Tutta la bellezza e la magnificenza che abbiamo prestato alle cose reali e immaginate, io voglio rivendicarla come proprietà e opera dell'uomo: come la sua più bella apologia. L'uomo come poeta, pensatore, Dio, amore, forza; ammiriamo la sua regale generosità, con cui ha fatto doni alle cose per impoverire se stesso e sentirsi miserabile ! Finora il suo maggiore disinteresse fu questo, che egli ammirò e adorò e seppe nascondere a se stesso che egli stesso aveva creato ciò che ammirava. ( Nietzsche, "La volontà di potenza")
domenica 17 agosto 2008
domenica 10 agosto 2008
KARMA
Karma è un termine sanscrito (traducibile grossolanamente come agire, azione) che indica presso le filosofie orientali il principio di azione-reazione che regola la vita di tutto ciò che è manifesto nell'universo, vincolando le anime al Saṃsāra (il ciclo di morti e rinascite). Il concetto di Karma è centrale nell'Induismo, nel Buddhismo, nel Sikhismo e nel Jainismo. In Occidente si diffuse nel corso del XIX secolo, divulgato dalla Società Teosofica, ed è al centro di molte discipline New Age. Nel Neopaganesimo, e nella Wicca in particolare, il Karma è legato alla genesi della Rede (Finché non fai del male a nessuno, fa' ciò che vuoi) e della Legge del tre. La cosiddetta "Regola d'oro" nel cristianesimo. Induismo. Il Karma riguarda sia l'attività o agire in sé sia l'insieme delle conseguenze delle azioni compiute da un individuo nelle vite precedenti. Secondo il principio del Karma le azioni del corpo, della parola e dello spirito (i pensieri) sono insieme causa e conseguenza di altre azioni: niente è dovuto al caso, ma ogni avvenimento, ogni gesto è legato insieme da una rete di interazioni di causa/effetto. Il principio del Karma è valido esclusivamente all'interno del mondo materiale (prakriti) e del ciclo di nascita e morte (Saṃsāra). Se si produce sofferenza o si interferisce negativamente con il Dharma o legge universale, si produce Karma negativo; se si fa del bene, si produce karma positivo. Nelle vite successive (o nella vita corrente) si dovrà pagare o si verrà ripagati per le azioni compiute precedentemente. Il Karma Yoga è uno dei modi di ottenere Moksha ovvero la liberazione. Buddismo. Il Karma (sanscrito: pāli kamma, cinese: pinyin: yè, giapponese: gō, tibetano: las) è un "principio universale" secondo il quale un' "azione virtuosa" (che non produce sofferenza) genera benefici nelle vite successive, mentre un'azione "non virtuosa" (che produce sofferenza) genera fastidi e disagi nelle vite successive. Il Karma, dunque, vincola tutti gli esseri senzienti al ciclo del Samsāra poiché tutto ciò che l'essere farà, si ripercuoterà nella vita futura. Quando viene compiuta un'azione non virtuosa, viene depositatato nella vita stessa dei "semi" o "residui" (sans. vāsanā) ) in seguito alla produzione di karma negativo. Quando viene compiuta un'azione virtuosa invece, viene prodotto karma positivo. Questi residui allungheranno la permanenza dell'esistenza nel Samsāra. Esiste però un tipo di Karma - che, effettivamente, "non è" Karma - che non è né positivo né negativo, quello che porta alla "liberazione" (Vimukti). Ogni manifestazione degli esseri senzienti possiede una certa quantità di "semi del Karma", che finché non verranno esauriti, li costringeranno a permanere nel ciclo del Samsāra. Questi "semi" sono frutto di azioni compiute da innumerevoli vite precedenti. Essi non possono diminuire ma possono essere distrutti con il raggiungimento dell'"illuminazione" (Bodhi). Con l'estinzione del debito karmico, l'essere non sarà più vincolato al Karma e quindi al Samsāra e potrà raggiungere il Nirvana. Il significato e il ruolo attribuito alla dottrina del Karma varia a seconda degli insegnamenti delle differenti scuole buddhiste. L'atto nel Buddhismo, e solo in esso, si identifica con l'intenzione (cetana) allorché un gesto compiuto o un pensiero elaborato (prayatna) senza intenzione non produce Karma, spietato o umano che sia. Al contrario, la sola intenzione che non si traduca in gesto o pensiero produce karma e poiché l'intenzione neutra (avyakrta) non può logicamente esistere essa è la sola a produrre karma secondo l'insegnamento buddhista. Condizionata dalla sola esistenza (bhava), la nascita (jati) [1] delle intenzioni non è reversibile e niente di ciò che esiste (tranne il nirvana) che sia una divinità, una pratica rituale, un rimorso, un rimpianto o la morte potrà impedire che se ne formi il frutto, che maturi e che si riversi sull'agente nelle condizioni determinate solo e solamente dall'atto medesimo. Per cui l'implacabile responsabilità personale va ricondotta sempre alle vite precedenti per una piena comprensione ed eventualmente distruzione degli atti medesimi, siano essi positivi (kusala) o negativi (akusala).
domenica 3 agosto 2008
CARTESIO: LE REGOLE DEL METODO
La critica dei sistemi filosofici classici non può prescindere da una critica dei loro metodi di indagine. Cartesio si impegna quindi a definire quattro regole basi di quel nuovo metodo che permetterà una conoscenza più esatta del mondo: 1. La prima regola deve essere quella dell'evidenza: se si vuole conoscere con certezza, non è possibile accettare alcun dato che non abbia in sé il carattere della chiarezza, dell'immediatezza e della distinzione. E' chiaro ciò che è evidente, ed è evidente ciò che si manifesta immediatamente ai sensi, chiaramente distinto da ogni altro fenomeno ("non accettare mai nessuna cosa per vera se non la riconoscessi evidentemente come tale"); 2. La seconda regola è quella dell'analisi: il problema deve essere prima scomposto e affrontando partendo dall'analisi delle sue singole parti ("dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti possibili e necessarie per meglio risolverle"); 3. La terza regola è la sintesi: il problema analizzato nella sue singole parti va ricomposto a partire dai dati che sono stati ritenuti validi in modo certo e incontrovertibile ("Condurre i miei pensieri per ordine, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi, per salire poco a poco, come per gradi, fino alle conoscenze più complesse"); 4. La quarta regola è l'enumerazione, ossia la verifica finale dei dati, una regola prudenziale che impone l'esigenza di rivedere ogni fase del procedimento critico in modo da eliminare eventuali errori residui ("Fare dappertutto enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla"). Queste sono le regole che per Cartesio appartengono già al procedimento matematico e geometrico, che hanno in sé la qualità di procedere per lunghe catene di ragionamenti che si fondano ciascuno su una deduzione verificata, catene che portano alla definizione di leggi e principi sulla base della sintesi dei singoli passaggi. E' sull'esempio del procedimento matematico e geometrico che la vera scienza deve procedere per non commettere errori.
domenica 27 luglio 2008
CRITICA DELLA RAGION PRATICA
Due cose riempono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione, quanto più spesso e accuratamente la riflessione se ne occupa: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Entrambe le cose non posso cercarle e semplicemente supporle come fossero nascoste nell'oscurità o nel trascendente, al di fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le collego immediatamente con la coscienza della mia esistenza. Il primo comincia dal luogo che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo nell'infinitamente grande, con mondi sopra mondi e sistemi di sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro movimento periodico, nel loro inizio e nella loro continuità. La seconda comincia dalla mia invisibile identità, la personalità, e mi pone in un mondo che possiede vera infinità, ma di cui si può accorgere solo l'intelletto, e con il quale (ma grazie ad esso anche con tutti quei mondi visibili) io non mi riconosco, come là, in una connessione puramente accidentale, ma in una necessaria e universale. Il primo sguardo di una innumerabile quantità di mondi per così dire annienta la mia importanza, che è quella di una creatura animale, che dovrà restituire ai pianeti la materia da cui è sorta, dopo essere stata dotata per breve tempo (non si sa come) di forza vitale. Il secondo al contrario innalza infinitamente il mio valore, che è quello di una intelligenza, grazie alla mia personalità, nella quale la legge morale mi rivela una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero mondo sensibile, perlomeno quanto può essere dedotto dalla destinazione finale della mia esistenza attraverso questa legge, che non è limitata alla condizioni e ai confini di questa vita, ma si estende all'infinito. Però, stupore e rispetto possono sì spingere alla ricerca, ma non sostituirne la mancanza. (I. Kant)
mercoledì 23 luglio 2008
CONFUCIANESIMO
Il Confucianesimo è la dottrina di Confucio e dei suoi seguaci che ha dominato per oltre duemila anni la vita etica, politica e religiosa della Cina, in quanto prescriveva i riti di stato della casa imperiale, come pure il culto degli antenati della famiglia e forniva sia il codice pubblico di comportamento (che i regnanti della Cina e i loro funzionari dovevano rispettare), sia il codice privato della vita familiare. L'insegnamento di Confucio fu preservato dai suoi discepoli (alcuni dei quali, peraltro, raggiunsero posti di rilievo nell'amministrazione dello Stato feudale), nei "Colloqui", una raccolta non sistematica di brevi aneddoti e detti, fatta molti anni dopo la sua morte. I testi canonici, cioè i Quattro libri (intellettualmente più evoluti) e i Cinque canoni, hanno poco di religioso: si tratta piuttosto di regole per l'agire pratico (personale, familiare, sociale e politico-amministrativo). E' una sorta di filosofia del vivere civile, con risvolti che potremmo definire di tipo religioso. Non ci sono tuttavia rivelazioni, dogmi, sacramenti, miracoli, cosmogonie e apocalissi. Lo studio del Confucianesimo venne proibito durante la dinastia Qin (221-206 a.C.), che seguì a quella Chou. Unificando i vari Stati esistenti e proclamandosi per la prima volta nella storia cinese, imperatore, il sovrano Cheng iniziò un movimento irreversibile di identificazione nazionale, comportandosi in maniera ostile nei confronti della tradizione confuciana, ritenuta troppo compromessa col feudalesimo del periodo precedente (nel 213 a.C. ordinò addirittura il rogo dei libri confuciani). Ma la dinastia successiva degli Han (202 a.C.- 220 d.C.) restaurò le tradizioni confuciane, tanto che nel 59 d.C. l'imperatore Ming-Ti ordinò gli inizi di un culto a favore di Confucio. Da allora e sino agli inizi del XX sec. la sua popolarità non conobbe declini, nemmeno in presenza del buddismo.
