sabato 25 febbraio 2012

MONTESQUIEU

Charles-Luis de Secondat , barone di Montesquieu, era figlio di Jacques de Secondat, barone di Montesquieu (1654-1713) e di Marie- Françoise de Pesnel, baronessa di la Brède (1665-1696): nacque da una famiglia di magistrati appartenenti alla cosiddetta nobiltà di toga, nel castello di la Brède, nei pressi di Bordeaux. Montesquieu fu sempre fiero del nome che portava. Dopo aver frequentato il collegio di Juilly e seguito gli studi di diritto, divenne nel 1714 consigliere del parlamento di Bordeaux. Nel 1715 sposò Jeanne de Lartigue, una giovane di religione protestante proveniente da una ricca famiglia di recente nobiltà che gli portò una grossa dote. Alla morte dello zio nel 1716 ereditò una vera fortuna, con la carica di Presidente del parlamento di Bordeaux e la baronia di Montesquieu. Abbandonate le cariche appena possibile, si interessò al mondo ed al divertimento. In quell'epoca l'Inghilterra s'era appena costituita in monarchia costituzionale in seguito alla Gloriosa rivoluzione (1688 – 1689) e si era unita alla Scozia nel 1707 per formare la Gran Bretagna. Nel 1715 il Re Sole era morto dopo un lunghissimo periodo di regno e gli era succeduto un re più debole. Queste trasformazioni nazionali lo influenzarono molto e ad esse si riferirà sovente nelle sue opere. La sua passione per le scienze lo condusse ad esperimenti scientifici (anatomia, botanica, fisica, etc). Egli scrisse su questi argomenti tre comunicazioni scientifiche. Quindi orientò la sua curiosità verso la politica e l'analisi della società attraverso la letteratura e la filosofia. Nel 1721 pubblicò anonimamente ad Amsterdam le "Lettere persiane" che conobbero un notevole successo. Dopo la sua elezione nella Académie française (1728) si dedicò ad una serie di lunghi viaggi attraverso l'Europa: Austria, Ungheria, Italia (1728), Germania (1729), Olanda ed Inghilterra (1730) nella quale soggiornò più di un anno. In questi viaggi si occupò attentamente della geografia, della economia della politica e dei costumi dei paesi che visitava. Nel 1734, pubblicò una riflessione storica intitolata Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence (Considerazioni sulle cause della grandezza dei romani e della loro decadenza), coronamento dei suoiviaggi, e raccolse numerosi documenti per preparare l'opera della sua vita: De l'esprit des lois (Lo spirito delle leggi) Pubblicato in forma anonima nel 1748 questo capolavoro ebbe un successo enorme. Esso stabilisce i principi fondamentali delle scienze economiche e sociali e concentra tutta la sostanza del pensiero liberale. Il libro ebbe un successo particolare in Gran Bretagna. A seguito degli attacchi che il suo scritto subì, Montesquieu pubblicò nel 1750 la Défense de l'Esprit des lois (Difesa dello spirito delle leggi). Dopo la pubblicazione del Lo spirito delle leggi Montesquieu fu circondato da un vero e proprio culto. Afflitto dalla quasi totale perdita della vista, riuscì a partecipare comunque all'Enciclopedia. Morì a causa di una forte infiammazione. Il suo capolavoro filosofico è Lo spirito delle leggi , che vide la luce nel 1748 . Anche dopo la pubblicazione , continuò a rielaborare l' opera fino al 1755 , anno in cui morì . Uno scritto giovanile di Montesquieu, Le lettere persiane del 1721 , presenta i caratteri consueti a molte opere appartenenti al primo illuminismo , in cui la critica alla società è ancora celata dalla finzione letteraria : in questo romanzo epistolare si immagina un gruppo di persiani in visita a Parigi che descrivono tramite lettere ai loro corrispondenti iraniani vita e costumi di una società cattolica e assolutistica, con sguardo distaccato, nella loro nuda oggettività:l' ovvio e il quotidiano diventano l'assurdo e il grottesco e il lettore viene abituato all' ottica del relativismo culturale : la Francia e l' Europa non sono