mare di latte; un mito polinesiano pone i vari stadi dell’emersione all’interno di una noce di cocco; per i navajo e gli hopi l’emersione indica una progressione verso l’alto da mondi inferiori; nei miti diffusi tra le popolazioni siberiano-altaiche, ma anche in Romania e in India, la creazione scaturisce dall’azione di un animale (tartaruga o uccello) che si tuffa nelle acque primordiali per portare alla superficie un pezzetto di terra che in seguito si espande fino a diventare il mondo. Un motivo dominante di svariati miti cosmogonici è l’atto sacrificale o cruento: il creato è il frutto di una crisi violenta, quale la lotta tra forze personali o impersonali, oppure di una morte, come lo smembramento di Prajapati, narrato nei Veda, o del gigante Ymir, ucciso da Odino nella mitologia nordica. I miti cosmogonici possono riflettere i caratteri ambientali propri di una particolare cultura: in Mesopotamia il timore di inondazioni provocate dal Tigri e dall’Eufrate aveva conferito all’azione delle acque un ruolo importante, tanto che esse, personificate dalla dea Nammu, erano poste all’origine degli dei e del cosmo; similmente, nell’antico Egitto il dio Nu impersonava sia le acque primordiali sia il fiume Nilo. Talvolta le cosmogonie ricalcano simbologie alimentari, come nel mito del mare di latte, da cui gli dei dell’India ricavarono i tesori del mondo frullandolo come per farne burro, o nei miti cinesi e vietnamiti, nei quali il mondo viene modellato come un pane di riso e il cielo lo contiene come una ciotola.
lunedì 5 maggio 2008
L'ISOLA DI PASQUA
Pasqua è un'isola dell'Oceano Pacifico, a 1.600 Km dal più vicino luogo abitato ed a quasi 4.000 Km dalle coste cilene, nel Sud America. Ha una popolazione di appena 2.000 persone, appartenente al Cile, questa isoletta insignificante di appena 162 kmq è uno dei luoghi più famosi del mondo in materia di misteri. Fu scoperta nel 1686, ma solo nel giorno di Pasqua del 1722, l'ammiraglio olandese Jacob Roggeveen, ebbe il coraggio di sfidare i bellicosi indigeni con un'esplorazione vera e propria. La popolazione del luogo considerava l'isola te pito te henua (l'ombelico del mondo) in quanto ritenevano di essere tutto ciò che restava al mondo in termini di sopravvissuti e di terre emerse, dopo il diluvio e la distruzione universale. L' isola è piena di gigantesche statue in pietra vulcanica, i mohai, considerati dagli indigeni con grande disprezzo. Attualmente ve ne sono circa 600. Più della metà, al momento della scoperta, erano stati rovesciati, altri giacevano incompiuti nelle cave. Si ritiene che un gran numero di mohai siano stati gettati in mare o distrutti dagli indigeni e in tempi recenti altri siano stati rubati. Qualcosa deve necessariamente essere accaduto nel passato della storia dell'isola ed in seguito a tale evento, gli isolani debbono aver perduto la loro memoria storico-culturale. Questa originaria cultura dell'isola di Pasqua prevedeva anche la conoscenza della scrittura, anch'essa perduta e dimenticata, visto che gli indigeni non sono più in grado di decifrare le antiche iscrizioni rongo-rongo sulle tavolette sacre. Forse però, i sacerdoti locali sono ancora in grado di decifrarle ma preferiscono custodirne il segreto, visto il divieto assoluto per gli stranieri, di ingresso ad alcune grotte sacre ove sono impresse delle iscrizioni. Proprio su questa scrittura risiede il più affascinante dei misteri di Rapa Nui. I suoi geroglifici sono praticamente identici a quelli dell'antica città di Mohenjo-daro, nella lontanissima India.
domenica 4 maggio 2008
LA FILOSOFIA DI JASPERS
Insensibile, né benevolo, né spietato, sottomesso a leggi rigorose o affidato al caso, il mondo non sa di sé. Non lo si può capire perché si presenta impersonalmente, se lo si riesce a chiarire in qualche particolare, resta comunque incomprensibile nella sua totalità. Ciò non toglie che io conosca il mondo anche in un altro modo. Un modo che me lo rende affine e che mi consente di sentirmi, in esso, a casa mia, al sicuro. Le sue leggi sono quelle della ragione, per cui, sistemandomi in esso, mi sento tranquillo, costruisco i miei strumenti e li conosco. Mi è familiare nelle piccole cose e in quelle che mi sono presenti, mentre mi affascina nella sua grandezza; la sua vicinanza mi disarma, la sua lontananza mi attira. Non segue i sentieri che attendo, ma anche quando mi sorprende con insospettate realizzazioni o inconcepibili fallimenti, alla fine conservo, anche nel naufragio, un'indefettibile fiducia in esso.
