domenica 15 luglio 2012

KIERKEGAARD


Kierkegaard Sören Aabye, filosofo danese (Copenaghen 1813 – 1855). Profondamente segnato dall'educazione di un padre austero e devoto e dalla rottura del fidanzamento con Regina Olsen, medita sull'esistenza per arrivare a cambiare la propria. Kierkegaard intende la ricerca filosofica non solo come un'attività del pensiero, ma come una manifestazione di vita, per cui la sua esistenza tormentata e le sue polemiche con la Chiesa protestante si riflettono nella sua opera, che fu molto copiosa e pubblicata sotto pseudonimi diversi. Egli scrisse: Il concetto dell'ironia (1841), Il diario di un seduttore , compreso originariamente in Aut-Aut (1843), Timore e tremore (1843), La ripetizione (1843), Gli stadi sul cammino della vita (1845), di cui in italiano è tradotta solo una parte dal titolo In vino veritas , un diario dal titolo Colpevole -non colpevole , una lettera al lettore sotto lo pseudonimo di Fratel Taciturnus, nella quale viene enunciata la teoria dei tre stadi dell'esistenza (estetico, etico, religioso); Briciole di filosofia (1844), Il concetto dell'angoscia (1846), Postilla conclusiva non scientifica (1846), La malattia mortale (1849). Il titolo di una delle opere fondamentali, Aut-Aut , richiama alla posizione di Kierkegaard nei confronti della filosofia hegeliana, nell'ambito della quale bisogna respingere il concetto di conciliazione degli opposti, I 'et-et , in quanto ci sono alternative che non sono conciliabili, ma si escludono l'una con l'altra: le alternative possibili della vita non si lasciano conciliare nella continuità di un unico processo nel quale agisce tutta la realtà. La realtà non è lo Spirito assoluto nel quale gli opposti si conciliano: è l'uomo, il “me”, per il quale si presenta continuamente l'esigenza di una scelta tra due possibilità inconciliabili, per cui il realizzarsi dell'una esclude il realizzarsi dell'altra e la nullifica. Questo concetto di possibile, che Kierkegaard riconduce alle dimensioni esistenziali, e toglie al dominio della logica, è nuovo nella filosofia moderna, ed ha il suo antecedente solo nella filosofia platonica. La possibilità come categoria dell'esistenza umana è sempre possibilità che sì o possibilità che no; nella dimensione logica invece il possibile ha un senso positivo, perché è semplicemente “ il non impossibile ”. Kierkegaard ne mette in luce l'aspetto negativo, paralizzante: è sempre possibile scegliere fra due possibilità, ma tanto l'una che l'altra, comunque io scelga, possono e non possono realizzarsi. È un'alternativa fra l'essere e il nulla, e l'atto della scelta ha sempre valore esistenziale, in quanto solo dopo la scelta si saprà se la possibilità è reale o no. Prima non c'è alcuna garanzia, il nulla è la minaccia costante sull'esistenza umana. Il sentimento che scaturisce dalla consapevolezza del carattere nullificante della scelta è tipico dell'uomo, e caratterizza i suoi rapporti col mondo esterno: è il sentimento dell'angoscia. Uno degli elementi originali di Kierkegaard consiste nell'avere posto in luce l'uomo come singolo essere, solo con se stesso. Malgrado polemizzi con Hegel, Kierkegaard non si pone al di fuori dell'hegelismo, perché si avvale di concetti hegeliani, in quanto si esprime in termini di “ assoluto ”, “ totalità ”, “ finito-infinito ”, “ essere-nulla ”, anche se essi vengono utilizzati in una prospettiva antihegeliana. L'opera principale di Kierkegaard: “Aut-Aut” ha come oggetto il passaggio dallo stadio estetico della vita allo stadio etico. Colui che vive in una dimensione estetica si affida all'immaginazione senza progettare la sua esistenza oltre l'attimo immediato: esempio di questo stile di vita è Don Giovanni, di cui Kierkegaard parla a proposito di Mozart, o Giovanni, il protagonista del “Diario di un seduttore”. Il seduttore sembra realizzare una sorta di destino eroico, anche la sua fine è negativa, poiché questa fine è l'ultimo atto di un'esistenza vissuta in una dimensione estetica assoluta, in cui non c'è nulla di banale. L'analisi di opere di teatro in cui spiccano figure femminili (Margherita nel Faust, Elvira nel Don Giovanni mette in risalto l'amore come centro dell'esistenza estetizzante, la quale conduce necessariamente all'infelicità poiché ha in sé i germi di una crisi che la destina al naufragio. Non occorre porsi su un piano etico o religioso per condannare questo tipo di esistenza: la condanna è interna, perché la vita senza storia, senza ripetizione, senza impegno non può condurre che alla noia e al disprezzo della vita: alla disperazione. L'estetismo è distruzione della personalità, e non è libertà ma schiavitù perché pone il suo interesse in ciò che non dipende dall'esteta, cioè nel piacere, che gli viene comunque da altri. La disperazione è l'ansia di una vita diversa, un'altra alternativa possibile. Non bisogna sottrarsi alla disperazione, ma accettarla, viverla fino in fondo, sceglierla. Se l'esteta avrà il coraggio di compiere una scelta alternativa, perverrà alla vita etica. Anche in essa l'amore è un fatto centrale, ma è realizzato non nell'attimo, ma nella continuità, nella ripetizione, all'interno dell'istituzione del matrimonio. Caratteristica della vita etica è la scelta che l'uomo fa di sé stesso, scelta assoluta, di tutto sé stesso, in quanto chi accetta l'eticità della vita imprime un indirizzo stabile e costante alla propria esistenza, e sta a lui, non al caso, fare progetti e realizzarli. Egli sceglie la propria personalità; sostituendola al capriccio, e si pone in rapporto con gli altri, si riallaccia all'umanità. Scegliendosi, l'uomo si dà una storia che non è tutta positiva, ha pure momenti crudeli, errori, di cui egli si pente senza poterli annullare. In questo concetto del pentimento comincia a rivelarsi l'altra scelta, quella che è al di là dell'etica: lo stadio religioso, argomento di “ Timore e tremore ”. Kierkegaard, analizzando il sacrificio di Abramo, che è conforme al volere di Dio ma contrario alle leggi dell'etica, prospetta il passaggio dallo stadio etico a quello della fede, in cui non c'è garanzia umana a convalidare la scelta, e in cui la condizione umana si configura nella solitudine più deserta della coscienza, che è in rapporto unicamente con Dio. Nulla garantisce questo passaggio, che non è un passaggio ma un salto, e non si fonda sulla ragione, come la scelta dell'etica, ma sulla fede. L'angoscia, la disperazione, il sentimento dell'assurdo, caratterizzano questo salto nel buio: l'uomo che sceglie la fede fa una scommessa sull'assurdo ed è assolutamente solo davanti a Dio.


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