Incompreso, vituperato, amato ed odiato, Ezra Pound (1885-1972) è da più parti acclamato come il più grande poeta del Novecento, colui che, superando la retorica e gli eccessi celebrativi whitmaniani, inaugura la ricerca di un linguaggio poetico nuovo, sgrezzato e intessuto dell’incontro della cultura occidentale con quella orientale. Sì, sognare di raggiungere l’Assoluto. Sognare, sognare ma poiché questo sogno è romantico non può essere realizzato. L’impossibilità di tale realizzazione è l’arte mentre la sua possibilità è l’azione. Questa è la via della penna e della spada. Il raggiungimento dell’Assoluto… è la morte. Non c’è altra strada. Per l’arte l’idea della morte non è adeguata. L’arte deve vivere, vivere a lungo; altrimenti non si completa, non si raffina. Ma se parliamo di azione, allora si può anche morire a diciotto anni. Solo allora si raggiunge la perfezione. (Yukio Mishima)
lunedì 31 marzo 2008
domenica 30 marzo 2008
DADAISMO
Il Dadaismo è un movimento artistico che nasce in Svizzera nel XX secolo e più esattamente, durante il periodo della prima guerra mondiale (1915-1918). A Zurigo infatti un gruppo di rifugiati intellettuali formato da Richard Huelsenbeck, Hans Richter, Hans Arp, Tristan Tzara, Marcel Janco, ai quali si uniranno Marcel Duchamp e Max Ernst, discutono spesso al Cabaret Voltaire di un'arte nuova che deve stupire con manifestazioni inusuali e provocatorie, così nasce il movimento dada. La parola Dada, che identifica il movimento, non significa nulla e già in ciò vi è una prima caratteristica del movimento: quella di rifiutare ogni atteggiamento razionalistico. Il rifiuto della razionalità è ovviamente provocatorio e viene usato per abbattere le convenzioni borghesi intorno all'arte. Pur di rinnegare la razionalità i dadaisti non rifiutano alcun atteggiamento dissacratorio, e tutti i mezzi sono idonei per giungere al loro fine ultimo: distruggere l'arte. Distruzione assolutamente necessaria per poter ripartire con una nuova arte non più sul piedistallo dei valori borghesi ma coincidente con la vita stessa e non separata da essa. Tipico prodotto dada è il ready-made (già fatti o già pronti), un prodotto ordinario tolto dall'oggetto originario e messo in mostra come opera d'arte. Quindi un'opera d'arte può essere qualsiasi cosa, quindi come conseguenza nulla è arte. L'opera dell'artista non consiste quindi nella sua abilità manuale, ma nelle idee che riesce a proporre. Infatti, il valore dei «ready-made» è solo nell'idea. Abolendo qualsiasi valore alla manualità dell'artista, l'artista, non è più colui che sa fare delle cose con le proprie mani, ma è colui che sa proporre nuovi significati alle cose. Dopo il suo esordio a Zurigo, il Dadaismo si diffonde ben presto in Europa, soprattutto in Germania e a Parigi, arrivando a lambire anche gli Stati Uniti, ma la vita del movimento è abbastanza breve. Del resto non poteva essere diversamente. La funzione principale del dadaismo era quello di distruggere una concezione oramai vecchia e desueta dell'arte. E questa è una funzione che svolge in maniera egregia, ma per poter divenire proposta necessita di una trasformazione, e ciò avvenne tra il 1922 e il 1924, quando il dadaismo scomparve e nasce il surrealismo.
sabato 29 marzo 2008
BELENOS
E' un importantissimo Dio della tradizione celtica corrispondente all' Apollo classico. Il culto è dimostrabile in Gallia, soprattutto nel sud, nell'Italia del nord, nelle Alpi orientali e come tracce in Britannia. Tertulliano lo eleva a grande dio dei Norici e Herodian osserva in modo leggermente tendenzioso che Belenius ad Aquileia "sarebbe stato spacciato per Apollo". Conosciuto in Irlanda in Britannia e nelle Gallie è chiamato con diversi nomi: Bel, Belinos, Beli (marito della dea Don, padre di Lludd e Llefelys e dio della vita e della morte, talvolta chiamato Beli Mawr e Bile (che in gaelico significa «grande albero sacro»).
Definito «Padre degli dèi e degli uomini» (e marito della dea Dana), la cui radiceha il significato di «brillante». Numerosi sono i toponimi europei che risalgono a questa divinità luminosa come Mont Belenos, oggi Mont St.Michel in Bretagna, Bellun in Valle d'Aosta, Belluno in Veneto. Belenos "lo splendente, chiaro, lucente" possedeva probabilmente alcune componenti del sole, dell'acqua che gli davano degli attributi di guarigione, Belenos è anche un dio della medicina con attributi solari e come a tutti gli dèi celtici con tali caratteristiche anche a Belenos venivano dedicate figurine di cavalli. Nella tradizione celtica gli viene dedicata la festa di Beltane (l° maggio). Si trova un suo soprannome in Artepomaros, "colui che possiede un grande cavallo". Anche dopo l'avvento del potere romano continuò a essere venerato col soprannome di Belenus. La sua figura sopravvive anche durante il cristianesimo, trasformato in San Bonnet e invocato dai pellegrini per le cure di diverse malattie.