(k. Jaspers, "Filosofia")
sabato 3 maggio 2008
IL MITO DI SISIFO
Tutta la silenziosa gioia di Sisifo sta in questo. Il destino gli appartiene, il macigno è cosa sua. Parimenti l’uomo assurdo, quando contempla il suo tormento, fa tacere tutti gli idoli. Nell’universo improvvisamente restituito al silenzio, si alzano le mille lievi voci attonite della terra. Richiami incoscienti e segreti, inviti di tutti i volti sono il necessario rovescio e il prezzo della vittoria. Non v’è sole senza ombra,e bisogna conoscere la notte. Se l’uomo assurdo dice di sì, il suo sforzo non avrà più tregua. Se vi è un destino personale, non esiste un fato superiore o, almeno, ve n’è soltanto uno, che l’uomo giudica fatale e disprezzabile. Per il resto, egli sa di essere il padrone dei propri giorni. In questo sottile momento in cui l'uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. Cosi' persuaso dell'origine esclusivamente umana di tutto ciò che e' umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora. Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile nè futile. Ogni granello di quella pietra ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice. (A. Camus, "Il mito di Sisifo")
venerdì 2 maggio 2008
AMLETO
Essere o non essere; questo é il problema: se sia più nobile nell'animo sopportare i sassi e i dardi dell' oltraggiosa Fortuna, o prender l' armi contro un mare di guai e contrastandoli por fine ad essi. Morire, dormire, nulla più; e con un sonno dire che noi poniamo fine alla doglia del cuore e alle infinite miserie naturali che sono retaggio della carne! Questa é soluzione da accogliere ardentemente. Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l' intoppo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando ci siamo disfatti di questo tumulto della vita mortale, deve farci riflettere: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti. Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell' uomo borioso, le angosce dell’amore respinto, gli indugi della legge, la prepotenza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto con due dita di pugnale? Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d' altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l' incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso: e dell' azione perdono anche il nome. (W.Shakespeare)
giovedì 1 maggio 2008
AGNOSTICISMO
L' agnosticismo (dal greco a-gnothein let. non sapere) è una posizione concettuale in cui si sospende il giudizio rispetto a un problema poiché non se ne ha (o non se ne può avere) sufficiente conoscenza. L'agnostico afferma cioè di non sapere la risposta, oppure afferma che non è umanamente conoscibile una risposta, e che per questo non può esprimersi in modo certo sul problema esposto. Questa posizione è solitamente assunta rispetto al problema della conoscenza di Dio, ma può anche riguardare l'etica, la politica o la società. Si suole distinguere, riguardo alle persone non credenti in una religione, tra ateismo e agnosticisimo. La differenza sta nel fatto che, mentre l'agnostico afferma semplicemente l'impossibilità di conoscere la verità sull'esistenza di Dio o di altre forze soprannaturali, l'ateo, al contrario, afferma con certezza che non esiste alcun Dio o un qualsiasi altro tipo di forza superiore. In pratica la posizione "agnostica" deriva dallo scetticismo, che praticava una simile ma più radicale sospensione del giudizio nell'epistemologia, ritenendo tutta la conoscenza umana sempre dubitabile e perfettibile. Gli agnostici non sono necessariamente indifferenti al problema della fede e all'attività spirituale o religiosa. Molti di coloro che stanno attivamente cercando una fede o sono in dubbio, hanno sostanzialmente una posizione agnostica, paragonabile al dubbio metodologico nella filosofia. Il termine fu usato la prima volta nel 1869 dal naturalista britannico Thomas Henry Huxley, per descrivere la sua posizione rispetto alla credenza in Dio; il termine deriva come contrapposizione alle antiche dottrine cristiane gnostiche, che affermano che la conoscenza della realtà ultima (gnosi) è interiore a ogni uomo. La posizione agnostica diviene permanente in vari filosofi post-kantiani, che come dimostrò Immanuel Kant ritengono che la ragione che pretende di parlare dell'incondizionato cade in contraddizione, tanto per dimostrarne l'esistenza quanto per negarla.