domenica 13 luglio 2008
CACCIA ALLE STREGHE
Con i termini strega o stregone s'intende tradizionalmente una persona che esercita la stregoneria, ovvero si ritiene sia dotata di poteri occulti, attribuiti generalmente a rapporti con il diavolo. La figura della strega ha però radici che precedono il cristianesimo ed è presente in quasi tutte le culture come figura a metà strada tra lo sciamano e chi, dotato di poteri occulti, possa utilizzarli per nuocere alla comunità, soprattutto agricola. Il termine deriverebbe dal latino stryx, "barbagianni", e in Italia varia molto a seconda della zona a cui ci si riferisce. Nel latino medioevale il termine utilizzato è lamia. Dal XII seccolo ai primi del XVII, in tutta Europa decine di migliaia di persone, in gran parte donne, sono finite sul rogo con l’accusa di essere streghe, l'ignoranza a volte prendeva il sopravvento sull'effettiva verità di appartenenza al mondo della stregoneria. Il rogo, il fuoco era il purificatore dell'anima del condannato o della condannata, la strega principalmente era vista come nemica e combattuta, nacque così la famosa caccia alle streghe, con questa forma di persecuzione ne fecero spese anche persone innocenti solo magari per qualche diversità. Il Malleus maleficarum, pubblicato nel 1486, fu il più popolare fra i manuali per cacciatori di streghe durante il XVI e XVII secolo. La sua stesura si deve a due frati tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, persecutori d’eretici. Il Malleus forniva un avallo teologico alle superstizioni più grottesche e portò alla tortura e alla morte di migliaia di innocenti, soprattutto donne. Alle streghe si attribuiva un forte influsso sulla sessualità, e spesso le si riteneva responsabili di causare infatuazioni inopportune, impotenza e sterilità. Per cementare il loro patto con il diavolo, esse dovevano sovente avere rapporti sessuali con lui, mangiare bambini e fabbricare unguenti con i loro resti. Una volta stipulato il patto, i gesti magici della strega, erano un segnale per il demonio, che faceva accadere l’evento sottinteso. Il demonio era a disposizione della strega in ogni occasione. Le streghe accusate di malefici venivano di solito torturate finché confessavano, ma il Malleus raccomandava anche che le confessioni fossero estorte con promesse di clemenza che, però, venivano poi invariabilmente disattese.
domenica 6 luglio 2008
SPINOZA: L'ETICA
All'interno di questo quadro di regole strettamente necessarie, ci si chiede che spazio sia lasciato alla libertà dell'azione umana, e che significato abbia per Spinoza. Il progetto di Spinoza è innanzitutto quello di inquadrare l'azione umana in una geometria delle emozioni che ne spieghi i caratteri universali. Il principio fondamentale che caratterizza le azioni degli uomini è per Spinoza lo sforzo dell'autoconservazione (conatus): ogni cosa tende a insistere e perpetuarsi nel proprio essere secondo la propria essenza. Lo sforzo di autoconservazione della mente viene chiamato da Spinoza volontà, mentre quello del corpo appetito. Spinoza afferma anche che l'uomo non desidera una cosa perché la crede buona, piuttosto crede buona una cosa perché la desidera. Vi sono dunque le emozioni, e in particolare due emozioni fondamentali che sono la gioia e la tristezza, la gioia connessa alla conservazione e al perfezionamento del proprio essere, la tristezza connessa alla loro diminuzione. In tutto ciò Spinoza non attribuisce alcun valore morale a delle grandezze che egli intende alla stregua di numeri e preposizioni geometriche, è comunque evidente che l'uomo che si lascia sopraffare dalle emozioni si allontana dalla possibilità di intendere la perfetta razionalità della realtà: l'errore consiste in questa visione inadeguata e confusa dell'idea che è propria di chi non procede secondo ragione. La schiavitù dell'uomo si rispecchia dunque in questo rimanere sopraffatto dall'idea inadeguata e confusa, mentre l'unica libertà concessagli sta nel comprendere l'intrinseca razionalità che regola ogni cosa e adeguarvisi senza opporvi un'inutile quanto dannosa resistenza. Nella contemplazione della necessità, dunque, l'uomo trova il riposo alle sue pene e l'occasione della contemplazione di Dio (poiché Dio è la necessità stessa), Spinoza chiama amore intellettuale di Dio questa contemplazione consapevole della necessità (questo passaggio dell'etica spinoziana è pressoché equivalente all'etica stoica che si adegua al fato). La libertà per Spinoza consiste dunque nella rimozione degli ostacoli che impediscono di comprendere le regole razionali che ci determinano, la schiavitù consiste invece nell'ignoranza di queste regole.
domenica 29 giugno 2008
MACHIAVELLI: IL PRINCIPE
Machiavelli fu essenzialmente un filosofo della politica, la sua fama gli venne perlopiù dal “Principe”, un trattato di politica in cui espone i principi secondo i quali deve reggersi uno stato moderno, e vedremo come questi principi si allontanino di molto da quelli perlopiù pensati dai suoi predecessori, tanto da farne una figura emblematica del Rinascimento italiano. Scrupolo di Machiavelli è studiare la storia italiana per trovarvi i motivi di una ricostruzione dell'unità politica degli italiani. Una comunità politica, per Machiavelli, deve trovare in sé i suoi principi fondanti, così come la vita associata. Il ritorno ai principi è in generale la buona regola di ogni ordine politico e sociale, e quindi anche religioso: Machiavelli sostenne, ad esempio, che fu un bene per la religione cattolica ritornare ai principi francescani della povertà e dell'umiltà, laddove e quando accadde. Ma Machiavelli è anche un uomo concreto, un realista che vuole studiare la storia nel modo più oggettivo possibile, in modo da esprimerne i principi che conducono alla concordia politica e sociale, vista come bene supremo da opporre al caos, al disordine che è foriero di sventure. Per attenersi a questa regola, per mantenere l'ordine e la concordia, un sovrano (il Principe cui fa riferimento l'opera) può fare ricorso ad ogni mezzo, non dovrà necessariamente derivare i suoi principi da un ordine morale superiore (come accadeva perlopiù durante il medioevo), quanto applicare una politica della convenienza, secondo le necessità contingenti che i fatti gli porranno davanti: “Negli stati, la riduzione ai principi o si fa per accidente estrinseco o per prudenza intrinseca”. Per tanto la politica dovrà essere “autonormativa”, ovvero derivare la sua giustificazione non già da principi a lei esterni, superiori e trascendenti (dio e gli dei), quanto alla semplice convenienza dell'azione: a volte, si potrebbe rendere necessario per il sovrano l'agire con fermezza e violenza, nel caso, ad esempio, di una rivolta di corte, ma sempre tenendo presente il bene superiore dell'unità e della concordia da opporre allo stato di anarchia, e comunque non eccedendo in eccessi, pena la caduta nella più cupa e feroce tirannia autoritaria.