Definito «Padre degli dèi e degli uomini» (e marito della dea Dana), la cui radiceha il significato di «brillante». Numerosi sono i toponimi europei che risalgono a questa divinità luminosa come Mont Belenos, oggi Mont St.Michel in Bretagna, Bellun in Valle d'Aosta, Belluno in Veneto. Belenos "lo splendente, chiaro, lucente" possedeva probabilmente alcune componenti del sole, dell'acqua che gli davano degli attributi di guarigione, Belenos è anche un dio della medicina con attributi solari e come a tutti gli dèi celtici con tali caratteristiche anche a Belenos venivano dedicate figurine di cavalli. Nella tradizione celtica gli viene dedicata la festa di Beltane (l° maggio). Si trova un suo soprannome in Artepomaros, "colui che possiede un grande cavallo". Anche dopo l'avvento del potere romano continuò a essere venerato col soprannome di Belenus. La sua figura sopravvive anche durante il cristianesimo, trasformato in San Bonnet e invocato dai pellegrini per le cure di diverse malattie.
venerdì 28 marzo 2008
LA DISCESA DI ZARATHUSTRA
Giunto a trent'anni, Zarathustra lasciò il suo paese e il lago natio, e si ritirò sui monti. Là, per dieci anni, senza stancarsi, godette del suo spirito e della sua solitudine. Ma alla fine il suo cuore mutò, e un giorno si alzò con l'aurora, avanzò verso il sole e così gli parlo: "O astro grande! Cosa sarebbe mai la tua gioia se non vi fossero coloro che tu illumini! Per dieci anni sei venuto quaggiù nella mia caverna: e certamente ti sarebbero divenuti noiosi la tua luce e il tuo percorso senza di me, la mia aquila e il mio serpente. Ma noi ti aspettavamo tutte le mattine, tu ci davi la tua ricchezza e ne ricevevi in cambio le nostre benedizioni. Vedi! Sono nauseato della mia saggezza, come l'ape che ha fatto troppa provvista di miele; ho bisogno di mani che si tendano verso di me. Io vorrei denaro da elargire, finché i saggi tra gli uomini si rallegrassero di nuovo della loro follia e i poveri della loro ricchezza. Per giungere a questo debbo discendere: come fai tu, quando a serà tramonti dietro il mare e porti la tua luce nel regno dei morti, tu, astro pieno di ricchezza e di vita! Io debbo, come te, tramontare, come dicono gli uomini, verso i quali io voglio discendere. Perciò benedicimi, occhio tranquillo, che puoi contemplare senza invidia anche una gioia troppo grande! Benedici il calice che vuol traboccare, finché ne scaturisca l'acqua dorata che porti ovunque il riflesso della tua gioia! Guarda: il calice vuole di nuovo vuotarsi, e Zarathustra vuole di nuovo essere uomo." Così cominciò la discesa di Zarathustra.
giovedì 27 marzo 2008
GLI ARGONAUTI
Gli Argonauti (in greco Ἀργοναῦται) furono quel gruppo di circa 50 eroi che, sotto la guida di Giasone, diedero vita ad una delle più note ed affascinanti narrazioni della mitologia greca: l'avventuroso viaggio a bordo della nave Argo che li condurrà nelle ostili terre della Colchide, alla conquista del vello d'oro. Gli eroi erano accorsi alla chiamata degli araldi inviati in tutta la Grecia per organizzare quella spedizione che Pelia, re di Iolco, aveva richiesto a Giasone, figlio di suo fratello Esone. Pelia infatti, era re di Iolco per aver usurpato il trono a suo fratello Esone, legittimo erede al trono, da lui fatto imprigionare insieme al resto della famiglia. Giasone accettò l'insidiosa richiesta alla sola condizione che, in caso di successo, Pelia avrebbe dovuto liberare la sua famiglia.