più il centro , ma solo un angolo del mondo ; ciò che a noi europei pare banale e ovvio perchè ci siamo abituati , agli Iraniani sembrerà ridicolo e bislacco .Una simile operazione , naturalmente , la si potrà compiere con un cinese o con un pellerossa . Ma nelle successive Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza (1734) , sia pure in uno stile ancora brioso e letteralmente efficace , Montesquieu muta registro. Alla critica del costume subentra un' analisi critica della storia romana , nella quale l' autore non si limita alla ricostruzione filologica (in questo anzi consegue risultati talvolta dubbi) , ma tenta di ricercare i principi politici e sociali che spiegano tanto lo sviluppo tanto la decadenza di Roma . Se nelle Considerazioni la spiegazione dei fatti socio-politici mediante princìpi generali era applicata al caso specifico della storia romana , nel maturo Spirito delle leggi essa viene generalizzata , dando luogo alla costruzione di una vera e propria scienza delle società : Infatti , Montesquieu - che è stato da taluni considerato l' iniziatore della moderna sociologia - intende ritrovare le sue cause generali che presiedono allo sviluppo delle diverse istituzioni socio politiche , pur non dimenticando il carattere specifico delle singole nazioni e dei singoli momenti storici . Per realizzare questo disegno egli individua tre forme di governo , distinte sia in base al numero di coloro che detengono il potere sia in base al modo in cui esso viene esercitato . A ciascuna di queste forme di governo corrisponde un principio, inteso nel duplice senso di fattore originario e di elemento costitutivo , al quale esse devono mantenersi fedeli se vogliono conservarsi a lungo. Nel governo repubblicano - distinto a sua volta in democratico e aristocratico- il potere è ritenuto da più persone (rispettivamente tutti o alcuni cittadini) ed è esercitato in conformità alla legge : il suo principio è la virtù . Nel governo monarchico il potere è detenuto da uno solo , ancora in conformità alla legge : il suo principio è l' onore. Nel governo dispotico il potere è tenuto da uno solo , ma è esercitato in modo arbitrario : il suo principio è la paura . Montesquieu , pur non nascondendo le sue simpatie per la soluzione monarchica di tipo costituzionale (sul modello inglese) , ritiene che non si possa stabilire in assoluto quale di queste tre forme di governo sia la migliore . La validità di ciascuna di esse è relativa al popolo cui si applica . L' intento di Montesquieu non è quindi quello di indicare un ordine preferenziale , ma piuttosto di ricercare la serie delle condizioni - sociali , geografiche , giuridiche ecc. - necessarie perchè ciascuna forma di governo , con il suo principio , possa svilupparsi e mantenersi . L' insieme di questi rapporti (il clima , il territorio , le istituzioni ecc.) è ciò che egli chiama spirito delle leggi . Montesquieu si
preoccupa anche di determinare la condizione generale per il mantenimento della libertàpolitica , la quale condizione può valere indifferentemente per le forme di governo repubblicana - cioè democratica o aristocratica - e monarchica (al dispotismo non si può applicare , poichè il suo principio , la paura , esclude la libertà) . Essa consiste nella divisione dei poteri - legislativo , esecutivo , e giudiziario - che Montesquieu aveva visto realizzata nella costituzione inglese . La teoria della divisione dei poteri era stata concepita già da Locke limitatamente ai primi due poteri (per Locke il terzo potere non era quello giudiziario , ma quello fededrativo , e dipende dal potere esecutivo) e perfezionata successivamente da Henry Saint-John Bolingbroke (1678-1751) , con il quale Montesquieu venne in contatto nel suo viaggio in Inghilterra . Attraverso Montesquieu essa entra definitivamente nel patrimonio politico e culturale francese ed europeo .

