martedì 11 aprile 2017

TOQUEVILLE: DEMOCRAZIA IN AMERICA


 "Vedo chiaramente nell'eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l'altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere. Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù… Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m'importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge". Sono parole di Alexis Clérel de Tocqueville (1805-1859), il saggista francese che conquistò la fama con due opere che, ciascuna nel suo genere, sono rimaste esemplari: "La democrazia in America" , scritta fra il 1832 e il 1840 e tuttora fondamentale per la comprensione dell'ideologia e della vita sociale degli Stati Uniti, e "L'antico regime e la Rivoluzione" , il volume pubblicato nel 1856, che trasformò radicalmente i criteri interpretativi della Rivoluzione francese. Diverse per il soggetto, le due opere principali di Tocqueville sono legate fra loro dalla visione politica dell'autore, che fu un liberale incline alla democrazia e, nello stesso tempo, un critico acuto e profondo dei mali di questa. Il problema dell'equilibrio fra la libertà individuale e il potere democratico (lo Stato di massa, si direbbe oggi), che egli studiò negli Stati Uniti e vide formarsi nell'Europa del suo tempo, è ora il problema di tutto il mondo occidentale. In Italia sono stati tradotti recentemente due libri che hanno acuito nuovamente l'interesse per questo genio della storiografia e della sociologia politica, seppure quest'ultima, ai suoi tempi, non esistesse ancora come scienza a se stante. Tocqueville è un critico acuto e preveggente dei mali democratici. Il brano riportato in principio d'articolo de La democrazia in America mette a fuoco la posizione di Tocqueville di fronte all'eguaglianza. Questo aristocratico era convinto, a differenza di tanti borghesi liberali, che la Rivoluzione avesse abbattuto il principio della libertà come privilegio di un'altra classe, ma per sancire il diritto di tutti alla stessa dignità umana. Lo Stato non era più concepibile senza libertà né la libertà senza l'eguaglianza. Ma Tocqueville era troppo intelligente per credere all'eguaglianza come realtà di fatto e non come ideale morale e come condizione giuridica; e se comprese che il garantismo oligarchico non esauriva le immense possibilità del liberismo, comprese pure che l'ideale democratico della sovranità conteneva il pericolo della dittatura della maggioranza o, peggio, di una tirannia in nome del popolo, purché questo delegasse il potere, o se lo lasciasse strappare. Andando in America nel 1831, Tocqueville ci vide qualcosa di più che l'America stessa, ci vide l'immagine della democrazia quale si stava formando anche in Europa. Negli Stati Uniti, insieme agli aspetti positivi della democrazia, notò anche, già operanti, i difetti dell'eguaglianza e della sovranità popolare. Il diritto della maggioranza a governare, egli scrive, le dà "un immenso potere di fatto e un potere d'opinione e nulla più, delle contee e degli Stati, dall'indipendenza della magistratura e dalla sua altrettanto grande mobilità" i cui effetti negativi sono l'instabilità governativa, l'onnipotenza dei governi, la scarsa garanzia contro gli abusi (perché l'opinione pubblica forma la maggioranza, il corpo legislativo la rappresenta e il potere esecutivo ne è lo strumento); e anche l'amore per il benessere, l'accentramento del potere, il conformismo: "Non conosco un paese dove regni meno l'indipendenza di spirito e meno autentica libertà di discussione che in America… Il padrone non vi dice più: "pensate come me o morrete"; ma dice: "siete libero di non pensare come me; la vostra vita, i vostri beni, tutto vi resterà, ma da questo istante siete uno straniero fra noi". Dalla visione dell'America contemporanea dedusse un'agghiacciante ed esatta previsione del mondo futuro: "Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima… Al di sopra di questa folla, vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti. È