mercoledì 26 marzo 2008
NOMOS E PHYSIS
È in questo periodo che nasce la grande distinzione tra legge naturale o physis e legge dell’uomo o nomos. Fino all’inizio del quinto secolo nel pensiero greco non si avvertiva una sostanziale differenza tra il mondo dell’uomo e il mondo della natura, e quindi si avvertiva un’unità tra le norme che regolano l’armonia della natura e le norme che regolano i rapporti tra i cittadini delle singole polis. Ma nel quinto secolo, con l’imperialismo ateniese e la crisi della guerra del Peloponneso, il nomos divenne sempre più oggetto di critica e di revisione da parte del demos, il popolo. I problemi dell’umanità, a detta della seconda generazione dei sofisti (quella di Antifonte, Ippia, Trasimaco e Crizia), provengono dalla differenza tra nomos e physis. Secondo la sofistica, infatti, come non è possibile trovare un discorso vero per tutti, non è possibile neanche trovare una legge giusta per tutti. Il nomos diventa espressione di interessi di parte e oggetto di contese tra fazioni. L’unica speranza per il cittadino è nel confidarsi alla legge superiore della physis, regolatrice dell’armonia dell’universo. E qui sorgono i problemi. Secondo Antifonte e Ippia, democratici, la legge della physis impone l’uguaglianza dei membri della specie, culminante in una sorta di cosmopolitismo. Secondo Trasimaco e Crizia, aristocratici, la legge predominante della physis è la legge del più forte: il più nobile ha così il diritto di sopraffare il più debole; il nomos non può garantire la giustizia e non dovrebbe fare altro che legalizzare questa sopraffazione. Secondo Crizia anche la religione è strumentale al potere. Ancora più radicale la posizione di Callicle: il nomos è un’invenzione dei deboli per cercare di arginare il giusto predominio dei più forti sancito dalla physis. Ma se il nomos è così lontano dal logos physikos, è para o kata physein? È giusto o sbagliato che ci sia e che gli uomini lo seguano?
martedì 25 marzo 2008
lunedì 24 marzo 2008
SOFISTICA
Con la sofistica viene messo in crisi il modello gnoseologico metafisico di Parmenide. La sofistica propone un sapere relativistico e soggettivistico. Il termine sofista ha un significato dispregiativo verso i filofofi successivi. Il sofista è l'esperto dell'arte della parola e il fondatore della retorica. I sofisti politici propongono la forza come criterio di verità. La priorità della physis sul nomos giustifica la discriminazione tra gli uomini e il prevalere del più forte sul più debole.
I sofisti naturalisti sostenevano che la physis è elemento di eguaglianza tra gli uomini, proponendo il superamento della concezione Greci-Barbari.
Protagora propone "l'uomo mensura" e lega il criterio di verità all'utile soggettivo che è legato alle circostanze di luogo, di tempo e di situazione in cui vive. La vertà politica è insegnabile e non è una dote ereditaria come sostiene la tradizione aristocratica.
Gorgia separa l'essere dal pensiero e dalla parola legandoli al nulla, la parola è strumento di persuasione.
domenica 23 marzo 2008
PASQUA CRISTIANA
La Pasqua cristiana è in stretta relazione con quella ebraica, chiamata Pesache che celebra essenzialmente la liberazione degli Ebrei dall'Egitto ad opera di Mosè.
La parola ebraica Pesach significa passare oltre, tralasciare; deriva dal racconto della Decima Piaga, quando l'Angelo sterminatore o angelo della Morte vide il sangue dell'agnello del Pesach sulle porte delle case di Israele e "passò oltre", senza uccidere il primogenito maschio.
La Pasqua con il Cristianesimo ha perduto il suo significato originario, venendo semplicemente a connotare un passaggio, ovvero: passaggio da morte a vita per Gesù Cristo; passaggio a vita nuova per i cristiani (in particolare per quelli che, nella Veglia Pasquale, ricevono il battesimo).
sabato 22 marzo 2008
PESSIMISMO : ARTHUR SCHOPENHAUEUER
DOLORE, PIACERE E NOIA:
La vita è dolore per essenza poiché l’essere è la manifestazione della volontà infinita.
volere = desiderare = stato di tensione, assenza, vuoto, dolore.
L’uomo è destinato a non trovare mai un appagamento definitivo. La soddisfazione finale è solo apparente e dà presto luogo a un nuovo desiderio.
Il godimento o la gioia è una cessazione di dolore, lo scarico da uno stato preesistente di tensione. Perché ci sia piacere bisogna per forza che ci sia stato dolore ma non è vero il contrario. Il dolore è un dato primario, il piacere è solo una funzione che deriva da esso.
La noia subentra quando viene meno il desiderio.
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
LA SOFFERENZA UNIVERSALE:
Il dolore investe ogni creatura. L’uomo soffre di più perché sente di più la spinta della volontà. Il genio, avendo maggiore sensibilità, è votato ad una maggiore sofferenza: “Chi aumenta il sapere, moltiplica il dolore”.
Il male sta nel Principio stesso da cui il mondo dipende. Dietro le meraviglie del creato, si cela, in realtà, un’arena di esseri tormentati ed angosciati, i quali esistono a patto di divorarsi l’un l’altro.
L’individuo appare soltanto uno strumento per la specie, fuori dalla quale non ha valore. L’unico fine della natura è quello di perpetuare la vita e, quindi, il dolore.
L’ILLUSIONE DELL’AMORE:
L’amore si impadronisce della metà delle forze e dei pensieri dell’umanità più giovane; è uno dei più forti stimoli dell’esistenza ma è solo uno strumento per perpetuare la vita della specie. Il suo fine è l’accoppiamento; non c’è amore senza sessualità.
L’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come peccato. Esso commette infatti il maggiore dei delitti: la perpetuazione di altre creature destinate a soffrire.
L’unico amore positivo è quello disinteressato della pietà.
La vita è dolore per essenza poiché l’essere è la manifestazione della volontà infinita.
volere = desiderare = stato di tensione, assenza, vuoto, dolore.