giovedì 26 giugno 2008
SCINTOISMO
Solo nel VI secolo della nostra era, all'epoca nella quale il Giappone entra nella storia e si inizia alla scrittura grazie alla Cina, l'antica religione, originaria del Giappone, ricevette la denominazione cino-giapponese di Shin-to, che in giapponese puro si diceva Kami no michi (strada degli dei), per distinguersi dal buddismo che si chiamava Butsu-do (strada di Budda). Lo Shinto, che non riconosce un Dio supremo, è un culto politeistico della natura e degli antenati. Già all'origine della religione giapponese, s'incontrano un gran numero di divinità della natura a cui si aggiungono, in epoca più tarda, le divinità terrestri, locali e familiari. Si parla di un numero di divinità che va da 80 a 800 mila; da ciò deriva la definizione del Giappone Shinkoku che vuol dire «paese degli dei». Le divinità si definiscono col nome di Kami che significa «il superiore, il più alto», tradotto in cinese con il simbolo «shên» (essere spirituale, divino, soprannaturale). Anche i defunti della famiglia, ed in particolare gli antenati, sono considerati esseri superiori, pure se un gradino al di sotto degli antichi dei e degli antenati imperiali. Il giapponese, nella vita quotidiana, si sente assistito dai suoi antenati, che proteggono e benedicono la sua casa e l'arricchiscono di figli. I testi sacri dello scintoismo, raccolti e trascritti solo in epoca buddista, sono tre raccolte mitologiche riunite sotto il titolo di Sam-bu-han-sho (i tre libri principali): il KU-JI-KI (storia degli avvenimenti antichissimi fino al 620 a.C.), il KO-JI-KI (storia dell'antichità che va fino al 712 a.C.) e il NIHON-GI (annali giapponesi fino al 720 d.C.).
domenica 22 giugno 2008
DISEGNI DI NAZCA
Nazca, località situata nella parte meridionale del Perù, poco distante da Lima, una regione ai piedi delle Ande, dove si registrano solo sporadiche e lievi precipitazioni ogni due anni e non piove regolarmente almeno da 10.000 anni. Nel 1939, una piccola flotta aerea che sorvolava la pianura desertica del Perù (Pampa di Palpa) notò sul suolo la presenza di strane linee, che solo successivamente, osservandole da una maggiore altezza, furono identificate in perfetti disegni geometrici. Le Linee sono state avviste con chiarezza solo dall'avvento dei voli di linea sull'area, negli anni successivi al 1920. Le linee sono tracciate rimuovendo le pietre contenenti ossidi di ferro dalla superficie del deserto, lasciando così un contrasto con il pietrisco sottostante, più chiaro. Ai margini della Pampa, gli archeologi hanno scoperto la città cerimoniale dei Nazca, Cahuachi, da cui si ritiene provenissero gli artefici delle linee. Il primo che li studiò fu l’americano Paul Kosok, inviato in Perù nel 1939 dalla Long Island University di New York inizialmente per studiare il sistema di irrigazione ideato dagli antichi peruviani e ancora in uso lungo le coste, sistema di perfetta tecnica idraulica. Il tracciato dei disegni si estende per chilometri e chilometri, le linee che li costituiscono avanzano nel terreno perfettamente dritte, sia che attraversino una collina o un terreno accidentato, superando avvallamenti, incrociando altre figure, perdendosi oltre l'orizzonte ma mai deviando da un percorso rettilineo. Alcuni dei disegni, le cui dimensioni raggiungono anche i 200 metri e le cui tracce hanno larghezza variabile (da pochi decimetri a oltre cinquanta metri), rappresentano animali (come una scimmia, un ragno, un colibrì, una balena), fiori, mani, ma la maggior parte sono sicuramente figure geometriche. La stranezza e il fascino che questi disegni silenziosamente emanano solitari, in una zona disabitata e delimitata da un lato, dalle grandi vallate di due fiumi e dall'altro dalla catena collinare pre-andina, colpirono il geografo americano Paul Kosok, il quale si accorse della loro esistenza il 21 giugno del 1941, mentre a bordo di un aereo si stava recando a fare un picnic insieme alla moglie Rose. Subito egli fu impressionato da due aspetti: le dimensioni davvero notevoli di quelle figure, che in totale descrivevano una zona lunga 50 Km e larga 15, e la località dove si trovavano, cioè un altopiano desertico delle Ande. Per otto anni egli non si allontanò da quella località, di cui studiò gli enigmatici manufatti nel vano tentativo di chiarirne il segreto.
giovedì 19 giugno 2008
COGITO ERGO SUM
Con riferimento alla prima regola del metodo, Cartesio si trova davanti un problema non da poco: quali aspetti della realtà si possono considerare chiari e distinti in modo da prenderli a fondamento della nuova conoscenza? Cartesio sostiene che occorre dubitare di tutto, persino della nostra percezione sensoriale, in quanto "non vi sono indizi concludenti né segni abbastanza certi per cui sia possibile distinguere nettamente la veglia dal sonno". Come possiamo sapere in modo certo e incontrovertibile se questa nostra esistenza sia anch'essa un sogno oppure la realtà? Nemmeno riguardo agli assiomi della matematica e della geometria possiamo sapere con certezza se essi corrispondano effettivamente alla realtà, dobbiamo infatti supporre, spingendo il dubbio all'iperbole, che esista un dio talmente onnipotente da essere ingannatore, un dio che ci inganni anche sulle conoscenze che riteniamo più certe e universali. Cosa resiste allora al dubbio iperbolico, a questo scetticismo radicale? La risposta di Cartesio è che l'unico aspetto della realtà che viene percepito indubbiamente in modo chiaro e distinto è il pensiero che si pone il dubbio: l'esistenza incontrovertibile del pensiero che si pone il dubbio permette di affermare cogito ergo sum (penso dunque sono), perché se esiste il pensiero, deve pur esistere anche l'entità che esprime il pensiero del dubbio. L'esistenza del pensiero (cogito) è dunque quel residuo minimo della conoscenza che resiste ad ogni dubbio, compreso quello iperbolico. Il cogito cartesiano suggerisce quindi l'ipotesi che le cose non siano necessariamente esistenti oggettivamente e indipendentemente dal pensiero stesso, ma che ogni cosa esistente è qualcosa che di per sé è comunque pensata (quindi espressa dal soggetto) e che la realtà esterna al pensiero non è un dato da assumere immediatamente come certo e incontrovertibile: anche il soggetto che si pone il dubbio sa di essere in modo certo e incontrovertibile un soggetto pensante, ma la realtà stessa del suo corpo non può essere affermata con assoluta certezza desumendola dal solo cogito. "Nella prospettiva realistica, gli enti della natura e, una volta prodotti, anche i manufatti dell'uomo, esistono anche senza il pensiero: sono cose extrasoggettive. La filosofia moderna mostra invece che non solo i nostri stati inerti, psichici, ma anche gli oggetti esterni, la terra, gli alberi, il cielo, gli astri e tutti gli enti della natura sono dei pensati." (La filosofia moderna, E. Severino).
lunedì 16 giugno 2008
MANICHEISMO
All’inizio della dominazione sasanide, nella regione del Fars erano venerate le divinità Ahuramazdah e Anahita. Il re Sapur I si pose l’obiettivo di creare una religione di stato che potesse esprime il neonazionalismo iranico. Trovò la risposta nel manicheismo che suscitò l’avversione della classe sacerdotale mazdaica e venne distrutto con la scomparsa dell’imperatore. Mani, uomo nobile, si professava inviato da dio, al pari di Zaratustra, Gesù e Buddha. Egli si ispirava alle tradizioni iranica, babilonese, buddhista e cristiana. Secondo la sua religione, il mondo è formato dalla lotta tra il BENE ed il MALE, luce e tenebre. Nell’uomo l’anima ed il corpo rappresentano rispettivamente la luce ed il corpo: la morale manichea si sviluppa attorno alla liberazione dell’anima dal corpo. Quando tutta la luce e tutte le anime tenute prigioniere saranno liberate e saliranno al sole, il cielo e la terra (la materia) crolleranno e si separeranno, mentre il regno della luce durerà in eterno. I fedeli si dividono tra eletti ed uditori. I primi si identificano nel clero che è tenuto al celibato, devono astenersi dalla carne ed evitare la cupidigia e la menzogna. I secondi hanno diritto di sposarsi, possono lavorare, devono conservarsi puri e non aspirare alla ricchezza. Non sono ammessi sacrifici cruenti né immagini divine, ma preghiere e digiuni. I manichei praticano il battesimo, la comunione e ricevono l’assoluzione prima della morte. Il manicheismo subì l’influenza gnostica, in quanto dimostrò un’avversione per l’ebraismo, considerata la religione delle tenebre. Gli inni, di ispirazione babilonese, sono enunciati da Zoroastro; dal cristianesimo vengono presi il dogma della trinità ed alcune parti del Vangelo; i nomi degli angeli erano siriani. Sapur I vede la debolezza delle religioni tradizionali iraniche e cerca di contrapporre all’ascesa del cristianesimo e del buddhismo, che nel regno Kusana era divenuta religione di stato, questo nuovo culto, sperando di farlo divenire religione di stato. Il mazdeismo si trovò minacciato all’interno, nonché stretto all’esterno dalle altre religioni monoteiste. Alla morte di Sapur I, si diffusero violente persecuzioni contro tutte le religioni, in particolare contro il manicheismo. Mani venne sottoposto a giudizio e condannato al supplizio. I suoi fedeli lasciarono l’Iran e si recarono in Asia centrale, la Siria e l’Egitto, dove diffusero la propria religione. Essa conobbe un discreto successo in Cina (dove si diffuse anche il cristianesimo nestroriano), Mongolia e Nord Africa, dove venne combattuto da S. Agostino. Da qui il manicheismo si diffuse nel sud della Francia, dando vita alla seta purista dei Catari, che nel 1200 venne combattuta aspramente dai cattolici che ne massacrarono tutti i proseliti. Con l’imperatore Narsete il manichiesmo conobbe un nuovo periodo di successo, in quanto fu posto in contrapposizione con il cristianesimo che si stava diffondendo in Mesopotamia, finchè lo zoroastrismo non lo annientò definitivamente in Iran, divenendo religione di stato.