giovedì 16 febbraio 2012

TOQUEVILLE: DEMOCRAZIA IN AMERICA

"Vedo chiaramente nell' eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l'altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere.Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù. Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m' importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge". Sono p arole di Alexis Clérel de Tocqueville (1805-1859), il saggista francese che conquistò la fama con due opere che, ciascuna nel suo genere, sono rimaste esemplari: "La democrazia in America" , scritta fra il 1832 e il 1840 e tuttora fondamentale per la comprensione dell'ideologia e della vita sociale degli Stati Uniti, e "L'antico regime e la Rivoluzione" , il volume pubblicato nel 1856, che trasformò radicalmente i criteri interpretativi della Rivoluzione francese Diverse per il soggetto, le due opere principali di Tocqueville sono legate fra loro dalla visione politica dell' autore, che fu un liberale incline alla democrazia e, nello stesso tempo, un critico acuto e profondo dei mali di questa.Il problema dell'equilibrio fra la libertà individuale e il potere democratico (lo Stato di massa, si direbbe oggi), che egli studiò negli Stati Uniti e vide formarsi nell'Europa del suo tempo, è ora il problema di tutto il mondo occidentale. In Italia sono stati tradotti recentemente due libri che hanno acuito nuovamente l'interesse per questo genio della storiografia e della sociologia politica, seppure quest'ultima, ai suoi tempi, non esistesse ancora come scienza a se stante. Tocqueville è un critico acuto e preveggente dei mali democratici. Il brano riportato in principio d'articolo de La democrazia in America mette a fuoco la posizione di Tocqueville di fronte all 'eguaglianza. Questo aristocratico era convinto, a differenza di tanti borghesi liberali, che la Rivoluzione avesse abbattuto il principio della libertà come privilegio di un' altra classe, ma per sancire il diritto di tutti alla stessa dignità umana. Lo Stato non era più concepibile senza libertà né la libertà senza l' eguaglianza. Ma Tocqueville era troppo intelligente per credere all' eguaglianza come realtà di fatto e non come ideale morale e come condizione giuridica; e se comprese che il garantismo oligarchico non esauriva le immense possibilità del liberismo,comprese pure che l' ideale democratico della sovranità conteneva il pericolo della dittatura della maggioranza o, peggio, di una tirannia in nome del popolo, purché questo delegasse il potere, o se lo lasciasse strappare. Andando in America nel 1831, Tocqueville ci vide qualcosa di più che l'America stessa, ci vide l'immagine della democrazia quale si stava formando anche in Europa. Negli Stati Uniti, insieme agli aspetti positivi della democrazia, notò anche, già operanti, i difetti dell 'eguaglianza e della sovranità popolare. Il diritto della maggioranza a governare, egli scrive, le dà "un immenso potere di fatto e un potere d'opinione e nulla più, delle contee e degli Stati, dall'indipendenza della magistratura e dalla sua altrettanto grande mobilità" i cui effetti negativi sono l' instabilità governativa, l' onnipotenza dei governi, la scarsa garanzia contro gli abusi ( perché l' opinione pubblica forma la maggioranza, il corpo legislativo la rappresenta e il potere esecutivo ne è lo strumento ); e anche l' amore per il benessere, l' accentramento del potere, il conformismo: " Non conosco un paese dove regni meno l'indipendenza di spirito e meno autentica libertà di discussione che in America… Il padrone non vi dice più: "pensate come me o morrete"; ma dice: "siete libero di non pensare come me; la vostra vita, i vostri beni, tutto vi resterà, ma da questo istante siete uno straniero fra noi". Dalla visione dell'America contemporanea dedusse un' agghiacciante ed esatta previsione del mondo futuro: "Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima. Al di sopra di questa folla, vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti. È