L’uomo è destinato a non trovare mai un appagamento definitivo. La soddisfazione finale è solo apparente e dà presto luogo a un nuovo desiderio.
Il godimento o la gioia è una cessazione di dolore, lo scarico da uno stato preesistente di tensione. Perché ci sia piacere bisogna per forza che ci sia stato dolore ma non è vero il contrario. Il dolore è un dato primario, il piacere è solo una funzione che deriva da esso.
La noia subentra quando viene meno il desiderio.
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.
LA SOFFERENZA UNIVERSALE:
Il dolore investe ogni creatura. L’uomo soffre di più perché sente di più la spinta della volontà. Il genio, avendo maggiore sensibilità, è votato ad una maggiore sofferenza: “Chi aumenta il sapere, moltiplica il dolore”.
Il male sta nel Principio stesso da cui il mondo dipende. Dietro le meraviglie del creato, si cela, in realtà, un’arena di esseri tormentati ed angosciati, i quali esistono a patto di divorarsi l’un l’altro.
L’individuo appare soltanto uno strumento per la specie, fuori dalla quale non ha valore. L’unico fine della natura è quello di perpetuare la vita e, quindi, il dolore.
L’ILLUSIONE DELL’AMORE:
L’amore si impadronisce della metà delle forze e dei pensieri dell’umanità più giovane; è uno dei più forti stimoli dell’esistenza ma è solo uno strumento per perpetuare la vita della specie. Il suo fine è l’accoppiamento; non c’è amore senza sessualità.
L’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come peccato. Esso commette infatti il maggiore dei delitti: la perpetuazione di altre creature destinate a soffrire.
L’unico amore positivo è quello disinteressato della pietà.
venerdì 21 marzo 2008
IPERIONE
Iperione (o Iperone) è una figura della mitologia greca, era uno dei dodici titani figli di Urano e di Gea. Nella titanomachia, la lotta fra i titani favorevoli a Giove e quelli favorevoli a Crono, Iperione prese le parti di Giove. Dio della vigilanza e dell'osservanza è padre di Elio (il Sole), Eos (l'Aurora) e Selene (la Luna) generati da Teia, sua sorella e moglie.
Il suo nome significa “colui che precede il Sole”, ed è probabilmente relativo al suo ruolo come padre di Elio, il Sole, o di Eos, l'Aurora, il chiarore che precede il sorgere del giorno.
giovedì 20 marzo 2008
RASOIO DI OCKHAM
Il rasoio di Occam (Ockham's razor) è il nome con cui viene contraddistinto un principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham (noto in italiano come Guglielmo di Ockham). Tale principio, alla base del pensiero scientifico moderno, nella sua forma più semplice suggerisce l'inutilità di formulare più assunzioni di quelle strettamente necessarie per spiegare un dato fenomeno: il rasoio di Ockham impone di scegliere, tra le molteplici cause, quella che spiega in modo più semplice l'evento. La formula, utilizzata spesso in ambito investigativo e - nel moderno gergo tecnico - di problem solving, recita: “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” “Non moltiplicare gli elementi più del necessario.”
In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. All'interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità. Tra le varie spiegazioni possibili di un evento, è quella più semplice che ha maggiori possibilità di essere vera (anche in base a un altro principio, elementare, di economia di pensiero: se si può spiegare un dato fenomeno senza supporre l'esistenza di qualche ente, è corretto il farlo, in quanto è ragionevole scegliere, tra varie soluzioni, la più semplice e plausibile).
Il rasoio di Occam trova spesso luogo in discussioni eminentemente dotte e scientifiche (esempio tipico, nel campo della fisica e della scienza in generale). Concettualmente non si tratta di novità, perché il principio di semplicità era già ben noto a tutto il pensiero scientifico medioevale, ma esso acquista in Occam una forza nuova e per certi versi devastante a causa della sua concezione volontarista: se il mondo è stato creato da Dio solo sulla base della volontà (e non per intelletto e volontà, come diceva Tommaso d'Aquino), devono sparire tutti i concetti relativi a regole e leggi, come quello di sostanza o di legge naturale.
mercoledì 19 marzo 2008
MORGANA
Morgana, donna bellissima, conosciuta con nomi diversi che derivano da Morrigan, Regina dei Demoni e dea della guerra celtica, tra i quali Morgian, Morwenna, Morwanna e infine Morgan dal quale deriva il nostro Morgana.