mercoledì 11 giugno 2008
CRITICA ALLA RELIGIONE
Il fondamento della critica alla religione é: è l’uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l’uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sè e il sentimento di sè dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l’uomo non è un'entità astratta posta fuori del mondo. L’uomo è il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo punto d’onore spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l’aroma spirituale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo. (Marx)
lunedì 9 giugno 2008
REINCARNAZIONE
La Reincarnazione è una dottrina che insegna che l'anima vive in un corpo fisico, fa delle esperienze, lascia il corpo e ne prende un altro fintanto che arriva ad essere così perfetta che non ha più bisogno di rinascere. Come dottrina religiosa è diffusa soprattutto in Oriente e trova in India la sua più ampia e profonda espressione filosofica nei Veda, nelle Upanishad e nella Bhagavad-gita. In quest’ultima opera si trova una definizione molto chiara e compiuta della reincarnazione: «…Come si abbandonano gli abiti vecchi per indossarne dei nuovi, così l’anima lascia i corpi usati per rivestirne dei nuovi…». Scopo delle molte vite è quello di purificarsi e fare esperienze, ai fini dell’evoluzione e secondo le leggi del karma. Termine sanscrito (karman=azione) che nel contesto religioso indiano è passato a significare l’effetto delle azioni che si sono compiute nella vita e le conseguenze che da esse derivano e che si esprimeranno nelle esistenze successive. Il karma è quindi una legge universale che fa sì che ogni vita sia l’esatta conseguenza di quella che l’ha preceduta.
venerdì 6 giugno 2008
IL TRIANGOLO DELLE BERMUDA
Per il Triangolo delle Bermude si intende un'area molto grande dell'oceano atlantico che ha il suo vertice nelle isole Bermuda a sud e che si estende dalla punta meridionale della florida fino alla piccole Antille, la zona prende anche il nome di "Triangolo maledetto" a causa di un lungo elenco di incidenti inspiegabili che vi sono accaduti. Molti sono gli episodi misteriosi da tempo fino ai giorni nostri. Se per quanto riguarda le prime cronache possiamo imputare imprecisioni e distorsioni, altrettanto non possiamo dire per ultimi e più recenti incidenti che, secondo una stima approssimativa, hanno causato addirittura più di mille vittime solo negli anni che vanno dal 1945 al 1975, un numero che, occorre precisare, tiene conto anche degli aerei che a partire dalla seconda guerra mondiale erano precipitati in questa area con impressionante frequenza. Da tenere presente è anche il fatto che non si trattava di una zona ai confini del mondo ma anzi una zona che comprendeva una regione sub tropicale molto frequentata per la dolcezza del clima e la bellezza del paesaggio. Florida Bahamas, Caraibi sono infatti nomi favolosi che evocano spiagge dorate e piacevoli vacanze, che non hanno assolutamente nulla di tetro e desolante. Ma questo dato, in apparenza contrastante, sembra confermare in qualche modo che un fondo di verità deve esserci; inoltre, un altro particolare che rende diverse le disgrazie accadute in quest'area da quelle che avvengono in altre parti del mondo, è il fatto che di tutti gli incidenti non è rimasta traccia. Nessun relitto, nessun superstite. Aerei, navi persone, risultano ogni volta letteralmente sparite. Di loro si sapeva con esattezza il luogo di partenza e la destinazione prevista; si sapevano addirittura minuti particolari relativi al viaggio trasmessi per radio durante la navigazione. Poi più nulla. Interrotti i collegamenti più o meno bruscamente, iniziavano ricerche sistematiche nella presumibile zona dell'incidente, ma sempre senza risultato. Uomini e mezzi erano così scomparsi, volatilizzati nel nulla. Leggende e racconti paurosi sono sempre esistiti sin dall'antichità su tutti i mari sconosciuti, ma la maggior parte si sono sgretolate nel corso degli anni, mentre il mistero del triangolo delle Bermude resiste tuttora. Le ipotesi sono tante, disturbi magnetici che compromettevano gli strumenti, o terremoti sottomarini che provocavano dei turbini, o un'alra ipotesi meno accettata era sui tifoni ma molti riferiscono che in molti casi di sparizioni il tempo era perfetto, tuttavia dopo una valanga di ipotesi ancora non è stato chiarito il mistero che continua ad imperversare in una stupenda zona tropicale.
giovedì 5 giugno 2008
SIMPOSIO
La giusta maniera di procedere da sè o di essere condotti da un altro nelle cose d'amore é questa: prendendo le mosse delle cose belle di quaggiù, al fine di raggiungere il Bello, salire sempre di più, come procedendo per gradini, da un solo corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e da tutti i corpi belli alle belle attività umane, e da queste alle belle conoscenze, e dalle conoscenze procedere fino a che non si pervenga a quella conoscenza di null'altro se non del Bello stesso, e così, giungendo al termine, conoscere ciò che é il bello in sè. (Platone, "Simposio")
mercoledì 4 giugno 2008
ESOTERISMO
Dottrina o complesso di dottrine di carattere segreto. All'origine della parola esoterismo sta l'aggettivo greco esoterikos (interno), usato per indicare insegnamenti riservati a una cerchia ristretta di discepoli, in contrapposizione a exoterikos -essoterico- (esterno), che si riferiva a insegnamenti indirizzati a tutti. Le dottrine esoteriche si configurano entro fenomeni culturali come la magia, l'alchimia, le religioni misteriche e gnostiche, la qabbalah. In queste forme di cultura la presenza del segreto può essere intesa in due modi: come presenza di un segreto che è nei meccanismi dell'universo e che resta inaccessibile per gli stessi iniziati (i quali sono iniziati alla venerazione del segreto in quanto tale, non alla sua penetrazione); oppure come presenza di un segreto che si attua nel patto reciproco di silenzio degli iniziati verso i profani. Questi due modi diversi corrispondono storicamente al prevalere di istanze di mistica (segreto tale anche per gli iniziati) o di istanze di magia (segreto che gli iniziati conoscono, o quanto meno sfruttano, ma che essi tacciono ai profani). Si trova usata come sinonimo di esoterismo la parola occultismo. É più esatto però riconoscere nell'occultismo solo una forma particolare di esoterismo, in quanto esso, da un lato, configura il segreto come conoscibile con tecniche appropriate, e dall'altro non implica sempre il vincolo del segreto verso i profani. Elementi caratterizzati dall'esoterismo sono presenti ai più vari livelli di civiltà. Nelle culture cosiddette primitive rientrano in questo settore i rituali di iniziazione, in genere segreti, e che nella maggior parte dei casi stabiliscono una distinzione di status tra gli iniziati da un lato, e i non iniziati dall'altro; per es.. solo gli uomini, la cui maturità è sanzionata dalla cerimonia stessa, possono partecipare a determinati riti e conoscere pienamente la tradizione e tutto il patrimonio sacro della tribù. Nella maggior parte delle religioni che pure non sono in sé e per sé esoteriche si trova integrata una qualche forma più o meno marginale o ereticale di esoterismo. É il caso delle correnti esoteriche sviluppatesi in Estremo Oriente a fianco del brahmanesimo e del buddhismo (tantrismo, buddhismo zen ecc) o nel Vicino Oriente a fianco dell'islamismo (sufismo). Vi sono numerose accezioni esoteriche del cristianesimo: da quelle di presunta impronta gnostica del periodo delle origini, a quelle medievali forse influenzate dal manicheismo, a quelle della cosiddetta qabbalah cristiana del rinascimento (collegata alla tradizione ebraica), a quelle dei periodi di "risveglio" religioso nei secoli XVII-XVIII, al cattolicesimo esoterico francese e bavarese del sec. XIX ecc. Altre forme di esoterismo sono relativamente autonome dalle religioni costituite e quasi rappresentano religioni a sé stanti: l'esoterismo neopagano del rinascimento, collegato al recupero del neoplatonismo; nei secoli XVIII-XIX il martinezismo e il martinismo; entro certi limiti, la stessa massoneria e, nel sec. XX, la teosofia e l'antroposofia (Rudolph Steiner). É frequente, specialmente in queste forme di esoterismo che quasi costituiscono religioni autonome, una particolare attenzione per i sistemi simbolici delle culture dell'antichità, nei quali si presume di riconoscere il patrimonio cifrato di una sapienza perduta. Per questa ragione gli esoteristi dei secoli XVIII e XIX hanno dato contributi a volte molto perituri, a volte di lunga influenza e (nonostante le bizzarrie) di indubbia acutezza, alla scienza della mitologia. Studiosi, e spesso anche cultori in prima persona, dell'esoterismo hanno inoltre analizzato nei secoli XIX e XX documenti letterari e artistici, riconoscendovi, in modo a volte attendibile, linguaggi esoterici; hanno parlato di esoterismo nel linguaggio degli stilnovisti e di Dante; individuato simboli alchemici nell'architettura e nelle sculture delle cattedrali medievali; indagato i valori esoterici di testi di Avicenna; dei testi medievali relativi alla leggenda del Graal. Vi furono, del resto. scrittori dei secoli XIX-XX che ebbero speciale gusto per l'esoterismo o che addirittura si ritennero innanzitutto esoteristi.