assoluto, minuzioso, metodico, previdente, e persino mite. Assomiglierebbe alla potestà paterna, se avesse per scopo, come quella, di preparare gli uomini alla virilità. Ma, al contrario, non cerca che di tenerli in un'infanzia perpetua. Lavora volentieri alla felicità dei cittadini ma vuole esserne l'unico agente, l'unico arbitro. Provvede alla loro sicurezza, ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige gli affari, le industrie, regola le successioni, divide le eredità: non toglierebbe forse loro anche la forza di vivere e di pensare?". Triste e veritiera profezia: l'Europa del Novecento ha conosciuto e conosce queste tirannie, e anche i paesi che si credono liberi ogni giorno sprofondano sempre più nelle sabbie mobili, stranamente allettevoli, del paternalismo autoritario che nasce dalla stessa democrazia. Come non pensare, oggi, ai meschini piaceri della Tv e del fanatismo sportivo?Nell' America del suo tempo, Tocqueville vide che le garanzie contro la " tirannia della maggioranza" erano costituite da diversi fattori. Innanzi tutto, la tradizione protestante-puritana dava all'individuo la certezza del suo valore assoluto come persona, dotata di diritti inalienabili e fonte di ogni rapporto sociale. Questa consapevolezza individualistica era aiutata dal decentramento amministrativo dal moltiplicarsi delle autorità e delle associazioni locali, dall' autonomia dei municautorità sul potere politico: un' autorità costituita dal diritto di dichiarare incostituzionali le leggi, dalla diffusione dello spirito giuridico,dovuta anche all'istituto della giuria estesa agli affari penali, e della giuria estesa agli affari civili, e dalla libertà di stampa, giudicata " infinitamente preziosa ". Ma soprattutto l 'esperienza americana l' aveva convinto, contro la tesi dell'Illuminismo, della stretta dipendenza del concetto di libertà dalla "rivoluzione cristiana" : " Dubito che l'uomo - scriveva Tocqueville - possa sopportare insieme una completa indipendenza religiosa e una libertà politica senza limiti; sono anzi portato a pensare che, se non ha fede, sia condannato a servire e, se è libero, non possa non credere". Per queste ragioni, l'America presentò aTocqueville un equilibrio fra la fonte democratica del potere e il suo esercizio liberale, un equilibrio che egli intuì mancante all'Europa, anche per effetto della Rivoluzione francese. Si rivolse quindi allo studio di questa, ed ebbe la conferma di ciò che aveva scritto nell'Introduzione"e La democrazia in America: la tendenza all'eguaglianza delle condizioni si era manifestata in Europa, e specialmente in Francia, già nel Medio Evo ed era progredita in modo formidabile negli ultimi tempi della monarchia francese. Così, sviluppando ne L'antico regime e la Rivoluzione i concetti espressi in uno studio pubblicato su una rivista inglese nel 1836, Tocqueville, contro tutti gli storici del suo tempo, quali che fossero le loro tendenze, mise in luce per la prima volta che la Rivoluzione non era stata una " catastrofe " radicalmente innovatrice che, operando un capovolgimento del mondo, avesse creato una realtà totalmente nuova: la Rivoluzione fu il logico proseguimento di un'evoluzione in corso da secoli,che tendeva a sostituire uno Stato fondato sull'eguaglianza e amministrato con uniformità dal centro a uno Stato fondato sul privilegio e la cui amministrazione era frazionata fra i feudatari, l'anzianità, la forza, gli stessi successi che la tendenza egualitaria e accentratrice aveva conseguito prima dell' 89 spiegano perché questa tendenza prevalesse, durante e dopo la Rivoluzione, sull'orientamento liberale, più recente e meno diffuso. Quindi, anche in Francia, anche in Europa, il problema della democrazia è lo stesso che in America: La sopravvivenza della sua forma liberale è connessa più con l'educazione alla libertà e con le garanzie per l'autonomia dell'individuo che con la difesa della mera eguaglianza. È facile essere eguali nella servitù, più difficile, ma necessario, essere liberi nell'eguaglianza.