Si dice fosse sorella o sorellastra di Artù, figlia illegittima di re Uther. Il suo personaggio viene anche associato a quello di Nimue, amante di Merlino e dipinta ora come acerrima nemica di Artù e Merlino, ora come fedele consigliera di entrambi. Le si attribuisce la maternità di Mordred concepito da lei, sotto false spoglie, con il fratellastro Artù per decretare la fine del suo regno.
martedì 18 marzo 2008
lunedì 17 marzo 2008
AMOR FATI
Amor fati, termine latino che significa “amore per il fato, per il destino”. Nella filosofia di Nietzsche, l'atteggiamento proprio dell'oltre-uomo che accetta entusiasticamente, fino a desiderarlo, il carattere casuale e arbitrario degli eventi che compongono la sua vita. Tale atteggiamento si unisce quindi al rifiuto di qualsiasi struttura consolatoria volta a “prevedere” la casualità dell'esistenza ingabbiandola entro schemi morali o concettuali.
domenica 16 marzo 2008
STONEHENGE
Stonehenge è associato con la leggenda di Re Artù. Goffredo di Monmouth disse che il mago Merlino diresse la sua rimozione dall'Irlanda, dove era stato costruito sul Monte Killaraus, da Giganti che portarono le pietre dall'Africa. Dopo essere stato ricostruito vicino ad Amesbury, Goffredo narra come, prima Uther Pendragon, e poi Costantino III, vennero seppelliti all'interno dell'anello di pietre. In molti punti della sua Historia Regum Britanniae Goffredo mischia la leggenda britannica con la sua immaginazione; è intrigante il fatto che colleghi Ambrosio Aureliano con questo monumento preistorico, portando come prova la connessione tra "Ambrosius" e la vicina "Amesbury".Ma Stonehenge è inoltre associato a molte altre leggende. I Druidi ad esempio utilizzavano queste enormi pietre come templi sacri dove si recavano sovente a pregare.Si crede ancora che Stonehenge sia una sorta di osservatorio astronomico preistorico in quanto l'asse di Stonehenge è orientato in direzione dell'alba nei solstizi estivi e invernali.
sabato 15 marzo 2008
Άρης
ARES
Dio della guerra, figlio di Zeus e Era. Per il suo carattere turbolento e litigioso divenne simbolo della violenza, piuttosto che dell'eroismo e del coraggio, tanto da essere inviso agli stessi dèi. Fu sconfitto in duello da Atena che lo mise a terra, unico fra gli olimpi a subire questo trattamento: Atena, anch'ella dea della guerra, ne rappresentava invece l'aspetto eroico ed intelligente. Suoi compagni furono Eris (la Discordia), e i due figli Deimos (terrore) e Phobos (Paura), avuti da Afrodite. Sempre da Afrodite ebbe altri figli: Eros, Anteros e Armonia. Durante la guerra di Troia si schierò contro i Greci senza un vero motivo, e per ciò il suo culto non trovò particolare seguito, tranne che nelle città di Sparta e Tebe. Tuttavia ad Atene gli fu consacrato l'Aeropago, il tribunale supremo. Gli furono sacri il cane e l'avvoltoio e gli si attribuirono la lancia e la torcia. I Romani lo assimilarono alla triade capitolina (Giove, Marte, Quirino), simbolo dell'attività bellica.
Dio della guerra, figlio di Zeus e Era. Per il suo carattere turbolento e litigioso divenne simbolo della violenza, piuttosto che dell'eroismo e del coraggio, tanto da essere inviso agli stessi dèi. Fu sconfitto in duello da Atena che lo mise a terra, unico fra gli olimpi a subire questo trattamento: Atena, anch'ella dea della guerra, ne rappresentava invece l'aspetto eroico ed intelligente. Suoi compagni furono Eris (la Discordia), e i due figli Deimos (terrore) e Phobos (Paura), avuti da Afrodite. Sempre da Afrodite ebbe altri figli: Eros, Anteros e Armonia. Durante la guerra di Troia si schierò contro i Greci senza un vero motivo, e per ciò il suo culto non trovò particolare seguito, tranne che nelle città di Sparta e Tebe. Tuttavia ad Atene gli fu consacrato l'Aeropago, il tribunale supremo. Gli furono sacri il cane e l'avvoltoio e gli si attribuirono la lancia e la torcia. I Romani lo assimilarono alla triade capitolina (Giove, Marte, Quirino), simbolo dell'attività bellica.
venerdì 14 marzo 2008
RIFLESSIONI
giovedì 13 marzo 2008
CRITICA DELLA RAGION PRATICA
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.
(I. Kant Critica della ragion pratica)
mercoledì 12 marzo 2008
MAGO MERLINO
Il suo vero nome era Myrddyn Emrys che derivava dalla città in cui era nato, Caermyrddyn. La "d" fu sostituita con una "l" per non creare un appellativo irrisorio. Visse nel VI secolo e fu tutore e consigliere di re Artù, del Re Vortingern e poi del Re Uther Pendragon. Quest'ultimo si innamorò perdutamente della bella Igraine moglie del Duca di Tintagel, non ricambiato, Merlino ricorse alla sua magia per far si che il suo protetto assumesse l’aspetto del Duca. Grazie a questo inganno, Igraine concepisce Artù, che Merlino prese sotto la sua tutela finché divenne Re dei Britanni. Ebbe vita molto lunga, almeno secondo le incerte cronologie medioevali, tanto che si ritenne siano esistiti due "Merlini". Si narra che Merlino fosse figlio di una donna proveniente da Atlantide, una Fata, secondo le antiche credenze e di un uomo e che fosse anche il responsabile della presenza del complesso megalitico di Stonehenge nella piana di Salisbury, che grazie alle sue arti magiche avesse trasportato lui stesso. Secondo la leggenda venne poi imprigionato da Nimue, la donna che lui amò, detta anche Vivien e in alcuni casi unificata con Morgana. Alcuni sostengono che la donna lo abbia ucciso sacrificandolo agli dei, altri invece narrano che fu liberato dopo la morte di Artù e che si sia ritirato come eremita nei boschi dai quali non fece più ritorno.
