mercoledì 21 dicembre 2011

LE VESTALI

Sacerdotesse della antichissima dea Vesta (corrispondente alla greca Estia), la dea del focolare domestico, le Vestali, le custodivano il tempio sul Foro, tenendo sempre acceso il fuoco, che secondo la leggenda era stato acceso per la prima volta da Romolo, come simbolo dell'eternità dell'Urbe.
L'istituzione delle Vestali è anteriore alla stessa nascita di Roma, anche se la leggenda le fa risalire all'epoca di Numa. Furono prima quattro, poi sei, infine sette. Venivano scelte dal Pontifex Maximus, suprema autorità religiosa di Roma, tra fanciulle dai sei ai dieci anni. Il loro servizio durava 30 anni, di cui dieci per la formazione, altri dieci per l'esercizio del ministero e gli ultimi dieci come maestre delle novizie. Come Vesta (intorno a cui non esistono racconti mitologici) dovevano rimanere vergini e per distinguersi dalle altre donne portavano una speciale acconciatura dei capelli e un velo bianco, suffibulum, che veniva assicurato sul petto mediante una fibbia. Il pontefice massimo, che vigilava sull'osservanza della verginità, aveva il potere di condannare a morte e far seppellire viva la Vestale che avesse trasgredito al suo impegno, nel “Campus Sceleratus” posto nei pressi di porta collina in una fossa, dotata di un giaciglio, di una lanterna e di poco cibo. Chiusa la fossa, se ne pareggiava il terreno per far sparire ogni traccia delle colpevoli. Anche il seduttore era punito con una fustigazione cosi violenta che ne provocava la morte. Le Vestali non erano sottoposte alla patria potestas ed erano esonerate dalla tutela, se si esclude ovviamente quella trentennale dello stesso pontefice. Anzi le Vestali erano le sole donne romane che, fino all'età di Augusto (63 a.C. - 14 d.C.), potessero esercitare i diritti civili, come quello di fare testamento, senza l'autorizzazione del tutore (ovviamente non potevano avere discendenza). Più tardi a questi privilegi poterono partecipare le donne romane con tre figli e le liberte con quattro. Le Vestali potevano avere il privilegio di graziare i condannati a morte. Famose le leggende di Rea Silvia, Ilia enniana e Tullia.
Pare che producessero anche la mola salsa, cioè il farro salato.

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