sabato 11 febbraio 2012

ARISTOTELE: LA VITA

Aristotele nacque a Stagira , una cittadina della penisola Calcidica nel nord della Grecia nel 384 a.c. Il padre Nicomaco era medico presso la corte del re dei macedoni Aminta , ma morì quando Aristotele era ancora giovane. Egli fu quindi allevato da un parente più anziano , di nome Prosseno. Nel 367 , all'età di 17 anni , andò ad Atene al fine di entrare a far parte dell'Accademia di Platone , che si trovava all'epoca a Siracusa.Vi rimase per ben 20 anni svolgendo un'attività di insegnamento , sino alla morte di Platone che fu nel 347-348 : in realtà se ne sarebbe già andato prima in quanto aveva idee divergenti da quelle del maestro, ma si trattenne fino alla sua morte per il rispetto che aveva nei confronti di Platone . Si allontanò dall' Accademia proprio quando era subentrato
Speusippo e tra i motivi del suo allontanamento possiamo annoverare la crescente ostilità che si era venuta a creare ad Atene verso il re macedone Filippo , il quale nel 348 si era impadronito di Olinto nel nord della Grecia. Nel 347 si recò da Ermia , tiranno di Atarneo , che nutriva simpatie per la filosofia platonica e aveva messo a disposizione degli accademici una sede ad Asso ,nella Troade , una zona dell'Asia minore. Qui si stabilì Aristotele e poi nel 345 a Militene , sull'isola di Lesbo. In questo periodo egli sposò Pizia , nipote di Ermia , dalla quale ebbe 2 figli , Pizia e Nicomano , entrò in rapporto con Teofrasto , che divenne suo discepolo , e intraprese ricerche biologiche sugli animali. Nel 343 Filippo lo invitò a corte in veste di precettore di Alessandro . Qui rimase a lungo finchè Filippo non fu assassinato da Pausania nel 336 e Alessandro gli succedette al trono . Nel 335 Aristotele fece il suo rientro ad Atene con Teofrasto e svolse attività di ricerca e di insegnamento nel Liceo , un ginnasio vicino al tempio di Apollo Liceo (originariamente fu chiamato "peripato" , passeggiata e luogo di discussione) , raccogliendo intorno a sè amici e scolari. Nel 323 però , morto Alessandro in Oriente , prese il sopravvento in Atene la corrente anti-macedone capeggiata da Iperide . La tradizione vuole che Aristotele , accusato di empietà a causa dei suoi difficili rapporti con la monarchia macedone, abbia allora pronunciato la celebre frase : " Non voglio che gli Ateniesi commettano un secondo crimine contro la filosofia " , alludendo alle vicende di Socrate . Di fatto egli si allontanò da Atene e si ritirò a Calcide, sull'isola di Eubea , dove la famiglia di sua madre aveva possedimenti : qui morì intorno a 62 anni nel 322 a.c.Nominò suo esecutore testamentario Antipatro, che proprio nel 322 ristabiliva il dominio macedone sulla Grecia e su Atene , e lasciò Teofrasto a capo della scuola. Dunque Aristotele vive una generazione dopo rispetto al maestro Platone. Proprio rispetto a Platone ha origini sociali e geografiche differenti : abbiamo detto che non era di Atene e questo aspetto contribuì al fatto che Aristotele desse meno peso alla politica rispetto a Platone , che si sentiva pienamente cittadino della polis. Senz'altro a far sì che desse poco peso alla politica fu anche il fatto che all'epoca la polis stava attraversando un periodo di profonda crisi : infatti nella seconda metà del quarto secolo subentrò il regno macedone (ricordiamoci che il padre di Aristotele fu medico di Filippo e Aristotele stesso fu precettore di Alessandro Magno).Tuttavia quando si dedica alla politica , Aristotele risulta essere ancora molto legato al concetto di polis. Senz'altro Aristotele è influenzato dall'Accademia dove era stato per molto tempo , sebbene non condividesse pienamente le ideologie (dirà " amicus Plato , sed magis veritas " : egli era molto legato alla figura del suo maestro , ma tuttavia era più attratto dalla verità). Atene si trova in un momento difficile dove si alternano al potere il partito macedone (al quale Aristotele era vicino) e quello anti-macedone , il cui più grande e accanito sostenitore era l'oratore Demostene. Risulta particolarmente importante l'esperienza a Militene : qui , come detto , si dedicò insieme a Teofrasto a ricerche in ambito biologico e tutte strettamente legate al mondo terreno : si dice spesso che Aristotele sia partito come platonico (seguendo la dottrina delle idee) ma che poi abbia dato una svolta alle sue indagini orientandole sempre di più verso il mondo terreno.