martedì 11 marzo 2008
ATLANTIDE
Al di là di quello stretto di mare chiamato Le Colonne d'Ercole, si trovava allora un'isola più grande della Libia e dell'Asia messe insieme e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste isole alla terraferma di fronte. In quell'isola chiamata Atlantide v'era un regno che dominava non solo tutta l'isola, ma anche molte altre isole nonché alcune regioni del continente, il suo potere si spingeva, inoltre, al di qua delle Colonne d'Ercole includendo la Libia, l'Egitto e altre regioni dell'Europa fino alla Tirrenia.
La sua capitale si chiamava Atlantide e si trovava sulla punta meridionale della grande pianura, era a pianta circolare ed al centro sorgeva il tempio del Dio Poseidone e di sua moglie, la mortale Cleito. Al di là delle mura c'erano tre canali che circondavano e dividevano la città e ognuno di essi disponeva di un porto per la flotta militare e commerciale. La storia di Atlantide, raccontata da Platone nel Crizia è l'unica fonte scritta della storia dell'antica mitica civiltà, che spiega Platone, era stata raccontata a suo nonno da un parente, il grande Ateniese Solone, che ne aveva lasciato una dettagliata versione scritta. Il racconto continua con la storia del viaggio di Solone a Sais nel 590 a.C. dove, tramite un sacerdote di Iside, viene a conoscenza di una splendida isola che si trovava al di la' delle Colonne d'Ercole e della sua evolutissima civilta', che secondo il sacerdote governò per secoli il mondo. Però un grande cataclisma 9000 anni prima dell'arrivo di Solone a Sais colpì l'isola facendo sprofondare le sue montagne e la sua civiltà nei flutti del mare.
La sua capitale si chiamava Atlantide e si trovava sulla punta meridionale della grande pianura, era a pianta circolare ed al centro sorgeva il tempio del Dio Poseidone e di sua moglie, la mortale Cleito. Al di là delle mura c'erano tre canali che circondavano e dividevano la città e ognuno di essi disponeva di un porto per la flotta militare e commerciale. La storia di Atlantide, raccontata da Platone nel Crizia è l'unica fonte scritta della storia dell'antica mitica civiltà, che spiega Platone, era stata raccontata a suo nonno da un parente, il grande Ateniese Solone, che ne aveva lasciato una dettagliata versione scritta. Il racconto continua con la storia del viaggio di Solone a Sais nel 590 a.C. dove, tramite un sacerdote di Iside, viene a conoscenza di una splendida isola che si trovava al di la' delle Colonne d'Ercole e della sua evolutissima civilta', che secondo il sacerdote governò per secoli il mondo. Però un grande cataclisma 9000 anni prima dell'arrivo di Solone a Sais colpì l'isola facendo sprofondare le sue montagne e la sua civiltà nei flutti del mare.
lunedì 10 marzo 2008
PENSIERO DEBOLE
Concezione filosofica basata sull'idea che non esistano principi o verità assolutamente certi e immutabili, ossia indipendenti dall'esistenza condotta dagli uomini in uno specifico momento storico. L'affermarsi del pensiero debole può essere ricondotto ad alcuni fattori, ognuno dei quali nel proprio ambito, ha contribuito a indebolire la pretesa che esistano fondamenti ultimi di un qualche tipo: 1) La scoperta di cultura diverse dalla nostra, con i loro specifici valori, codici morali e costumi, ha messo in luce la relatività delle forme culturali rispetto a determinati stili di vita. 2) La dissoluzione operata da filosofi come Nietzsche e Heidegger dell'idea che esista una struttura stabile dell'essere, ovvero dei principi assoluti sulla base dei quali la ragione sarebbe in grado di attingere alla realtà oggettiva delle cose. 3) La "crisi dei fondamenti" iniziata nel campo della logica e della matematica ed estesasi successivamente allo stesso sapere scientifico. Riconoscendo la dipendenza delle nostre credenze, dei nostri valori, dei nostri criteri di valutazione dalle particolari condizioni che contraddistinguono un dato periodo storico, il pensiero debole diviene essenzialmente rifiuto di ogni concetto che si presenti come necessariamente valido e immutabile; nello stesso tempo, partendo dal presupposto che non esistono principi migliori di altri, accetta come pienamente legittimi i diversi punti di vista, le diverse verità "locali", e le varie tradizioni culturali, ponendoli su uno stesso piano di dignità. In Italia, il più significativo rappresentante del pensiero debole è il filosofo Gianni Vattimo. Egli ha subito l'influenza di pensatori come Nietzsche, Heidegger, ma anche Gadamer, Derrida, e Deleuze.
