lunedì 19 dicembre 2011

VITE PARALLELE: PLUTARCO




Le Vite parallele sono biografie, presentate in coppia, di illustri personaggi greci e romani, accostati, nella loro radicale differenza originaria, per analogia di caratteristiche: Teseo e Romolo, i primi re di Atene e Roma; Alessandro e Cesare, entrambi grandi condottieri e monarchi, e così via. Tutte le coppie biografiche si chiudono con un confronto riassuntivo finale. È un’opera monumentale: comprende 50 biografie, 46 delle quali sono “accoppiate”, formando 23 coppie di vite messe a confronto, mentre le altre 4, di Arato, Artaserse, Galba e Otone, sono separate. Secondo lo stesso Plutarco le “Vite parallele” vanno inserite nel genere biografico: egli infatti, più che una narrazione indistinta e regolare di eventi storici, si è concentrato sulla presentazione di quelle circostanze che potevano far trapelare la personalità del personaggio e che lo potevano ricollegare al suo corrispettivo nella civiltà opposta. La storia si occupa di fatti importanti, la vita, invece, di cose apparentemente secondarie. L'indole di un uomo si vede di più nelle piccole cose di tutti i giorni piuttosto che nelle grandi battaglie. Per questo nelle biografie Plutarco ha escluso la narrazione e la descrizione delle grandi imprese, perché ormai erano cose già conosciute e si sapeva dove trovarle: Plutarco aveva come scopo quello di trovare il vir e non lo si poteva trovare nel modo in cui il personaggio si comportava sul luogo di battaglia, ma nella vita di tutti i giorni. La storia del personaggio è stata quindi o accennata o riassunta o data per scontata. Plutarco ha preferito porre attenzione non sulle azioni, ma sul modo di agire: l’atteggiamento che un personaggio tiene in pubblico è troppo condizionato da diversi fattori, come la sua carica o la sua posizione sociale; Plutarco invece ricercava l’individuo. A tale scopo, nel contesto dell’opera e delle sue finalità, i piccoli particolari, come una frase, uno scherzo, o un breve aneddoto, potevano risultare di maggiore rilevanza di azioni più appariscenti o di sanguinose battaglie.Testimonianza di questa scelta da parte di Plutarco può essere considerato il confronto tra Demostene e Cicerone: nell’introduzione al confronto tra i due grandi oratori, Plutarco afferma: “cercherò di esaminare e mettere a confronto la natura e la disposizione d’animo dei suddetti personaggi, fondandomi sulle loro azioni. Tralascerò, invece, di stabilire un paragone tra le loro capacità oratorie, tentando di dimostrare chi fosse più abile con le parole e più piacevole all’ascolto”.Nelle vite si è notato come Plutarco non abbia parlato di quello che dovrebbe essere il suo eroe, Epaminonda, e nemmeno di Scipione: questo ha fatto ipotizzare che molto probabilmente la prima parte dell'opera sia andata persa. La critica ha giudicato le vite come biografie attendibili che si chiudevano con dei confronti, molti dei quali erano forzati perché Plutarco rimase ingabbiato nell’impostazione del confronto e si trovò obbligato a farlo, anche quando non c'erano elementi palesi per effettuare il confronto. La critica più recente, però, non vede questi collegamenti a volte forzati come degli “accessori”, ma come elementi basilari. Per esempio Quinto Fabio Massimo è paragonato a Pericle: la tattica di uno di temporeggiare contro Annibale non fu ascoltata così come l’altro ebbe numerosi oppositori. Questo collegamento quindi non sarebbe forzato perché Plutarco ha visto il comune tra i due: è riuscito a vedere qualcosa che non era immediatamente visibile ed è andato a fondo nel personaggio.Nei confronti tra i vari personaggi, il personaggio di origini greche è sempre più antico, sia per una questione di datazione, in quanto i personaggi greci risalgono al VI-IV secolo avanti Cristo, mentre quelli romani alla fine della repubblica e all’inizio dell’impero; sia per una questione di documentazione, in quanto quella greca era di gran lunga maggiore. Anche Plutarco ha preso posizione in questo “dibattito”, sostenendo che la civiltà greca era anteriore e originale: i Greci hanno trovato e i Romani hanno avuto già la strada aperta. Riassumendo, con quest'opera Plutarco voleva evidenziare quello che accomunava o divide due mentalità: l’opera aveva un intento di confronto, ma anche di moralità; quest’ultimo aspetto ha risentito dell’influenza romana degli exempla: infatti Plutarco, attraverso la sua opera, voleva dare degli esempi, dei modelli da seguire, i suoi personaggi sono degli eroi. Anche quando sono negativi sono utili, perché quanto indicano l’esempio negativo da rifuggire.

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