giovedì 9 febbraio 2012

RASOIO DI OCCAM

Il rasoio di Occam (Ockham's razor) è il nome con cui viene contraddistinto un principio metodologico espresso nel XIV secolo dal filosofo e frate francescano inglese William of Ockham (noto in italiano come Guglielmo di Ockham). Tale principio, alla base del pensiero scientifico moderno, nella sua forma più semplice suggerisce l'inutilità di formulare più assunzioni di quelle strettamente necessarie per spiegare un dato fenomeno: il rasoio di Ockham impone di scegliere, tra le molteplici cause, quella che spiega in modo più semplice l'evento. La formula, utilizzata spesso in ambito investigativo e - nel moderno gergo tecnico - di problem solving, recita: “Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” “Non moltiplicare gli elementi più del necessario.” In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. All'interno di un ragionamento o di una dimostrazione vanno invece ricercate la semplicità e la sinteticità. Tra le varie spiegazioni possibili di un evento, è quella più semplice che ha maggiori possibilità di essere vera (anche in base a un altro principio, elementare, di economia di pensiero: se si può spiegare un dato fenomeno senza supporre l'esistenza di qualche ente, è corretto il farlo, in quanto è ragionevole scegliere, tra varie soluzioni, la più semplice e plausibile). Il rasoio di Occam trova spesso luogo in discussioni eminentemente dotte e scientifiche (esempio tipico, nel campo della fisica e della scienza in generale). Concettualmente non si tratta di novità, perché il principio di semplicità era già ben noto a tutto il pensiero scientifico medioevale, ma esso acquista in Occam una forza nuova e per certi versi devastante a causa della sua concezione volontarista: se il mondo è stato creato da Dio solo sulla base della volontà (e non per intelletto e volontà, come diceva Tommaso d'Aquino), devono sparire tutti i concetti relativi a regole e leggi, come quello di sostanza o di legge naturale.

martedì 7 febbraio 2012

FENOMENI FORTIANI

Si chiamano "fenomeni fortiani" gli svariati oggetti che piovono dal cielo, può essere ghiaccio, animali piccoli, tipo pesci, rane, oppure oggetti vari, quindi include tutte quei comportamenti anomali della natura che la scienza ancora non è in grado di spiegare. A cavallo tra l'Ottocento e il Novecento una bizzarra figura di giornalista e scrittore, il newyorkese Charles Hoy Fort (6 Agosto 1874 - 3 Maggio 1932), dedicò la vita alla raccolta di notizie misteriose, tratte dalla stampa quotidiana e periodica, alla ricerca di un qualche nesso occulto tra tutti questifenomeni. Divenne così famoso che il suo nome venne usato per battezzare una specifica classe di fenomeni paranormali, i fenomeni "fortiani" appunto, costituiti ad esempio da piogge di sangue o di altri materiali inusuali (talvolta anche di esseri viventi, come rane e pesci), oppure da fenomeni atmosferici anomali. I suoi ammiratori fondarono un' associazione che chiamarono, contro la sua volontà, Fortean Society. Questo consesso di appassionati del bizzarro e del misterioso cominciò a pubblicare una rivista che chiamò "Fortean Times" e che gode tutt'ora di buona salute. Nella storia antica si fà cenno spesso di fenomeni anomali riconducibili al tipo Fortiano, scrittori e filosofi raccontano vere e proprie piogge di rane e di pesci, grandine miste a fuoco, insomma fino ai giorni nostri non si è dato nessuna spiegazione a questi eventi, e vero che fenomeni vulcanici, o trombe d'aria o altro evento atmosferico possono causare dei fenomeni simili, ma spesso sono accaduti senza il minimo evento naturale, chedire, aspetteremo con vera trepidazione qualche spiegazione riconducibile al fenomeno.