domenica 9 marzo 2008
De le Virtude del Cavaliere Templare
Cavalieri, scudieri, servitori, che la pace del signore, promessa agli uomini di buona volontà, sia con noi. In questo luogo angusto e santo, in suo nome, noi vedremo pronunciare, da labbra pure e con umile fierezza, il Giuramento del Templare che i Poveri Cavalieri di Cristo fecero nel momento più sacro della vita Templare. Signore che spieghi i cieli come una tenda di luce, Signore che fai dei fulmini i messaggeri della tua maestà, davanti il tuo sacro altare, dove s'adempì la sublime immolazione, noi leviamo alta la spada della luce, per depositarla ai piedi dell'altare come testimonianza del nostro giuramento. Signore Dio delle armi, noi lo giuriamo per il Cristo, giammai contro il Cristo, per la difesa del vangelo, per la guardia dei pozzi, per la verità, per la giustizia. Contro gli oppressori, contro i mietitori di scandali ed i corruttori dell'innocenza, contro la menzogna liberata, contro i traditori delle fazioni e dei partiti: Noi lo giuriamo di impegnare la doppia spada: quella d'acciaio levigato e quella della parola splendente e fulminante. Giammai noi attaccheremo per primi. Giammai noi provocheremo per primi. Tre volte noi sopporteremo l'ingiuria. Tre volte noi ignoreremo il disprezzo e la menzogna. Ma quando la spada brillerà nel sole come un colpo di chiarore, tuonerà la parola. Allora poi non indietreggeremo di un solo passo, non taceremo che dopo il silenzio dell'avversario. Davanti ai ranghi angelicati, nostri compagni d'armi, noi lo giuriamo al Cristo, Re della gloria. Chiunque rinnegherà questo giuramento, sarà per noi e per gli angeli, rinnegato. Niente per noi, Signore niente per noi, ma per la sola gloria del Tuo nome.
sabato 8 marzo 2008
venerdì 7 marzo 2008
PSYCHE'
giovedì 6 marzo 2008
SEPPUKU
Chiamato anche volgarmente hara-kiri = ventre-taglio, era il modo più onorevole che il samurai aveva per togliersi la vita ed era la dimostrazione finale del suo coraggio. Questo rituale era considerato un privilegio riservato solamente ai samurai i quali avevano padronanza assoluta del proprio destino. Non si conoscono le radici del seppuku ma sono conosciute le occasioni per praticarlo:
Per seguire anche nell'aldilà il proprio Signore
Per evitare di essere catturato dal nemico in caso di sconfitta
Per contestare e fare cambiare una decisione presa da un Signore
Per colpe commesse verso un superiore
Per comprendere il seppuku bisogna tornare allo studio dello zen praticato dai samurai, secondo lo zen la morte e la vita erano sullo stesso piano e quindi l'atteggiamento del giapponese deve essere positivo per entrambi gli aspettiIn Giappone la morte viene indicata con vari termini:- yamagakuru= ritirarsi sulla montagna- kumogakuru= sparire nelle nuvole- iwatagakuru= addentrarsi nella grottaPer l'Hagakure Bushido significa morte e il guerriero deve pensarci continuamente, sia alla mattina quando si alza che la sera prima di dormire, in questo modo la sua mente sarà preparata.
Il seppuku era contemplato nel bushido come metodo per evitare il disonore. Nel XVII secolo furono introdotte regole rigide nel seppuku, che lo trasformarono in un vero e proprio rituale. In Giappone il ventre hara, veniva considerato il centro dell'individuo, sede delle emozioni, della volontà, centro fisico e spirituale, quindi compiere hara-kiri significava uccidere completamente l'uomo.
Per seguire anche nell'aldilà il proprio Signore
Per evitare di essere catturato dal nemico in caso di sconfitta
Per contestare e fare cambiare una decisione presa da un Signore
Per colpe commesse verso un superiore
Per comprendere il seppuku bisogna tornare allo studio dello zen praticato dai samurai, secondo lo zen la morte e la vita erano sullo stesso piano e quindi l'atteggiamento del giapponese deve essere positivo per entrambi gli aspettiIn Giappone la morte viene indicata con vari termini:- yamagakuru= ritirarsi sulla montagna- kumogakuru= sparire nelle nuvole- iwatagakuru= addentrarsi nella grottaPer l'Hagakure Bushido significa morte e il guerriero deve pensarci continuamente, sia alla mattina quando si alza che la sera prima di dormire, in questo modo la sua mente sarà preparata.