martedì 3 giugno 2008
ICONOCLASTIA
Movimento religioso, ma con forti connotazioni politiche, contrario al culto delle immagini della divinità diffusosi nell'impero bizantino nei secoli VIII e IX. Il termine deriva da una parola greca che si compone del sostantivo eíkon, 'immagine', e del verbo kláein, 'spezzare'. Nel 726 e 730 l'imperatore Leone III l'Isaurico, in parte per scongiurare le accuse di idolatria mosse dai musulmani, promulgò un decreto che proibiva la venerazione delle immagini sacre. Questa decisione venne condannata dal papa, ma l'imperatore impose vigorosamente la dottrina iconoclasta a Costantinopoli, e ancora più suo figlio e successore Costantino V, che fece condannare il culto delle immagini come idolatria nel sinodo svolto nel palazzo di Hieria, alla periferia di Costantinopoli, nel 754. Con la salita al trono dell'imperatrice Irene un sovvertimento politico portò, con il II concilio di Nicea (787), a condannare a loro volta gli iconoclasti. Una ripresa della diffusione dell'iconoclastia nella prima metà del IX secolo venne definitivamente repressa con la condanna finale del movimento nel concilio tenutosi nel 843 sotto il patronato dell'imperatrice Teodora II. L'argomento più forte contro l'iconoclastia, formulato dal padre della Chiesa siriano Giovanni Damasceno, è che essa nega uno dei principi fondamentali della fede cristiana, cioè la dottrina dell'incarnazione. Secondo i difensori delle immagini, la nascita umana di Cristo ne aveva reso possibile le rappresentazioni, che in qualche misura condividono la divinità del loro prototipo; il rifiuto di questa immagine comportava automaticamente, quindi, il rifiuto del loro modello. Oltre agli aspetti teologici, il movimento iconoclasta ebbe importanti influenze sull'arte bizantina, e fu un pretesto per fomentare le lotte intestine all'impero bizantino ed esacerbare i motivi di discordia col papato.
sabato 31 maggio 2008
GLI ANGELI
Il termine "Angelo" deriva dal greco anghelos che significa “inviato” "messaggero": gli angeli sono quindi creature che portano un messaggio agli uomini da parte di Dio, essi sono “potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola” (sal 103,20), sono i messaggeri del suo disegno di salvezza: "Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?" (Eb 1,14). Gli Angeli non hanno natura umana, sebbene gli uomini li immaginino simili a loro, però vedono e comprendono le cose da una prospettiva totalmente diversa dalla nostra. Esistono molti punti in comune tra noi e loro, soprattutto riguardo ai più alti obiettivi, è proprio la diversità che rende cosi affascinante il dialogo. Degli Angeli si hanno le informazioni più contraddittorie: alcuni li ritengono immortali, altri sostengono che la loro esistenza è legata a un tempo e a una funzione specifici. Quasi ogni pagina della Bibbia ci attesta l’esistenza di questi puri spiriti; basti ricordare i Cherubini posti a guardia del Paradiso terrestre (Gen III, 24), i tre Angeli che appaiono ad Abramo (Gen XVIII, XIX, ecc.), l’Arcangelo Raffaele che accompagna e libera Tobia (Tob V, 1 segg.), l’Arcangelo Gabriele che annuncia l’Incarnazione del Verbo, gli Angeli che annunciano la nascita di Gesù ai pastori, la sua Resurrezione (Le I, XI, 28; 24, 4 segg.), gli innumerevoli Angeli dell’Apocalisse (I, XI; Vili, 4 e segg.). La Chiesa, in base alla Scrittura e alla Tradizione, ha definito come «verità di fede» non solo l’esistenza degli Angeli, ma anche la loro creazione. Comunemente si ritiene che siano stati creati prima dell’uomo in numero sterminato. Dalla Sacra Scrittura, e specialmente da San Paolo cui fa eco la tradizione, si conosce che gli Angeli sono distribuiti in 9 gerarchie : CHERUBINI, SERAFINI, TRONI, DOMINAZIONI, VIRTÙ, POTESTÀ, PRINCIPATI, ARCANGELI e ANGELI. Ciò che chiaramente si ricava dalla Sacra Scrittura è che gli Angeli non sono uguali in dignità ma ve ne sono di superiori ed inferiori. Anche le loro funzioni sono diverse. La Bibbia parla di Angeli custodi (Mt XVIII, 10; Att XII, 15), di guide delle creature (Tob XII), di protettori di città e nazioni (Dan XII, 1), di Angeli che lodano Dio ed eseguono i suoi ordini (Le 11,13 ss.), di Angeli che stanno davanti al trono di Dio (Tob 1.15). Si parla talora nella Bibbia di schiere innumerevoli, di immensi eserciti celesti. Tutto questo fa pensare ad un ordine, ad una gerarchia celeste - come sopra riferito - a capo della quale è riconosciuto l’Arcangelo San Michele . Gli Angeli furono nell’atto stesso della creazione elevati all’ordine soprannaturale» però perseverarono. Molti abusarono della loro libertà, si ribellarono a Dio con un atto di superbia e così furono puniti immediatamente e condannati all’inferno. San Tommaso insegna che ogni Angelo non solo è diverso dagli altri ma costituisce da solo una «specie». E' pure opinione di San Tommaso che gli Angeli sono presenti in determinati luoghi, ove esercitano la loro specifica azione, e non altrove.
venerdì 30 maggio 2008
EPICURO
La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode. Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell'atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa - la divinità non fa nulla a caso - e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali. Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni immortali. (Epicuro, "Lettera a Meneceo")
giovedì 29 maggio 2008
INDUISMO
Religione tradizionale dell'India, praticata da oltre 700 milioni di fedeli. Con il termine "induismo" si indica convenzionalmente l'intera esperienza religiosa degli indiani nel suo svolgimento storico, fin dalle origini, fissate approssimativamente intorno al 1500 a.C.; l'accezione scientifica del termine, tuttavia, denota come "induismo" soltanto la religione che, praticata dal VI secolo a.C., costituisce l'evoluzione di due fasi anteriori dette rispettivamente "vedismo", dal nome dei libri sacri, i Veda, e "brahmanesimo", dal nome degli appartenenti alla casta sacerdotale, i brahmani. L'induismo è definibile come una religione politeistica caratterizzata non solo dalla molteplicità delle figure divine, ma anche dal fatto che i fedeli si distinguono per la loro devozione a un Dio particolare. Tra gli innumerevoli dei, che sono adorati in templi a volte stupendi e immersi nella giungla, i più importanti sono Brahma, il dio creatore dell’universo, Visnu, il dio che conserva nell’essere il mondo, e Shiva, il dio che dissolve tutto. I libri sacri, i Veda, sono venerati da una tradizione che impone di custodirne scrupolosamente l'integrità testuale ma sono stati soppiantati nella loro funzione didattica da un'altra collezione di antichi scritti detta Smrti. Gli induisti credono nella reincarnazione: se un uomo si comporta male in questa vita, dopo la morte, la sua anima torna a vivere in un altro corpo per espiare i peccati commessi : solo chi onora gli dei e si comporta con carità verso gli altri uomini raggiunge la pace eterna. Infatti gli induisti credono che gli dei, in cambio di preghiere e di sacrifici, facciano dono agli uomini del sukhavati, il paradiso di felicità. L'induismo è noto per la rigida divisione della società in classi, - varna - alle quali si appartiene per nascita senza alcuna possibilità di sfuggire alle severe norme di una concezione gerarchica.