sabato 4 febbraio 2012

I BENANDANTI

Era credenza nel medioevo che gli adoratori del male avessero ottenuto in dono dal maligno il potere di creare le tempeste e di far mutare a loro piacimento le condizioni atmosferiche. Invece, v'era una categoria di maghi, i benandanti, che li combattevano. I benandanti (letteralmente derivante da "buoni camminatori") erano legati ad un culto contadino basato sulla fertilità diffuso in Friuli intorno al XVI secolo-XVII secolo. Si trattava di piccole congregazioni contrapposti alle streghe che si adoperavano nella protezione dei villaggi e del loro raccolto. I benandanti erano i maghi benefici diffusi principalmente nel Friuli .Hanno suscitato particolare interesse poiché essi rappresentavano un fenomeno incomprensibile per la Chiesa. Non si opponevano infatti, ad essa, ma anzi cercavano di dare il proprio contributo alla salvezza delle anime nel senso cristiano del termine. Per questo motivo i benandanti andavano ai raduni delle streghe e combattevano con esse utilizzando rami di finocchio, contro le canne di sorgo degli avversari. Si diceva che Benandanti si nasce, e il marchio che li contraddistingueva dagli altri neonati era "la camicia" (la camicia del feto [o placenta] era nota sia in oriente che in occidente per le sue implicazioni magiche). Era credenza che in certe notti particolari l'anima del benandante uscisse dal corpo per partecipare ad incontri con altri benandanti onde rimediare ai danni commessi da streghe e stregoni. In questo caso, l'anima al suo ritorno doveva trovare il corpo nelle stesse condizioni in cui lo aveva lasciato, o non sarebbe più riuscita a rientrarvi. Nonostante il loro carattere benefico, la Chiesa li perseguitò ugualmente. Fra 1575 e 1675 i benandanti sono stati decretati eretici dalla Santa Inquisizione., facendogli confessare loro raduni con il diavolo e riti malefici. Un'altra caratteristica degna di nota dei Benandanti sta nella percentuale insolitamente alta di uomini: nel resto dell'Europa le streghe perseguitate erano donne nella quasi assoluta totalità dei casi.

mercoledì 1 febbraio 2012

LUTERO: CENNI SULLA RIFORMA

Lutero fu l'artefice dello scisma protestante, l'iniziatore della Riforma. Nel 1511, recatosi a Roma, si rese conto che la Chiesa romana era sprofondata nella corruzione e nel malcostume, mai così lontana dall'originario insegnamento cristiano. Particolarmente scandalosa gli apparve la vendita delle indulgenze, i cui proventi dovevano servire alla costruzione della basilica di San Pietro. Lutero vide come l'indulgenza(l'annullamento dei peccati), era a quel tempo ottenibile semplicemente pagando una somma in denaro, indipendentemente dalla vera contrizione e dal pentimento del richiedente. Nel 1517 affisse alla porta del suo convento le 95 tesi contro la Chiesa romana. Partendo dallo scandalo delle indulgenze, le tesi finirono per mettere in discussione l'esistenza stessa delle gerarchie ecclesiastiche e dei sacramenti cattolici (ad esclusione del battesimo e della eucarestia, espressamente citati nella Bibbia). Lutero si fece dunque promotore di quel nuovo movimento religioso che intendeva rinnovare i termini del rapporto tra l'uomo e Dio, un ritorno all'originario messaggio evangelico, scremato da quelle “incrostazioni”della tradizione che la Chiesa romana aveva arbitrariamente e impropriamente aggiunto durante i secoli.