Il seppuku era contemplato nel bushido come metodo per evitare il disonore. Nel XVII secolo furono introdotte regole rigide nel seppuku, che lo trasformarono in un vero e proprio rituale. In Giappone il ventre hara, veniva considerato il centro dell'individuo, sede delle emozioni, della volontà, centro fisico e spirituale, quindi compiere hara-kiri significava uccidere completamente l'uomo.
mercoledì 5 marzo 2008
Il Daimon (Δαίμων) socratico
Il Daimon (Δαίμων) socratico
Socrate non era ateo, ma anzi affermava di credere in una particolare divinità, figlia delle divinità tradizionali, che egli chiamava dàimon. Questo termine (Δαίμων), che noi impropriamente traduciamo con demone, in realtà va inteso in modo diverso. Il daimon per i greci era un essere divino inferiore agli dei ma superiore agli uomini (una sorta di spirito, un demone benevolo). Socrate si diceva tormentato da questa voce interiore che si faceva sentire non tanto per indicargli come pensare e agire, ma piuttosto per dissuaderlo dal compiere una certa azione. Socrate stesso dice di esser continuamente spinto da questa entità a discutere, confrontarsi, e ricercare la verità morale.(Kant paragonava questo principio all'imperativo categorico, alla coscienza morale dell'uomo.)
Socrate non era ateo, ma anzi affermava di credere in una particolare divinità, figlia delle divinità tradizionali, che egli chiamava dàimon. Questo termine (Δαίμων), che noi impropriamente traduciamo con demone, in realtà va inteso in modo diverso. Il daimon per i greci era un essere divino inferiore agli dei ma superiore agli uomini (una sorta di spirito, un demone benevolo). Socrate si diceva tormentato da questa voce interiore che si faceva sentire non tanto per indicargli come pensare e agire, ma piuttosto per dissuaderlo dal compiere una certa azione. Socrate stesso dice di esser continuamente spinto da questa entità a discutere, confrontarsi, e ricercare la verità morale.(Kant paragonava questo principio all'imperativo categorico, alla coscienza morale dell'uomo.)
martedì 4 marzo 2008
L'OROLOGIO DI DALI'
Con il paradosso di Dalì, Einstein volle ribadire il fatto che la forma di un oggetto non è la sua proprietà assoluta. Un orologio in movimento a velocità prossime a quelle della luce, subirà i due effetti previsti dalla relatività ristretta: la contrazione delle lunghezze e la dilatazione dei tempi. Però la rotazione delle lancette nella parte alta appare accelerata, mentre nella parte bassa rallentata. Ciò avviene perchè su ogni punto di ogni lancetta, concorrono sia la forza di traslazione sia la forza di ritazione, differenti da punto a punto. Perciò anche gli effetti della contrazione delle lunghezze e della dilatazione dei tempi saranno differenti.
lunedì 3 marzo 2008
CONOSCI TE STESSO
Il motto "ΓΝΩΘΙ ΣΑΥΤΟN" (Gnòthi Sautòn, «Conosci te stesso»), risalente alla tradizione religiosa di Delfi, voleva significare, nella sua laconica brevità, la caratteristica dell'antica sapienza greca: quella dei sette sapienti.
Il significato originario, dedotto da alcune formule a noi pervenute (Nulla di troppo, Ottima è la misura, Non desiderare l'impossibile), era quello di voler ammonire a conoscere i propri limiti, «conosci chi sei e non presumere di essere di più»; era dunque una esortazione a non cadere negli eccessi a non offendere la divinità pretendendo di essere come il dio. Del resto tutta la tradizione antica mostra come l'ideale del saggio, colui che possiede la sophrosyne (la saggezza), sia quello della moderazione.
domenica 2 marzo 2008
SPAZIO E TEMPO FILOSOFICO
Bisogna distinguere il tempo spazializzato, proprio dei procedimenti scientifici, dal tempo vissuto, ossia la durata effettiva e interna della coscienza. Il tempo vissuto a differenza di quello spazializzato, il quale è frutto di un’operazione dell’intelligenza che riduce all’omogeneo, ossia a distinzioni e rapporti soltanto quantitativi e perciò misurabili, è sempre intrinsecamente diverso, incommensurabile, qualitativamente eterogeneo. Eppure il tempo vissuto dà più l’idea di un tempo reale perché non semplifica la coscienza come tanti atomi distinti e isolati di cui essa ne sarebbe il semplice aggregato o la somma, ma, al contrario, la riconosce come un’unità profonda e complessa. Nel tempo vissuto non ci possono essere rapporti meccanici fra i singoli momenti, in quanto ogni momento è intrinsecamente qualificato dalla sua unità con tutti gli altri. Un ruolo importante svolge in questo senso la memoria in quanto, tramite la memoria, in ogni istante della nostra vita confluisce l’intero nostro passato, e questo spiega perché la durata, come tempo vissuto, sia irreversibile e perciò stesso reale, al contrario dell’astratto tempo spazializzato considerato invece reversibile.
sabato 1 marzo 2008
LUNGA VITA - NAVAHO
Nella casa della lunga vita io cammino,
nella casa della felicità io cammino,
la bellezza è davanti a me io cammino con lei,
la bellezza è sotto di me io cammino con lei,
la bellezza è sopra di me io cammino con lei,
la bellezza è tutt'intorno a me io cammino con lei,
nel viaggio della vecchiaia io cammino con lei
e sulla pista meravigliosa io cammino con lei.
Da: "Leggende degli Indiani d'America".