mercoledì 28 maggio 2008
METAFISICA
Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicchè, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c'era pressochè tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all'agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. E' evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa. (Aristotele, Metafisica)
martedì 27 maggio 2008
HEZBOLLAH
Hezbollah o Ḥizb Allāh (حزب اﷲ in arabo, ossia Partito di Dio), è un partito sciita attivo in Libano, fondato nel 1982, su iniziativa del gruppo dei "Partigiani mussulmani”, come movimento di resistenza all’invasione israeliana. Fin dalla sua nascita, si è dotato di un ala militare, chiamata al-Muqawama al-Islāmiyya ("Resistenza Islamica"), formatasi grazie all’aiuto dell’Iran, che ha inviato 1.500 militari che hanno aiutato la formazione al combattimento. Fin dall’inizio è stata molto attiva con bombe e lanci di razzi “Katiuscia” contro le truppe israeliane, finanziati oltre che da Teheran anche dalla Siria. La sua bandiera è un drappo giallo, con al centro la Sura V, 56, del Corano, all’interno della quale la lettera “alif”, la prima della parola Allah(Dio), è raffigurata come una mano che stringe un fucile AK-47 ed è affiancata da una rappresentazione schematica del globo terrestre. L’organo supremo è il “Majlis al-Shura”, o Consiglio Consultivo, a sua volta guidato dal Segretario Generale, Hasan Nasrallah. Oltre che al regime iraniano, Hezbollah collabora con i movimenti di resistenza palestinesi, in particolar modo con Hamas, e così come esso svolge numerose opere sociali presso la popolazione del Libano del Sud(istruzione, assistenza sanitaria, ricostruzione delle case bombardate) devastato dalle continue invasioni israeliane, e ha costruito una rete di associazioni estere che garantiscono un continuo afflusso di denaro dall’estero (25/50 milioni di dollari dall’Iran; Bonyad-e Shahid (Carità per i Martiri) ha istituito un fondo per i famigliari degli attentatori sucidi; nel 2001 in Paraguay la polizia ha scoperto un covo di un militante di Hezbollah con all’interno fondi per 3,5 milioni di dollari, e sospetta che nell’arco di 15 anni abbia inviato in Libano circa 50 milioni di dollari). Pur essendo un movimento estremista e fortemente militarizzato, partecipa anche attivamente alla vita parlamentare del Libano fin dal 1992; prima della grave crisi istituzionale aveva in carica alcuni ministri nel governo del Primo Ministro Fu'ād Siniora, e fino ad allora il governo libanese lo definiva come “un movimento di resistenza nazionale”, non come una milizia terrorista. Il periodo che va dalla Primavera del 1983 e l’Estate del 1985, vede Hezbollah, o gruppi ad esso vicini (l'Organizzazione degli Oppressi, l'Organizzazione della Giustizia Rivoluzionaria, l'Organizzazione per il Giusto contro lo Sbagliato ed i Seguaci del Profeta Maometto), lanciare una forte campagna militare sia contro Israele che contro gli Stati Uniti,trai più clamorosi, l’ attacco suicida contro l’ambasciata USA e la caserma dei marines a Beirut nell’Ottobre 1983 e nuovamente contro l’ambasciata USA a Beirut nel Settembre del 1984. In seguito si segnalerà per l’ “abitudine” a rapire militari americani o personale occidentaei, spesso in risposta ad arresti illegali praticati dal Mossad israeliano nei territori occupati del Libano. Fuori dal Libano, clamoroso fu l’attacco all’ambasciata d’Israele in Argentina nel 1992. Col passare della guerriglia contro Israele, stringerà ulteriormente i contatti con i movimenti palestinesi, oltre che con Hamas anche con i Tanzim. Il 10 marzo del 2005 il Parlamento Europeo, accogliendo le richieste israeliane sostenute anche dagli Stati Uniti, approvò con una maggioranza schiacciante (473 a favore, 8 contro, 33 astenuti) una risoluzione che accusava Hezbollah di attività terroristiche. La risoluzione afferma che il "Parlamento considera che esiste una chiara evidenza di attività terroriste da parte di Hezbollah. Il Consiglio dell'Unione Europea deve intraprendere tutti i passi necessari per impedire le loro azioni". .La UE ha anche deciso di impedire la diffusione della televisione satellitare di Hezbollah (al-Manār) da parte dei satelliti europei, in modo di applicare le norme europee contro "l'incitamento all'odio razziale e/o religioso". Le Nazioni Unite non hanno invece incluso Hezbollah nella loro lista di sospetti gruppi terroristici ma hanno, comunque, chiesto lo smantellamento dell'ala militare di Hezbollah nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n° 1559.
domenica 25 maggio 2008
EINSTEIN
Voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare: voglio penetrare a fondo il Suo pensiero. Il resto sono solo minuzie. L'esperienza più bella che possiamo avere è il senso del mistero.
E' l'emozione fondamentale che accompagna la nascita dell'arte autentica e della vera scienza. Colui che non la conosce, colui non può più provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi occhi sono incapaci di vedere. (Einstein)
sabato 24 maggio 2008
IL DIO EBRAICO
L'uomo non può percepire la reale essenza della Divinità, come viene detto nell'Esodo 33:20 «Un uomo non può vedermi e vivere»; Dio è conoscibile soltanto dalle Sue opere e dai suoi attributi, le Sue middòt. I primi tre nomi divini nel Tanach sono Elohìm (Dio), Havayàh (Eterno, espressione utilizzata per evitare di scrivere o pronunciare il Tetragramma) e Adonài (Signore, Padrone). Il nome divino Elohìm sottolinea il ruolo di Dio come creatore del mondo; semanticamente denota onnipotenza, la fonte eterna di energia creatrice. Tale nome non indica tuttavia un legame diretto di Dio con la creazione, e compare come Sua unica denominazione nel primo capitolo della Genesi. Il nome Havayàh, costituito dalle quattro lettere yod-heh-vav-heh (il Tetragramma), si collega invece alla stessa essenza divina, l'Essere, e viene pronunciato dal Gran Sacerdote solamente nel giorno i Kippur; è anche definito «il Nome ineffabile», in quanto è proibito pronunciarlo in circostanze estranee alla procedura rituale. Havayàh denota l'Essere eterno, la più pura essenza di Dio costituendo l'abbreviazione dell'espressione hayàh, hovèh veyiheyèh (fu, è e sarà), che afferma come la Sua esistenza comprenda insieme passato remoto, presente e futuro infinito. Il nome Adonài comprende i significati di signore» e padrone» afferma che Dio è il signore di tutto il creato.
venerdì 23 maggio 2008
INTRODUZIONE ALL' ESTETICA
L’estetica come disciplina filosofica specifica nasce alla fine del Settecento e si configura pertanto come un fenomeno essenzialmente moderno; essa nasce come tentativo di fornire una legittimazione universale ad un ambito che, malgrado la molteplicità di tesi e precetti, non era ancora divenuto oggetto di riflessione sistematica. Questo ambito è caratterizzato dall’emergere in primo piano della soggettività con le sue manifestazioni, in particolare il sentimento individuale: questo particolare stato affettivo, che inizia ad essere concepito sul piano filosofico come la fonte delle emozioni, era sconosciuto nell’antichità, dove invece prevaleva la nozione di passione, ancora ampiamente utilizzata fino a tutto il Seicento. A partire dal Settecento, il sentimento va invece ad indicare il riflesso soggettivo che accompagna ogni nostra esperienza e si configura come terzo ambito fondamentale della nostra vita spirituale, accanto ad intelletto e volontà; tale nozione non appare caratterizzata da connotazioni di ordine psicologico e trova il suo terreno di applicazione unicamente in ambito estetico e morale. L’estetica come disciplina filosofica nasce quindi come tentativo di fondare in modo critico un settore che appare, per le tematiche affrontate, votato fin dall’inizio all’accidente e all’irrazionalità e mira a dettare le condizioni di universalità e di necessità per un tipo di esperienza che, ad una prima analisi, ne è priva. L’estetica, come fenomeno moderno, si sviluppa in un’area culturale, quella di lingua tedesca, che alla fine del Settecento offre alla cultura contributi decisivi nel campo della letteratura (Goethe, Novalis, Schiller, Hölderlin, ecc..) e della musica (Mozart, Beethoven, Schubert) e si radica in un tessuto sociale in cui si qualifica in modo molto chiaro e preciso l’esperienza sociale dell’arte. Il momento in cui infatti nasce l’estetica filosofica è anche quello in cui si delinea in modo definitivo e stabile la figura dell’artista come soggetto in grado di produrre le opere d’arte, quel particolare tipo di oggetti cioè che vengono concepiti sotto la comune categoria della qualità estetica. Tale processo ha inizio a partire dal Rinascimento, mentre precedentemente, nel mondo greco, romano e medievale, l’attività artistica è sempre rimasta, sul piano teorico e sul piano pratico, al di sotto di quel livello di unificazione e specificazione oltre il quale poteva divenire oggetto di una specifica teoria estetica. Ciò tuttavia non significa che le epoche e le civiltà precedenti il Rinascimento non siano state in grado di produrre opere d’arte valide come quelle realizzate negli ultimi quattro secoli; tuttavia la categoria di arte come noi la conosciamo e la pratichiamo oggi era sconosciuta ai greci, ai romani e alla civiltà medievale. Ciò peraltro non rappresenta necessariamente un limite negativo di queste culture: l’estetica più recente si è chiesta infatti se l’arte come attività distinta dalle altre attività dell’uomo non sia il frutto di una specifica forma di “alienazione”, una conseguenza cioè di quel processo di divisione del lavoro che viene visto come motivo di lacerazione dell’integrità dell’esperienza, sia sul piano individuale che su quello sociale.