assoluto, minuzioso, metodico, previdente, e persino mite. Assomiglierebbe alla potestà paterna, se avesse per scopo, come quella, di preparare gli uomini alla virilità. Ma, al contrario, non cerca che di tenerli in un'infanzia perpetua. Lavora volentieri alla felicità dei cittadini ma vuole esserne l'unico agente, l'unico arbitro. Provvede alla loro sicurezza, ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige gli affari, le industrie, regola le successioni, divide le eredità: non toglierebbe forse loro anche la forza di vivere e di pensare?". Triste e veritiera profezia: l'Europa del Novecento ha conosciuto e conosce queste tirannie, e anche i paesi che si credono liberi ogni giorno sprofondano sempre più nelle sabbie mobili, stranamente allettevoli, del paternalismo autoritario che nasce dalla stessa democrazia. Come non pensare, oggi, ai meschini piaceri della Tv e del fanatismo sportivo? Nell'America del suo tempo, Tocqueville vide che le garanzie contro la "tirannia della maggioranza" erano costituite da diversi fattori. Innanzi tutto, la tradizione protestante-puritana dava all'individuo la certezza del suo valore assoluto come persona, dotata di diritti inalienabili e fonte di ogni rapporto sociale. Questa consapevolezza individualistica era aiutata dal decentramento amministrativo dal moltiplicarsi delle autorità e delle associazioni locali, dall'autonomia dei municautorità sul potere politico: un'autorità costituita dal diritto di dichiarare incostituzionali le leggi, dalla diffusione dello spirito giuridico, dovuta anche all'istituto della giuria estesa agli affari penali, e della giuria estesa agli affari civili, e dalla libertà di stampa, giudicata "infinitamente preziosa". Ma soprattutto l'esperienza americana l'aveva convinto, contro la tesi dell'Illuminismo, della stretta dipendenza del concetto di libertà dalla "rivoluzione cristiana": "Dubito che l'uomo - scriveva Tocqueville - possa sopportare insieme una completa indipendenza religiosa e una libertà politica senza limiti; sono anzi portato a pensare che, se non ha fede, sia condannato a servire e, se è libero, non possa non credere". Per queste ragioni, l'America presentò a Tocqueville un equilibrio fra la fonte democratica del potere e il suo esercizio liberale, un equilibrio che egli intuì mancante all'Europa, anche per effetto della Rivoluzione francese. Si rivolse quindi allo studio di questa, ed ebbe la conferma di ciò che aveva scritto nell'"Introduzione" e La democrazia in America: la tendenza all'eguaglianza delle condizioni si era manifestata in Europa, e specialmente in Francia, già nel Medio Evo ed era progredita in modo formidabile negli ultimi tempi della monarchia francese. Così, sviluppando ne L'antico regime e la Rivoluzione i concetti espressi in uno studio pubblicato su una rivista inglese nel 1836, Tocqueville, contro tutti gli storici del suo tempo, quali che fossero le loro tendenze, mise in luce per la prima volta che la Rivoluzione non era stata una "catastrofe" radicalmente innovatrice che, operando un capovolgimento del mondo, avesse creato una realtà totalmente nuova: la Rivoluzione fu il logico proseguimento di un'evoluzione in corso da secoli, che tendeva a sostituire uno Stato fondato sull'eguaglianza e amministrato con uniformità dal centro a uno Stato fondato sul privilegio e la cui amministrazione era frazionata fra i feudatari, l'anzianità, la forza, gli stessi successi che la tendenza egualitaria e accentratrice aveva conseguito prima dell'89 spiegano perché questa tendenza prevalesse, durante e dopo la Rivoluzione, sull'orientamento liberale, più recente e meno diffuso. Quindi, anche in Francia, anche in Europa, il problema della democrazia è lo stesso che in America: La sopravvivenza della sua forma liberale è connessa più con l'educazione alla libertà e con le garanzie per l'autonomia dell'individuo che con la difesa della mera eguaglianza. È facile essere eguali nella servitù, più difficile, ma necessario, essere liberi nell'eguaglianza.