L'antitesi ipotizzata da Dilthey tra
"spiegazione naturale" e "comprensione storica" si traduce
in Oswald Spengler (1880-1936) nella contrapposizione tra "mondo come
natura" e "mondo come storia". Spengler non fu tanto un filosofo
nel senso rigoroso del termine, quanto piuttosto un ideologo, indubbiamente
capace di cogliere certi orientamenti politico-spirituali del suo tempo, ma
troppo proclive a sbrigative liquidazioni di determinati princìpi e valori (la
libertà, la democrazia) e ad avventati appoggi agli orientamenti razzistici e
totalitari approdati ad ultimo al nazismo. Egli, oltre ad altri scritti tra cui
è bene ricordare Prussianesimo e socialismo (1919) e L'uomo e la
tecnica (1931), è l'autore di una fortunata opera, Il tramonto
dell'Occidente , pubblicata tra il 1918 e il 1922, cioè tra gli ultimi mesi
della prima guerra mondiale e l'immediato dopoguerra, in un periodo in cui
comincia ad accentuarsi (fino a diventare un elemento rilevante della cultura
fra le due guerre mondiali) la consapevolezza di vivere in un periodo di crisi.
Crisi sociale, economica e politica, in primis, ma anche crisi intellettuale e
di valori, insomma delle certezze che l'inizio del secolo aveva ereditato
dall'ottimismo ottocentesco (che con il Positivismo aveva raggiunto l'apice): "
quello che ci appare più chiaro nei suoi contorni è il 'tramonto
dell'antichità', mentre già oggi avvertiamo chiaramente in noi e intorno a noi
i primi indizi di un avvenimento ad esso del tutto analogo per corso e durata,
che appartiene ai primi secoli del prossimo millennio: il 'tramonto
dell'Occidente' ". L'opera di Spengler è emblematica già dal titolo:
la crisi e il crollo della Germania vengono interpretati come il tramonto
dell'intera civiltà occidentale; in un quadro concettuale che riprende temi della
speculazione di Goethe e di Nietzsche, Spengler tenta di rispondere alla
domanda pressante sul destino della civiltà europea. Respingendo ogni
concezione unitaria dello sviluppo storico, egli afferma la necessità di
intendere la storia dell'umanità come esplicazione di una molteplicità di forme
differenti, cioè di diverse civiltà dotate ciascuna di una propria vita e di un
proprio sviluppo autonomo. Ogni civiltà è un organismo
appartenente alla medesima specie e ha quindi una nascita, una crescita, una decadenza
e una morte; e come in tutti gli organismi biologici questo ciclo di sviluppo
ha il carattere della ineluttabilità, risultando necessariamente determinato
dal corredo di possibilità di cui dispone all'inizio del suo sviluppo. Questo è
il fondamento di ciò che Spengler chiama " logica organica della storia
" , che ha il suo principio nella necessità del destino; e dal dominio
della categoria della necessità deriva anche il carattere della risposta che
egli dà al problema del futuro della civiltà occidentale. Esso può essere
previsto in maniera esatta perché la civiltà occidentale seguirà lo stesso
cammino di tutte le altre: " a noi non è data la libertà di realizzare
una cosa anziché l'altra. Noi ci troviamo invece di fronte all'alternativa di
fare il necessario e di non poter fare nulla. Un compito posto dalla necessità
storica sarà in ogni caso realizzato, o col concorso dei singoli o ad onta di
essi ". Spengler va quindi in cerca dei sintomi della decadenza
dell'Occidente nell'analisi dei fenomeni economici e politici del mondo a lui
contemporaneo, e li scorge nell'affermazione della borghesia, nel primato
dell'economia sulla politica, nella democrazia, nella crisi dei princìpi
religiosi e nella libertà di pensiero: " non esiste una satira più tremenda
della libertà di pensiero. Un tempo non si poteva osare di pensare liberamente;
ora ciò è permesso, ma non è più possibile. Si può pensare soltanto ciò che si
deve volere, e proprio questo viene percepito come libertà ". Se il
ciclo evolutivo è lo stesso per tutte le civiltà, è tuttavia diverso il loro
corredo di possibilità. Spengler sviluppa qui, in senso
radicalmente relativistico , la dottrina di Dilthey dell'autocentralità
delle epoche storiche: ogni civiltà rappresenta un mondo a sé, con un proprio
linguaggio formale, un proprio simbolismo, una propria concezione della natura
e della storia. E' quindi possibile una comprensione effettiva solo nell'ambito
di una stessa civiltà, che funge da orizzonte primario e intrascendibile; tra
le civiltà non è possibile nessuna comunicazione, dal momento che ogni civiltà
crea i propri valori e che tra di esse non vi sono valori comuni. Con l'opera
di Spengler, lo storicismo tedesco dell'epoca approdava al relativismo: questo
esito, già del resto implicito in Dilthey, spingerà verso tentativi di
restaurazione dei valori che ne garantiscano la validità al di là delle singole
epoche e culture. Non solo non può esistere una filosofia o una morale di tipo
universale-assoluto, ma nessun principio teorico o pratico può pretendere di
avere una validità non particolare e non contingente. Spengler riprende e
irrigidisce il dualismo natura/storia : la
natura è il regno dell'inerte e del "divenuto" , della cieca
necessità causale e dell'anonima uniformità esprimibile nelle formule della
scienza. La storia è, invece, il regno della vita e del vitale
"divenire", dell'intelligente necessità organica e delle
particolarità individuali e irripetibili. Protagonista della storia non è tanto
l'uomo, quanto la "cultura": riprendendo (ma in modo per più versi
unilaterale) un motivo dapprima caratteristico del Romanticismo, e poi da certi
studiosi di fine Ottocento (ad esempio Burkhardt), Spengler interpreta la cultura come organismo . Ogni cultura/organismo ha
una sua forma peculiare che ne caratterizza tutti gli aspetti costitutivi e che
la distingue poi da tutte le altre. Essa ha inoltre una sua nascita, un suo
sviluppo secondo un destino necessario e un non meno necessario tramonto. Tale
tramonto si realizza appunto quando tutte le sue potenzialità si sono
realizzate e a ciò segue un inesorabile processo di decadenza. I momenti
estremi di tale vicenda (propria di tutte le culture in quanto tali) vengono
indicati da Spengler coi due concetti di "Kultur" e di
"Zivilisation": due termini non nuovi (presenti già anche in Kant),
ma che Spengler ha contribuito a popolarizzare. La Kultur
è la cultura positiva, vitale, non priva di una sana barbarie; la Zivilisation (di cui non deve sfuggire la provenienza
lessicale straniera) è invece la cultura raffinata ed estenuata della decadenza
internazionale malata e votata alla consunzione. Per Spengler l'Occidente è
oramai giunto alla Zivilisation e, dunque, alle soglie del suo inevitabile
tramonto. L'unica speranza che si apre a questo punto è quella di un radicale
sovvertimento di tutti gli pseudo-valori dell'epoca o dell'intero sistema
socio-politico, in grado di ricondurre l'Occidente a un rinnovato stato
primitivo.
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