giovedì 22 maggio 2008
QUARTA DIMENSIONE
Con il termine quarta dimensione viene trattata una ipotetica dimensione spazio-temporale, che spiegherebbe i fenomeni paranormali, la quale si estende nello spazio e viene percepita come tempo. Questo non sarebbe altro che il modo in cui la nostra mente percepisce una quarta dimensione spaziale: ogni oggetto sarebbe la sezione tridimensionale di un corpo esteso nella quarta dimensione in modo enorme, di cui percepiamo solo la sezione che coincide con il presente. Le sezioni precedenti costituiscono invece il passato e quelle successive il futuro. Studiosi e Scienziati hanno proposto come spiegazione al manifestarsi di fenomeni paranormali, sia fisici che psichici, l'intervento di una quarta dimensione spaziale, nell'ambito della quale, appunto, si muoverebbe la dinamica dei fenomeni.
mercoledì 21 maggio 2008
ISLAM
Cosa significa Islam ? Letteralmente "sottomissione ad Allàh", la risposta a questa domanda si trova nelle parole del Corano. Infatti nel Corano si trovano gli insegnamenti di Dio - Allàh. Allàh insegna nel Corano: "In verità, la religione presso Allàh è l' Islàm". In un altro passo del Corano Allàh ammonisce: "E chi preferisce una religione diversa dall' Islàm, non se la vedrà accolta e nella vita futura egli sarà nel numero dei perdenti". Quindi, poiché Allàh è Verità, solamente l'Islàm , tra le diverse religioni praticate dagli uomini, è la vera religione divina. Nel Corano Allàh ordina: "Obbedite ad Allàh ed ubbidite all'Apostolo e a coloro che di voi detengono l'autorità islamica." Nel Corano Allàh avverte: "Chi ubbidisce all'Apostolo, obbedisce ad Allàh" "C'è per voi nell'Apostolo un modello esemplare." Con queste parole Allàh sottolinea una importantissima verità: gli insegnamenti, i precetti e gli esempi di vita dell'Apostolo (il Profeta Muhammad ) hanno valore di regola di condotta . L'Islàm è il Codice di vita, che si fonda sul Corano e sulla Sunna del Profeta. La parola Sunna significa "pratica di vita" e nella pratica di vita del Profeta ci sono esempi da imitare e modelli di comportamento da mettere in atto, per chi vuole vivere l'Islàm. Il nome di chi colui che possiede l'identità islamica è quello di muslim (musulmano). Musulmano è, quindi, solo ed esclusivamente colui che è "sottomesso ad Allàh, ha fede nel credo islamico e pratica l'Islàm con un codice di vita che si fonda su cinque regole essenziali :i pilastri." Commettono un grave errore tutti coloro che legano l'appartenenza all'Islàm a un'area geografica, a una nazionalità, a un passaporto, piuttosto che all'obbedienza ad Allàh, che ha il suo momento interiore nell'Imàn (il credo islamico) e il suo momento comportamentale nell' Islàm ( la pratica di vita che si fonda sul Corano e sulla Sunna).
martedì 20 maggio 2008
I PRIMI PRINCIPI
Abbiamo escluso la Filosofia da una gran parte del dominio che si supponeva appartenerle. Il dominio che rimane è quello occupato dalla scienza. La scienza tratta delle coesistenze e sequenze tra i fenomeni: essa li raggruppa da prima per formare generalizzazioni di un ordine semplice o basso, e si eleva a grado a grado a più alte e più estese generalizzazioni. Ma se è così, dove rimane un campo per la Filosofia? La risposta è questa: Filosofia può essere ancora propriamente il titolo da applicarsi alla conoscenza della più alta generalità. […] Le verità della filosofia hanno dunque con le più alte verità scientifiche la stessa relazione che ciascuna di queste ha con le verità scientifiche inferiori. Come ogni più ampia generalizzazione della Scienza comprende e consolida le più ristrette generalizzazioni del suo dominio; così le generalizzazioni della Filosofia comprendono e consolidano le più ampie generalizzazioni della Scienza. Perciò la conoscenza che costituisce la Filosofia è nel genere l’estremo opposto di quella che l’esperienza da prima accumula. (Herbert Spencer, "I primi princìpi")
lunedì 19 maggio 2008
LE PIRAMIDI
Le Piramidi sono uno dei grandi misteri dell'antico Egitto e il modo in cui furono costruite. Erodoto racconta che centinaia di migliaia di schiavi, soffrendo al sole, sotto i colpi di fruste, ridotti a bestie da soma, pagavano con la salute o con la vita il trasporto di enormi blocchi di pietra, immagine diffusa da un gran numero di manuali scolastici e persino di opere dalle pretese scientifiche. Ma altre fonti raccontano che le piramidi di Giza non sono l'opera di oppressi schiavi, ma di una schiera di architetti ingegnosi, di una civiltà all'apice tecnologico, capace di una straordinaria organizzazione del lavoro, dall'estrazione delle pietre sino al loro sollevamento, passando per il trasporto. Durante i mesi di inondazione, buona parte della popolazione stava in riposo. Allora, si reclutava molta manodopera per lavorare nei cantieri delle piramidi. Senza ruota e senza carrucole, sembra anche se queste tecniche erano conosciute, con trapani dalla punta di selce, mazze di diorite, accette, asce e scalpelli di rame, le squadre di artigiani, considerati come fari della loro società e remunerati di conseguenza, costruirono monumenti immensi di cui, tuttavia, nessun testo geroglifico sottolinea il carattere eccezionale. Sono state dette e scritte molte cose sulle Piramidi e la loro costruzione, ma anche sull'ingegno dell' Egiziani una in particolare narra che la prima dinastia non fosse altro che discendenti di Atlantide che portarono le loro conoscenze al popolo che li ospitò. Sara vero? Resta comunque sempre un mistero non propriamente risolto la loro costruzione. Come si può notare in alcune immagini provenienti dai satelliti un'altro dato importante da non sottovalutare è la disposizione delle piramidi che rispecchiano la costellazione di Orione in tutti i suoi dettagli, luogo nel quale gli egizi pensavano vivesse Osiride.
domenica 18 maggio 2008
LA POLITICA COME PROFESSIONE
Dobbiamo renderci chiaramente conto che ogni agire orientato in senso etico può oscillare tra due massime radicalmente diverse e inconciliabilmente opposte: può essere cioé orientato secondo l’«etica della convinzione» oppure secondo l’«etica della responsabilità». Non che l’etica della convinzione coincida con la mancanza di responsabilità e l’etica della responsabilità con la mancanza di convinzione. Non si vuole certo dir questo. Ma v’è una differenza incolmabile, tra l’agire secondo la massima dell’etica della convinzione, la quale – in termini religiosi – suona: ‘Il cristiano opera da giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio’, e l’agire secondo la massima dell’etica della responsabilità, secondo la quale bisogna rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni”. (Weber)
sabato 17 maggio 2008
IL MONDO COME VOLONTA' E RAPPRESENTAZIONE
E' davvero incredibile come insignificante e priva di senso, vista dal di fuori, e come opaca e irriflessiva, sentita dal di dentro, trascorra la vita di quasi tutta l'umanità.
