venerdì 23 dicembre 2011

MIRCEA ELIADE





Eliade fu fenomenologo delle religioni, antropologo, filosofo e saggista; studioso del mondo arcaico e orientale, esperto di yoga e di sciamanesimo. Per i contatti giovanili avuti con il fascismo rumeno lo studioso fu criticato da molti suoi colleghi europei di sinistra, specialmente in Francia. Il suo pensiero, rispetto a molti altri antropologi, si caratterizza non solo per l'attenzione ma per una sua sentita adesione al modo arcaico, una sintonia che egli manifesta nel primato antropologico che egli riconosce alla categoria del sacro. Il mito dell'eterno ritorno è un saggio scritto nel 1945 e pubblicato nel 1949. « l'essenziale della mia ricerca riguarda l'immagine che l'uomo delle società arcaiche si è fatto di se stesso e del posto che occupa nel cosmo »
Così spiega Eliade nella introduzione alla versione italiana de Le Mythe de l'éternel retour, dove indaga la fenomenologia del sacro attraverso le sue tre manifestazioni, il rito, il mito e il simbolo, che riescono a esprimere concetti sull'essere ed il non essere, non riscontrabili altrimenti nelle lingue arcaiche. La storia delle religioni si era mossa in un primo momento sull'indagine sociologica ed etnologica; è con Rudolf Otto che la ricerca si muove in un'ottica di manifestazione, di ierofania, e separa nettamente il sacro da ciò che gli storici chiamarono mana una "forza impersonale".
Eliade, comparando differenti tradizioni e testi, dimostra la volontà nell'uomo arcaico di tornare a quel tempo primordiale, quando il gesto sacro fu compiuto da dei, eroi o antenati.
Così nelle tradizioni dell'India vedica troviamo che ogni creazione riproduce la creazione originale quella da caos a cosmos ossia la lotta originaria fra un'entità ordinatrice e formante contrapposta a quella indistinta e informe, è il caso di Tiamat e Marduk, nella tradizione babilonese.
Nel pantheon greco è Crono, figlio di Gea e Urano (terra e cielo), che non voleva che i suoi figli venissero alla luce.
Ma anche in ciò che noi riteniamo oggi attività profane, come la danza, esiste un archetipo. La danza del labirinto per i Greci rievocava la danza che Teseo fece dopo aver ucciso il minotauro e liberato le 7 coppie di giovani. Chiunque la eseguisse diveniva Teseo, ma non solo, i movimenti di questa danza si rifacevano al movimento dei pianeti.
Altre ritualità arcaiche si muovono attorno all'investitura del centro. Per un luogo l'essere il centro della terra è importante perché diviene la residenza della divinità, sia questo un palazzo o una montagna; per i babilonesi Marduk, il dio della creazione, risiedeva a Babilonia (bab è porta, letteralmente porta degli dei), che diveniva così Axis Mundis, punto d'incontro fra regioni infere, terra e cielo.
Il riconoscere una montagna o un palazzo, come centro del mondo, fa sì che queste diventino anche centro della creazione che in tutte le "genesi" si muove a partire dal centro di un qualcosa, come per l'embrione umano.Eliade pone in evidenza come attraverso la ritualità e quindi la sacralizzazione di luoghi persone o cose, l'uomo arcaico aspiri al rendere il mondo in cui vive "reale".
Il primato antropologico del sacro. Il fattore religioso (e più ancora quello mistico) sono per Eliade la chiave di volta per la comprensione dell'essenza dell'uomo. In pieno XX secolo, di fronte ai progressi scientifici, tecnologici e sociali egli resta un grande sostenitore del valore profondo dell'esistenza arcaica. Egli ha scritto: « Per lo storico delle religioni ogni manifestazione del sacro è importante; ogni rito, ogni mito, ogni credenza, ogni figura divina riflette l’esperienza del sacro, e di conseguenza implica le nozioni di essere, di significato, di verità. «È difficile immaginare – facevo già notare in altra occasione - come lo spirito umano potrebbe funzionare senza la convinzione che nel mondo vi sia qualcosa di irriducibilmente reale; ed è impossibile immaginare come la coscienza potrebbe manifestarsi senza conferire un significato agli impulsi e alle esperienze dell’uomo. La coscienza di un mondo reale e dotato di significato è legata intimamente alla scoperta del sacro. Mediante l’esperienza del sacro lo spirito umano ha colto la differenza tra ciò che si rivela reale, potente, ricco e dotato di significato, e ciò che è privo di queste qualità: il flusso caotico e pericoloso delle cose, le loro apparizioni e le loro scomparse fortuite e vuote di significato» (La Nostalgie des Origines, 1969, p.7 e ss.). Il “sacro” è insomma un elemento nella struttura della coscienza, e non è uno stadio nella storia della coscienza stessa. Ai livelli più arcaici di cultura vivere da essere umano è in sé e per sé un atto religioso, poiché l’alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale. In altre parole, essere – o piuttosto divenire – un uomo significa essere “religioso

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