È in questo periodo che nasce la grande distinzione tra legge naturale o physis e legge dell’uomo o nomos. Fino all’inizio del quinto secolo nel pensiero greco non si avvertiva una sostanziale differenza tra il mondo dell’uomo e il mondo della natura, e quindi si avvertiva un’unità tra le norme che regolano l’armonia della natura e le norme che regolano i rapporti tra i cittadini delle singole polis. Ma nel quinto secolo, con l’imperialismo ateniese e la crisi della guerra del Peloponneso, il nomos divenne sempre più oggetto di critica e di revisione da parte del demos, il popolo. I problemi dell’umanità, a detta della seconda generazione dei sofisti (quella di Antifonte, Ippia, Trasimaco e Crizia), provengono dalla differenza tra nomos e physis. Secondo la sofistica, infatti, come non è possibile trovare un discorso vero per tutti, non è possibile neanche trovare una legge giusta per tutti. Il nomos diventa espressione di interessi di parte e oggetto di contese tra fazioni. L’unica speranza per il cittadino è nel confidarsi alla legge superiore della physis, regolatrice dell’armonia dell’universo. E qui sorgono i problemi. Secondo Antifonte e Ippia, democratici, la legge della physis impone l’uguaglianza dei membri della specie, culminante in una sorta di cosmopolitismo. Secondo Trasimaco e Crizia, aristocratici, la legge predominante della physis è la legge del più forte: il più nobile ha così il diritto di sopraffare il più debole; il nomos non può garantire la giustizia e non dovrebbe fare altro che legalizzare questa sopraffazione. Secondo Crizia anche la religione è strumentale al potere. Ancora più radicale la posizione di Callicle: il nomos è un’invenzione dei deboli per cercare di arginare il giusto predominio dei più forti sancito dalla physis. Ma se il nomos è così lontano dal logos physikos, è para o kata physein? È giusto o sbagliato che ci sia e che gli uomini lo seguano?
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