E' un languido aspirare e soffrire, un sognante traballare attraverso le quattro età della vita fino alla morte, con accompagnamento d'una fila di pensieri triviali. Gli uomini somigliano a orologi che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; ed ogni volta che un uomo viene generato e partorito, è l'orologio della vita umana di nuovo caricato, per ripetere ancora una volta, fase per fase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata. Ciascun individuo, ciascun volto umano e ciascuna vita non è che un breve sogno dell'infinito spirituale naturale, della permanente volontà di vivere; non è che una nuova immagine fuggitiva, che la volontà traccia per gioco sul foglio infinito dello spazio e del tempo, lasciandola durare un attimo appena percettibile di fronte all'immensità di quelli, e poi cancellandola, per dar luogo ad altre. Nondimeno, e in ciò è l'aspetto grave della vita, ognuna di tali immagini fugaci, ognuno di tali insipidi capricci dev'essere pagato dall'intera volontà di vivere, in tutta la sua violenza, con molti e profondi dolori, e in ultimo con un'amara morte, a lungo temuta, finalmente venuta. Per questo ci fa così subitamente malinconici la vista di un cadavere. La vita d'ogni singolo, se la si guarda nel suo complesso, rilevandone solo i tratti significanti, è sempre invero una tragedia; ma, esaminata nei particolari, ha il carattere della commedia. Imperocchè l'agitazione e il tormento della giornata, l'incessante ironia dell'attimo, il volere e il temere della settimana, gli accidenti sgradevoli d'ogni ora, per virtù del caso ognora intento a brutti tiri, sono vere scene da commedia. Ma i desideri sempre inappagati, il vano aspirare, le speranze calpestate senza pietà dal destino, i funesti errori di tutta la vita, con accrescimento di dolore e con morte alla fine, costituiscono ognora una tragedia. Così, quasi il destino avesse voluto aggiungere lo scherno al travaglio della nostra esistenza, deve la vita nostra contenere tutti i mali della tragedia, mentre noi riusciamo neppure a conservar la gravità di personaggi tragici, e siamo invece inevitabilmente, nei molti casi particolari della vita, goffi tipi da commedia. (A. Schopenhauer)
venerdì 16 maggio 2008
INTRODUZIONE AL GRAAL
La leggenda del Graal ha un inizio storico ben definito e un inizio mitico che si perde nella notte dei tempi. Tutto ha inizio col romanzo medievale incompiuto di Chrétien de Troyes, Perceval o il racconto del Graal, composto tra il 1175 e il 1190 circa. Il Graal viene appena citato e descritto sommariamente, ma tanto basta per scatenare una ricerca che dura da otto secoli.L’eroe è Perceval. Il padre e i suoi fratelli sono morti in battaglia, e per tenere in vita l’unico figlio rimastole, la madre decide di tenerlo lontano dal mestiere delle armi. Lo alleva in una landa isolata e impone ai suoi servitori di non parlare al ragazzo della cavalleria. Un giorno passano da lì dei cavalieri e Perceval decide di abbandonare la madre che muore di crepacuore e di diventare cavaliere. All’inizio del viaggio Perceval è poco più di un ragazzo digiuno del mondo e delle buone maniere e non solo del mestiere delle armi. Vive varie avventure e trova un cavaliere, che gli insegna come comportarsi in società, tra l’altro gli dice di non parlare molto. A questo punto ha ricevuto l’iniziazione di cavaliere. Prosegue nel suo viaggio e raggiunge il castello del Graal. Il castello è abitato dal Re Pescatore che ferito ad una gamba ha come unico diletto quello di pescare. Il Re lo ospita. Durante il pasto serale assiste ad una strana processione e qui viene citato per prima volta il termine Graal. Un valletto passa nella sala con in mano una lancia sanguinante seguito da due valletti con dei candelabri a dieci braccia e da una fanciulla con un "graal". Il corteo si dirige in un’altra stanza dove si trova il padre del Re Pescatore. All’ingresso del corteo la sala viene inondata di luce. La processione si ripete ad ogni portata. Il giovane ricordandosi dell’insegnamento non domanda a chi viene servito il Graal e questo è il suo errore. Facendo la domanda il Re sarebbe guarito e con lui sarebbe ritornato a fiorire anche il suo regno. Risvegliandosi Perceval trova il maniero deserto e riparte. Nel racconto non viene spiegato cosa sia esattamente il Graal. Si capisce che è un contenitore perché viene servito a qualcuno. Viene descritto come preziosismo, ma nulla più. Il romanzo ha uno strano andamento. Perceval ritorna alla corte di re Artù, e da qui riparte per altre avventure che non vengono descritte, mentre vengono descritte quelle di un altro cavaliere: Galvano. In pratica il romanzo è quasi diviso in due, da una parte le avventure di Perceval e dall’altra quelle di Galvano. Il romanzo è incompiuto quindi l’impianto potrebbe essere più complesso. A un certo punto delle vicissitudini di Galvano l’autore ritorna a Perceval. Lo ritroviamo mentre incontra una processione del Venerdì Santo. Si dice che ha vissuto mille avventure che ci rimangono oscure, ma stando lontano da Dio. La processione gli ricorda i suoi doveri religiosi e si rifugia da un eremita, e qui fa penitenza. Riceve una seconda e definitiva iniziazione. L’eremita che scopriamo essere un suo zio materno spiega che il Graal viene servito al padre del Re Pescatore e che contiene un’ostia, unico sostentamento dell’uomo da dodici anni ed insegna al nipote una preghiera segreta da usare solo in caso di grave pericolo. Questo il racconto del Graal di Chrétien. Un’opera incompiuta divisa in due parti quasi slegate o per lo meno apparentemente slegate. Da questo momento nasce la leggenda del Graal. Si può affermare che il vero mistero del Graal è come un termine citato un paio di volte in un romanzo incompiuto abbia potuto scatenare una ricerca da parte degli uomini che dura da secoli.
giovedì 15 maggio 2008
DISCORSO SUL METODO
In luogo del gran numero di regole di cui si compone la logica, ritenni che mi sarebbero bastate le quattro seguenti, purché prendessi la ferma e costante decisione di non mancare neppure una volta di osservarle. La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi niente più di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasione di dubitarne. La seconda, di dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente. La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri cominciando dalle cose più semplici e più facili a conoscersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza delle più complesse; supponendo altresì un ordine tra quelle che non si precedono naturalmente l'un l'altra. E l'ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto perfette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di non omettere nulla. (Cartesio)
martedì 13 maggio 2008
SACRO GRAAL
Sacro Graal: nome latino medievale che deriva da gradalis (recipiente), da cui in francese Graal. Calice o piatto usato da Gesù durante l'ultima cena e che poi fu usato da Giuseppe d'Arimatea per raccogliere il suo sangue durante la crocifissione. la storia del Graal di ritrova in innumerevoli versioni. Secondo la tradizione medievale, con Chretien de Troyes (che prese come riferimento lo scritto storico latino di Geoffrey of Monmouth sulla storia dei re di Britannia del 1137), nel XII secolo assunse, nei suoi romanzi di stile cortese-cavalleresco, il simbolo di purezza ricercata dai cavalieri della tavola rotonda e da re Artù. Secondo certe tradizioni, il calice si sarebbe tramandato da generazione in generazione all'interno dell'ordine dei templari fino ai giorni nostri. Esso sarebbe ancora nascosto in una delle loro fortezze sparse per tutta Europa. Si pensa, ad esempio, che possa trovarsi nella cappella di Rolin a Midlothian sepolto insieme ad altri tesori dell'ordine, oppure nella chiesa di Rennes le Chateau, o altrove. Alcuni lo vogliono nel castello di Montsegur in linguadoca, eretto dall'ordine dei Catari e arresosi nel 1244 sotto gli attacchi dei crociati venuti dalla Francia settentrionale. Per altri, il Graal sarebbe nascosto nel castello di Corbenic, in Gran Bretagna, dove vi fu portato da Giuseppe d'Arimatea o dai suoi discepoli. I cultori del ciclo bretone di re Artù lo collocano sulla leggendaria isola di Avalon, dove risiederebbero le anime dei defunti e dove la tradizione vuole che riposi ancor oggi il corpo del grande re, in attesa di un ritorno alle armi. Forse, l'imperatore Federico II di Svevia ne fu in possesso quando decise di costruire il suo esoterico castello a pianta ottagonale sito in Puglia, il Castel del Monte. Ma, una tra le più recenti versioni è quella che vede il Graal non come la coppa che raccolse il sangue di cristo morente, ma come la discendenza stessa di Gesù. Infatti, secondo alcuni, Gesù prima di morire sulla croce (sempre che sia realmente morto, perché ci sono dei recenti dubbi pure su questo particolare...), ebbe modo di lasciare un eredità in Maria Maddalena, sua probabile consorte. Ella, successivamente, si trasferì in Francia coi suoi figli e lì, diede vita ad un'importante dinastia, quella Merovingia. Naturalmente, non si hanno prove sicure per nessuna di queste ipotesi. L'unica cosa sicura è che il Graal è il simbolo della ricerca che è in tutti noi, la ricerca del divino, di una verità assoluta. Esso rappresenta l'eterna ricerca di noi stessi e di risposte che forse non avremo mai...